PASSAGGIO A LIVELLO

Sinistrati unitevi
Pubblichiamo, come è costume del nostro sito, un contributo del nostro collaboratore Ubaldo Pacella, pure se dissentiamo.
Ubaldo  Pacella  
                                                                                                               

Sinistrati reduci di mille sconfitte politiche, unitevi!
Questo potrebbe essere lo slogan, con l’impudenza che è lecita talvolta al commentatore.
Non me ne vogliano i venti insigni senatori del Partito democratico che hanno apposto la loro firma ad un disegno di legge costituzionale di riforma del Senato.
Un drappello che innalza sgualciti drappi con un rosso d’antan mentre, al di là delle forme e dell’articolato giuridico, si fa portavoce e vessillo di un irrefrenabile conformismo tradizionalista e conservatore.

La proposta di legge, primo firmatario il senatore Vannino Chiti, altro non è in questa fase concitata, ma in qualche modo costituente di una modernizzazione della Repubblica italiana sul modello di una società avanzata e globale, che il grimaldello di un’insostenibile restaurazione, della volontà di mantenere un bicameralismo imperfetto, contrapponendolo a un progetto riformatore fortemente monocamerale.
Voglio sgombrare il campo con il massimo rigore e la più tenace determinazione da un sostegno anche velato e indiretto all’attuale leadership di Matteo Renzi. Ho già più volte espresso in proposito l’impegno a valutare con distacco i fatti e i risultati. Ora, sebbene iniziali, sembrano positivi e lo scetticismo diffuso che riempie i santuari della politica appare sempre più lontano dalle necessità e dall’ansia della società italiana nella sua interezza.
Si rintraccia nell’insopprimibile desiderio di opporsi e di resistere al cambiamento dei firmatari, l’ansia di una testimonianza, magari suicida di chi scopertosi improvvisamente minoranza non solo tra gli elettori -, cosa arcinota a loro stessi -, ma anche nel partito nella cui ombra alcuni sono comodamente vissuti per anni con evidenti responsabilità, non vuole accettare le scelte democratiche da questo operate in trasparente coerenza. Numerosi di questi senatori rappresentano l’ala bersaniana,  indicati da, un brav’uomo rigoroso  ma di fatto responsabile di una clamorosa sconfitta politica che, non può non richiamare la disfatta di Caporetto, nel centenario della prima guerra mondiale.
Ebbene questi blasonati o meno conosciuti senatori non contenti di tutte le sconfitte politiche patite negli ultimi vent’anni ad opera di Silvio Berlusconi e di una destra panciafichista, imbelle, statalista che ha condotto l’Italia sull’orlo del fallimento, non si vogliono arrendere alla democrazia interna di un partito.
Lo ripeto per evitare ogni possibile incauta interpretazione, non è mio interesse in questo momento entrare nel merito della riforma messa a punto dal governo Renzi per il Senato, bensì quello di rintracciare le connotazioni di un dissenso che frena la ripresa di appeal del Partito democratico tra gli elettori e in ogni ambito della società italiana. Un dissenso che si offre come strumento  polemico e grimaldello per una destra disorientata e incapace di proposta.  Basti pensare a quei parlamentari Grillini che dovevano “aprire” il parlamento come una scatola e ora pur di difendere in modo nebuloso uno status quo si atteggiano a difensori di una costituzione che in ogni modo disattendono.
La legittimazione del progetto governativo, emendabile in profondità nell’attuale stesura fermi restando, a mio parere, due soli presupposti: la non eleggibilità diretta dei futuri senatori e la rappresentanza di camera delle autonomie. Il resto dell’impianto si può e si deve discutere e modificare. Questo non toglie che parlamentari eletti nelle liste del PD debbano in modo primario rispettare nella sostanza le scelte politiche approvate con l’85% dei voti della direzione dopo una schiacciante vittoria congressuale.
La presentazione di un disegno di legge alternativo costituisce non la libera espressione senza vincoli di mandato del parlamentare, bensì un vulnus grave all’identità e al funzionamento del partito democratico.
I venti senatori, se avessero sentito in modo insopprimibile l’esigenza di rivendicare la propria autonomia di fronte ad un disegno costituzionale tanto complesso quanto ancor più necessario per dare linfa al nostro Paese e speranza a milioni di giovani, avrebbero dovuto rassegnare le dimissioni dal PD e passare ad altri gruppi parlamentari. Solo così rimane politicamente comprensibile una dichiarata opposizione, in questo modo invece sembrerebbe una collaudata fronda interna per far venire a più miti consigli, su tutt’altri piani che non quelli istituzionali e parlamentari, la leadership di Matteo Renzi nel partito più ancora che nel governo. E’ un modo abusato e adusato da decenni di fare il controcanto, di cui comunisti e veterocomunisti sono stati impareggiabili interpreti, per ottenere “ricompense” in altre sedi.
Il PD oggi ha bisogno di sostanza, di coraggio, di idee nuove pienamente riformatrici. Occorre infondere un disegno evolutivo dalle tonalità effervescenti per realizzare una transizione dal ‘900 alla modernità. L’Italia si salva economicamente e a livello politico solo se sarà in grado di esprimere in Europa un guizzo d’idealità opposto al conformismo retrogrado degli ultimi quarant’anni.
Siamo al paradosso, interpretato all’unisono da tutti i settori della società, che invoca un cambiamento radicale e immediato, al di là degli specifici contenuti: uscire da questa mortifera palude a qualsiasi costo, rompere gli schemi consolidati anche in modo impreciso, raffazzonato e occasionale. Tagliate le gomene che hanno trascinato nel fondo il Paese, si potrà aggiustare il tiro e mettere mano alla barca una volta che essa sarà riemersa.
Ostinarsi a non capire che tutto si sta giocando sul piano del cambiamento radicale ed effettivo è una politica più suicida che incomprensibile. Siamo di fronte alla solare evidenza di un atteggiamento positivo e convergente nel nostro paese verso l’azione di governo appena delineata: la sostengono l’opinione pubblica intera, le imprese, il mondo economico, la parte più moderna del sindacato, i mercati internazionali, le istituzioni internazionali e forse, prima tra tutti, proprio quella BCE che sino ad oggi ci ha consentito di non affogare nella melma. E’ un patrimonio labile che potrebbe venir meno da un momento all’altro ma che oggi rappresenta il vento che soffia nelle vele di una nave sbilenca, ma prodigiosamente ancora in linea di galleggiamento. Dobbiamo approfittarne, cogliere l’attimo fuggente  per avviare quel nuovo rinascimento che pretendono, a ragione, i nostri figli come milioni di giovani.
I commenti di CISL e UIL al DEF traspirano imbarazzo, una soddisfazione trattenuta perché per la prima volta si restituisce ai lavoratori dipendenti a basso reddito, che da sempre pagano le tasse, una quota di salario. Un vessillo appartenuto da molti anni al sindacato e oggi forse strappato di mano da uno sbandieratore fiorentino le cui alchimie linguistiche, una retorica fascinosa, connessa alla capacità di bucare il video assicurano per ora il favore dell’opinione pubblica. Il silenzio agghiacciante della CGIL in questo passaggio sembra appartenere allo straniamento della minoranza, all’offrirsi come bastione di un’ulteriore sconfitta, in nome di un conservatorismo politico ormai incapace di fatto di incidere nella storia sociale ed economica nazionale e internazionale.
Il bilancio dell’Italia è un obbligo morale prima ancora che economico e sociale. Non si realizza attraverso scorciatoie, equilibrismi di vecchio stile, oasi protette affidate a gruppi di potere o a sodali di ogni tipo. Questo strepitano a viva voce milioni e milioni di giovani e di famiglie che la crisi la stanno pagando duramente sulla propria pelle. Il rischio concreto di veder spazzata via un’intera generazione quella degli attuali trentacinque/quarantenni non lascia scampo alla durezza della riconversione.
La politica italiana ha perso decenni, si è trastullata nella convinzione che sempre altri dovessero bere l’amaro calice di una sostanziale rifondazione della società italiana, cosa che comporta inevitabilmente un passaggio epocale che manderà “in pensione” un’intera classe politica e dirigente.
Debbono farsene una ragione anche tutte le minoranze di partito annidate nel crepuscolo ideologico del PD, come nelle pieghe della pura sopravvivenza nella NCD o quelle ancor più atterrite di Forza Italia dove, con grande probabilità, il tramonto del quasi ottantenne Berlusconi produrrà un rompete le righe tipo 8  settembre 1943.
Il PD ha l’occasione di proporsi come elemento innovatore e guida riformista di un nuovo stato sociale, lontano dalle vecchie consunte parole d’ordine, come dagli schemi inossidabili di una politica che rinunciando a decidere ha bruciato se stessa e il Paese  cosicché nell’animo dei cittadini si fa strada la voglia di azzerare ogni cosa, di travolgere con la novità ogni consuetudine, purtroppo anche quelle poche utili e positive, nella speranza di riavviare il Paese secondo un codice che preveda onestà, trasparenza, premio del merito, qualità della spesa sociale, efficacia degli investimenti.
Non cogliere questa opportunità, forse unica per il PD, sarebbe oltre che un tragico errore, una prevedibile condanna alla marginalità per un lungo tempo. Cogliere le novità, contribuire ad un disegno riformatore con spirito costruttivo, ma non ancorato ai vecchi schemi burocratici e giuridici,  significa evitare una marcia del gambero per rincorrere una cultura esausta e superata.
Siamo certi che basteranno poche settimane per fare chiarezza su questo punto. Dubito che la fronda di Vannino Chiti e compagni possa perdurare oltre le elezioni europee, basterà forse qualche aggiustamento nella struttura del PD centrale e periferica, tanto per mettere al sicuro una residua riserva indiana. La politica internazionale, l’economia e la società italiana spingono per un disegno di radicale mutamento, correndo il rischio di scelte pasticciate purché si tracci una via capace di guardare l’ultimo orizzonte. L’anima più riottosa del PD non lo dimentichi, altrimenti se lo ricorderanno e bene la grande maggioranza degli italiani.

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