Cav. insindacabile
Il rovesciamento del suo carisma? Vedi all'articolo 6 della bozza con cui il Pdl si autoridicolizza
Politicamente correttissimo - il Foglio 26 ottobre 2010
Luigi Manconi
È ovvio che la si può sempre buttare in caciara e che talvolta può essere salutare farlo. Però, se era uno scherzo trascorso un ragionevole lasso di tempo, dovevate almeno dirlo, di averci gabbato. Perché alcuni l’hanno preso sul serio (e io tra essi), quell’articolo 6 della bozza di delibera dell’Ufficio di Presidenza del Popolo delle Libertà, reso noto la scorsa settimana.
Quella bozza, dopo aver dettagliatamente regolamentato le procedure per l’elezione dei coordinatori cittadini, provinciali e regionali del Pdl, appunto all’articolo 6 prevede che il presidente del partito possa “ove sussistano ragioni particolari di opportunità,  a suo insindacabile giudizio e senza l`obbligo di motivare la decisione, non dare seguito alle indicazioni delle Assemblee”. Ovvero può vellamente ignorare il voto degli iscritti e far decadere gli eletti.  Il sublime si raggiunge, va da sé, in quel “senza l’obbligo di motivare la decisione”, ma è l’intero dispositivo che lascia attoniti. Negli anni ’60 si sarebbe detto: è un caso di centralismo alle vongole, negli anni ’80: autoritarismo all’amatriciana fino all’altro ieri: plebiscitarismo alla rucola (il dileggio segue una sua singolare parabola gastronomica). Oggi, a petto di una simile minchiata, i critici faticano a trovare le parole per classificarla e gli apologeti, con sovrumano sprezzo del pericolo, la propongono come una delle qualità del partito carismatico (Dio li perdoni). Ma quell’articolo 6 segnala, in maniera definitivamente grottesca, proprio la crisi drammatica del carisma berlusconiano. Se, infatti, il carisma si affida, come in questo caso, a un meccanismo che è, insieme, prepotente e comico, la sua crisi appare ormai irreversibile. Le clausole vincolanti hanno la funzione, in tutti i sistemi e in tutti gli istituti democratici, di porre un limite alle tendenze non democratiche e di garantire autonomia e libertà di scelta contro le possibili derive centraliste, burocratiche, decisioniste. Qui avviene l’esatto contrario. Qui, nel momento in cui si avvia un processo di “democratizzazione” di un partito che evidentemente democratico non era, si provvede a contenere gli effetti di quel processo e di subordinarne gli esiti a una decisione monocratica. E, non solo indiscutibile, ma anche immotivata. Ancora una volta, i cultori della personalità del Capo Assoluto si rivelano come suoi tristi sicofanti: tanto dubitano del carisma del leader da volerne puntellare goffamente l’autorità con risibili garanzie, come quell’ “insindacabile giudizio”. Perché questo, a ben vedere, è il paradosso del berlusconismo nell’epoca del suo declino. Contrariamente a quanto pensa Giuliano Ferrara e a quanto ha scritto ieri, non è in discussione la legittimità a governare di Silvio Berlusconi: accade, piuttosto, che la strumentazione adottata per affermare la forza del suo carisma e l’immunità rispetto alle iniziative giudiziarie ostili riveli tutto intero il proprio fallimento. Ferrara dà di “azzeccagarbugli” a quanti, ricorrendo ogni volta a “un articolo diverso della carta costituzionale” e a “un brocardo di bel conio”, vorrebbero che Berlusconi fosse sottoposto a giudizio. Ma sembra non accorgersi che la perversione azzeccagarbugliesca si è impadronita innanzitutto di quei giure consulti alla wok (questa è proprio da Terzo Millennio) che – ormai è certo – lavorano alacremente alla perdizione del proprio datore di lavoro. Non si era mai vista una tanto scombicherata sequela di bozze, lodi, disegni di legge che durano lo spazio di un mattino, sempre emendati e sempre contraddetti, accartocciati rapidamente come pacchetti di sigarette e ristretti all’istante come indumenti lavati a temperatura sbagliata. E tutti approssimativi, lacunosi, abborracciati. Risulta ormai evidente che tutto ciò è frutto di lacerazioni interne, conflitti intestini, guerre fratricide. Insomma, come direbbe Sandro Bondi, “c’è un clima d’odio”: e si respira, greve, dentro il partito che fu “dell’amore”. Tanto vale, come si è detto all’inizio, buttarla in caciara. E allora, egregio Direttore, “Tra i sussurri l’indolente ebbrezza di ascendere e cadere qui tra la vita e il sonno, la luce e il buio dove forze oscure da sempre si scatenano”,  lì si combatte “l’eterno scontro tra sesso e castità”.
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