CHI HA PERSO NELLA PIAZZA
Luigi Manconi
Quanto è accaduto l’altroieri, per le strade di Roma e di altre città italiane, non può stupire alcuno: è da oltre quarant’anni che quella rappresentazione - talvolta con i tratti della tragedia- si ripete con puntuale periodicità. E tuttavia, va detto, “ dietro “ – a ordire tutto ciò- non c’è alcunché di insondabile: né il disagio sociale che, secondo una tesi giustificazionista, spiegherebbe l’esplosione della violenza; né “ i professionisti del terrore” che, secondo un’ interpretazione altrettanto debole, manipolerebbero i movimenti collettivi; né , infine, una qualche “provocazione” delle forze di polizia. O meglio: c’è un po’ di tutto questo. Ma è proprio la combinazione variabile dei tre fattori e la sostanziale incontrollabilità di ciascuno di essi che incentivano il precipitare della situazione e determinano uno stato di pericolo, che sfugge al controllo dei diversi attori. In questo caso i soggetti coinvolti, ciascuno con un proprio e diverso grado di responsabilità, sono tre. C’è il movimento studentesco che, com’è fatale che sia, sconta tutta l’ingenuità del proprio “stato nascente”: un’aggregazione recente, in parte recentissima, di studenti dai 13 anni in su, che, mentre apprende il vocabolario della partecipazione collettiva e della mobilitazione di piazza, commette facilmente tutti gli errori dell’età acerba e della gestualità più goffa. E, di conseguenza, si rivela incapace di autotutelarsi rispetto alle insidie esterne, ma anche rispetto a quelle che covano ai margini, o persino all’interno, dei propri confini. In altre parole, un movimento maturo dovrebbe darsi regole e strutture capaci di proteggere l‘incolumità dei propri aderenti e di scoraggiare le tentazioni del ricorso alla forza fisica, alle armi improprie e all’aggressività contro chi viene vissuto come avversario. Ma quello della maturazione è un processo contraddittorio, che il movimento studentesco dovrà percorrere: e che richiede tempo e non esclude errori e sconfitte. Resta fondamentale una questione, che gli adulti ( sia quelli che hanno avuto un giovinezza irrequieta, sia quelli che l’hanno avuta bene ordinata) non devono stancarsi di ricordare. Ovvero che l’efficacia di una protesta, e anche la sua radicalità, nulla hanno a che vedere con l’esercizio della violenza: basta considerare come gli operai delle aziende in crisi, il cui stato d’animo è comprensibilmente prossimo alla disperazione, conducono le loro lotte. Ecco, abbiamo tutti bisogno di studenti dotati di intelligenza e di fantasia, anche nell’invenzione di nuovi metodi d’ azione, più che di giovani conformisti che riproducono gesti, vani oltre che distruttivi già decenni fa. Ma il movimento degli studenti non vive nel vuoto. Come sempre, c’è chi utilizza la piena di questo fiume per lasciarsi trasportare, tentando di dominarne la corrente . Si tratta di quei gruppi che, talvolta ai lati e talvolta alla testa del corteo, ne vogliono determinare una presunta “radicalizzazione “ interamente affidata alla precipitazione dello scontro. Quasi che una prova di forza potesse sostituire un atto di intelligenza collettiva. Questi gruppi, che si immaginano come un’avanguardia, tendono a riproporre la vuota ottusità delle esercitazioni paramilitari degli ex combattenti. Sono destinati a perdere, e, tuttavia, ancora capaci di fare danni. Infine. Mercoledì, in numerose circostanze, le forze di polizia non sono state all’altezza del loro compito. Nemmeno gli atti di intollerabile violenza da parte di piccoli gruppi o persino la volontà criminale di qualcuno possono giustificare i terribili errori e i numerosi atti efferati commessi da poliziotti. È, purtroppo, una storia vecchia. Le forze dell’ordine sembrano tuttora incapaci di amministrarlo con saggezza, quell’ordine pubblico. E saggezza vuole dire capacità di distinguere tra studenti inermi e manifestanti aggressivi; e, ancora, intelligenza nel disinnescare le possibili violenze; e razionalità nell’impedire che una situazione in bilico precipiti tragicamente. Bene, tutto ciò non sembra aver qualificato il comportamento delle forze di polizia due giorni fa. Si dirà : ma è difficile mantenere equilibrio e lucidità nel corso di una manifestazione, mentre volano insulti e corpi contundenti. Giusto, ma è esattamente questa la funzione di polizia e carabinieri. È quella di consentire la più ampia espressione della libertà di manifestazione per quanti pacificamente vogliono manifestare e impedire che quella stessa manifestazione sia compromessa da fattori esterni. È un compito difficilissimo, ma è propriamente il compito di chi ha il monopolio della forza in uno stato democratico. Il ministro dell’interno, Annamaria Cancellieri, e il capo della polizia, Antonio Manganelli, hanno mostrato, in più di un’occasione, di voler imprimere una svolta nelle relazioni tra gli apparati dello Stato e i cittadini . E quanto più questi ultimi sono giovani e giovanissimi –sono i futuri cittadini-, tanto più quella svolta,oltre a essere indispensabile, si potrà rivelare proficua: ne va della qualità stessa della nostra democrazia.
il Messaggero 16 novembre 2012
CHI HA PERSO NELLA PIAZZA
Luigi Manconi
Quanto è accaduto l’altroieri, per le strade di Roma e di altre città italiane, non può stupire alcuno: è da oltre quarant’anni che quella rappresentazione - talvolta con i tratti della tragedia- si ripete con puntuale periodicità.
E tuttavia, va detto, “ dietro “ – a ordire tutto ciò- non c’è alcunché di insondabile: né il disagio sociale che, secondo una tesi giustificazionista, spiegherebbe l’esplosione della violenza; né “ i professionisti del terrore” che, secondo un’ interpretazione altrettanto debole, manipolerebbero i movimenti collettivi; né , infine, una qualche “provocazione” delle forze di polizia. O meglio: c’è un po’ di tutto questo. Ma è proprio la combinazione variabile dei tre fattori e la sostanziale incontrollabilità di ciascuno di essi che incentivano il precipitare della situazione e determinano uno stato di pericolo, che sfugge al controllo dei diversi attori. In questo caso i soggetti coinvolti, ciascuno con un proprio e diverso grado di responsabilità, sono tre. C’è il movimento studentesco che, com’è fatale che sia, sconta tutta l’ingenuità del proprio “stato nascente”: un’aggregazione recente, in parte recentissima, di studenti dai 13 anni in su, che, mentre apprende il vocabolario della partecipazione collettiva e della mobilitazione di piazza, commette facilmente tutti gli errori dell’età acerba e della gestualità più goffa. E, di conseguenza, si rivela incapace di autotutelarsi rispetto alle insidie esterne, ma anche rispetto a quelle che covano ai margini, o persino all’interno, dei propri confini. In altre parole, un movimento maturo dovrebbe darsi regole e strutture capaci di proteggere l‘incolumità dei propri aderenti e di scoraggiare le tentazioni del ricorso alla forza fisica, alle armi improprie e all’aggressività contro chi viene vissuto come avversario. Ma quello della maturazione è un processo contraddittorio, che il movimento studentesco dovrà percorrere: e che richiede tempo e non esclude errori e sconfitte. Resta fondamentale una questione, che gli adulti ( sia quelli che hanno avuto un giovinezza irrequieta, sia quelli che l’hanno avuta bene ordinata) non devono stancarsi di ricordare. Ovvero che l’efficacia di una protesta, e anche la sua radicalità, nulla hanno a che vedere con l’esercizio della violenza: basta considerare come gli operai delle aziende in crisi, il cui stato d’animo è comprensibilmente prossimo alla disperazione, conducono le loro lotte. Ecco, abbiamo tutti bisogno di studenti dotati di intelligenza e di fantasia, anche nell’invenzione di nuovi metodi d’ azione, più che di giovani conformisti che riproducono gesti, vani oltre che distruttivi già decenni fa. Ma il movimento degli studenti non vive nel vuoto. Come sempre, c’è chi utilizza la piena di questo fiume per lasciarsi trasportare, tentando di dominarne la corrente . Si tratta di quei gruppi che, talvolta ai lati e talvolta alla testa del corteo, ne vogliono determinare una presunta “radicalizzazione “ interamente affidata alla precipitazione dello scontro. Quasi che una prova di forza potesse sostituire un atto di intelligenza collettiva. Questi gruppi, che si immaginano come un’avanguardia, tendono a riproporre la vuota ottusità delle esercitazioni paramilitari degli ex combattenti. Sono destinati a perdere, e, tuttavia, ancora capaci di fare danni. Infine. Mercoledì, in numerose circostanze, le forze di polizia non sono state all’altezza del loro compito. Nemmeno gli atti di intollerabile violenza da parte di piccoli gruppi o persino la volontà criminale di qualcuno possono giustificare i terribili errori e i numerosi atti efferati commessi da poliziotti. È, purtroppo, una storia vecchia. Le forze dell’ordine sembrano tuttora incapaci di amministrarlo con saggezza, quell’ordine pubblico. E saggezza vuole dire capacità di distinguere tra studenti inermi e manifestanti aggressivi; e, ancora, intelligenza nel disinnescare le possibili violenze; e razionalità nell’impedire che una situazione in bilico precipiti tragicamente. Bene, tutto ciò non sembra aver qualificato il comportamento delle forze di polizia due giorni fa. Si dirà : ma è difficile mantenere equilibrio e lucidità nel corso di una manifestazione, mentre volano insulti e corpi contundenti. Giusto, ma è esattamente questa la funzione di polizia e carabinieri. È quella di consentire la più ampia espressione della libertà di manifestazione per quanti pacificamente vogliono manifestare e impedire che quella stessa manifestazione sia compromessa da fattori esterni. È un compito difficilissimo, ma è propriamente il compito di chi ha il monopolio della forza in uno stato democratico. Il ministro dell’interno, Annamaria Cancellieri, e il capo della polizia, Antonio Manganelli, hanno mostrato, in più di un’occasione, di voler imprimere una svolta nelle relazioni tra gli apparati dello Stato e i cittadini . E quanto più questi ultimi sono giovani e giovanissimi –sono i futuri cittadini-, tanto più quella svolta,oltre a essere indispensabile, si potrà rivelare proficua: ne va della qualità stessa della nostra democrazia.
il Messaggero 16 novembre 2012
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