Kabobo per donne

Stereotipi di destra e di sinistra, ma sempre molto anti femminili, usati peggio del piccone

Luigi Manconi

Per quanto possa sembrare inaudito, la forza degli stereotipi può raggiungere livelli parossistici di efferatezza. Lo si è potuto verificare nelle reazioni seguite alla vicenda di Mada Kabobo, lo psicopatico ghanese che ha ucciso tre persone a colpi di piccone. In altre parole, gli stereotipi possono avere un effetto discriminatorio, realizzare una pratica di degradazione ed esprimere una violenza che, grazie al cielo, non sempre assume la dimensione della materialità, capace di aggredire soggetti terzi. Quegli stereotipi possono rimanere, cioè, in un ambito che, certamente micidiale, non comporta un attentato all'integrità fisica altrui, pur arrivando a sfiorarla, a intaccarne la solidità, a comprometterne l'equilibrio. Si tratta di un crinale scivoloso, dove l'intento omicida delle parole rimane precariamente al di qua dell'aggressione fisica e dove, sul piano giuridico, la libertà di espressione, che si fa character assassination, rischia di trasformarsi in delitto. Sia chiaro: di quel ricorso allo stereotipo, anche il più oltraggioso, qui non si chiede in alcun modo la sanzionabilità penale, bensì si ricorda l'estrema pericolosità. 

Nelle scorse settimane, di tutto ciò, si sono avute due manifestazioni particolarmente significative, in quanto i pregiudizi originari risultavano come esaltati, in una sorta di rappresentazione patologica. Ciascuno di essi si è presentato nudo, in tutta la sua primitiva potenza e in tutta la sua capacità distruttiva. Il primo di questi stereotipi può essere definito "di destra", sapendo quanto una tale etichetta rischi di sfregiare, anche per il semplice accostamento, un pensiero politico dotato comunque di una sua dignità. La descrizione di questo stereotipo, la si può trovare sul Foglio del 15 maggio. In un bell'articolo, Guido Vitiello racconta che qualche settimana prima una collaboratrice "depone sulla scrivania del presidente della Camera le stampe di alcuni fotomontaggi; in uno di essi, il volto sorridente di Laura Boldrini è innestato sul corpo di una donna violentata da un nero". L'episodio ha suscitato solidarietà nei confronti del presidente della Camera, ma anche qualche ironia, perché l'interessata avrebbe esagerato nella reazione. La vicenda è interessante, perché sembra confermare come il dispositivo della discriminazione di genere tenda a riprodursi, inalterato, nel tempo, conservando tutta la sua crudeltà e reiterando puntualmente tutti gli elementi del più classico processo di stigmatizzazione. La donna, tanto più se attraente, è oggetto di stupro e lo stupratore - pregiudizio nel pregiudizio - è preferibilmente "un uomo nero". Di fronte a tutto ciò, una reazione è prevista, ma ha da essere moderata. E questo, francamente lascia perplessi. Nello spazio politico-culturale opposto, la dinamica si riproduce perfettamente uguale. Il pregiudizio "di sinistra" (e, anche qui, l'accostamento con una categoria così nobile fa male) si esercita, stavolta, contro un'immagine che si vuole rappresentativa delle nequizie attribuite al campo nemico. Un'attrice, da me molto amata, recita: "Meglio morta che guardare un'altra Domenica Sportiva con l'illuminata, la presentatrice piena di luce che pare la Madonna, quella bionda che dice i risultati con le labbra con il rossetto forte e gli orecchini da lampadario, che a lui piace tanto, a me faceva proprio schifo". La figura così stereotipizzata è palesemente una caricatura, ma i suoi tratti deformati rivelano l'immagine che una parte della sinistra effettivamente coltiva della donna di destra. Se ci pensate, quel ritratto è la riproduzione perfetta di una sorta di personalizzazione plastica dei difetti estetici e morali di un'idea di donna attribuita alla destra politica e culturale (e televisiva). Si potrebbe dire: quello stereotipo "di destra" e quello "di sinistra" sono due rappresentazioni mostruose di una sorta di delirio paranoide che il fanatismo ideologico può arrivare a produrre. Si tratta, in altre parole, di uno scarto ossessivo del pensiero o di una deviazione psico-criminale della lotta politica. Forse è proprio così, ma dietro si intravede qualcos'altro: quelle due rappresentazioni non sono una deformazione estrema o un'anomalia schizzoide. Sono, piuttosto, il nucleo originario e profondo del pregiudizio. La sua fonte primaria. La sua espressione allo stato puro. I processi di civilizzazione introducono mediazioni linguistiche e convenzioni sociali che attutiscono la violenza primitiva del pregiudizio e mediano lo stereotipo che ne discende. Ammettiamolo: tutto ciò va a merito del tanto vituperato "politicamente corretto" (del quale ci onoriamo di essere devoti). Senza il suo effetto virtuoso, Laura Boldrini e Paola Ferrari sarebbero più o meno tutelate? il Foglio 24 maggio 2013

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