Politicamente correttissimo
I catenacciari
Il caso Iotti e tutte le altre prove della perenne subalternità psicologica della destra italiana
Luigi Manconi
Avete presente quegli equilibrati osservatori, titolari di buone maniere e di abiti ben tagliati, quando sospirano: “ Ah ci fosse in Italia un bipolarismo all’anglosassone”? E in genere così proseguono: da una parte una sinistra riformista, dall’altra una destra moderata … Non so se sarebbe, poi, così bello,  ma in ogni caso siamo assai lontani da un simile scenario. Molte le ragioni. Una, in particolare, è quella che più mi colpisce e addirittura affascina.
La perenne e irriducibile subalternità psicologica della destra italiana. Dopo quasi due decenni di egemonia politica e sessanta anni di solidissima presenza sulla scena pubblica, la destra italiana sembra tutt’ora afflitta da un complesso di inferiorità così radicato da non concederle scampo: è tanto più evidente, quel complesso, proprio in coloro che sembrano volersene emancipare più vigorosamente e con maggiore strepito. Pigliamo l’ultima, e la più stracciacula, delle polemiche: quella del confronto, si fa per dire, storiografico tra Nilde Iotti e Nicole Minetti. Chi, come me, ha avuto la ventura di seguirla in diretta (nel corso della Zanzara su Radio 24), ha avvertito quanto fosse querula quella polemica. Non perché Daniela Santanchè cercasse “ la visibilità a tutti i costi”(bella scoperta):  ma proprio perché irreparabilmente subalterna. Costruita con acida e comica compunzione, organizzata con petulanza, recitata scolasticamente. E ispirata tutta a un solo principio, riassumibile nella formula: E allora voi? Se ci pensate, è questo stesso principio a costituire il fondamento teorico (di più: antropologico) dell’intera concezione politica e culturale della destra italiana. Tutta affidata a un incessante moto di re-azione. Non solo Nicole Minetti evoca, in quelle menti ottenebrate, Nilde Iotti, ma qualunque richiamo a un manigoldo classificabile come di destra fa scattare l’immediata citazione del caso  di Filippo Penati: e ultimamente, Dio li perdoni, quello delle “cozze pelose” di Michele Emiliano. Tutto bene, tutto giusto. Ma come non cogliere, in quella reattività compulsiva, in quel automatismo coatto, in quella ipercinesia rancorosa, il segno inequivocabile della subalternità? Ovvero della mancanza di autonomia? Un profondo deficit di indipendenza, cioè. In altre parole, la politica della destra, ma ancor prima la sua cultura, si riduce a un sistema di autodifesa, a un apparato tattico destinato alla rivalsa e alla rivincita, pensato esclusivamente per una squadra arroccata in difesa e chiusa nella sua metà campo.
Sia chiaro questa “sindrome catenaciara” riguarda anche la sinistra, a sua volta afflitta da scarsa indipendenza e, dunque a sua volta costretta a muoversi in base alle azioni del nemico più che alle proprie autonome scelte.
Ad esempio, intorno alla vicenda giudiziaria che ha coinvolto il governatore della Puglia Nichi Vendola, cominciano ad addensarsi- come nuvoloni carichi di pioggia e d’ira- sospetti e malizie, insinuazioni e ammiccamenti e tutto perché Vendola ha ricevuto, negli ultimi giorni due avvisi di chiusura delle indagini. Attenzione: secondo un orientamento, diventato senso comune, talvolta slogan accaldato e roco e, infine, strozzata intimidazione, chi riceve un avviso di garanzia “deve dimettersi!”. Dunque, si chiederanno le dimissioni di Vendola? Qui vale la pena aprire una personalissima parentesi. Condivido l’ottanta percento (o giù di lì) del programma di Vendola, pur ritrovandomi in un altro partito, e pur condividendo appena il venti percento (o giù di lì) del suo discorso pubblico e ancor meno della sua retorica. Ma trovo pazzesco, allo stato attuale dei fatti, anche solo porre in dubbio la sua piena e incondizionata legittimità a governare la regione. Anzi, penso che questa sarebbe una importante opportunità, per il centro sinistra e per il centro destra ( ecco un esempio del famoso buon funzionamento del famoso bipolarismo all’anglosassone), per affermare una volta per tutte che un avviso di garanzia è un avviso di garanzia. Un istituto a tutela del cittadino, e non un atto di accusa nei suoi confronti. Fare questo, a garanzia del buon nome di Vendola, implicherebbe - va da sé - fare altrettanto a garanzia di esponenti dell’opposto schieramento. Ancora più efficace, un simile comportamento, a quattro anni dall’arresto di Ottaviano del Turco, a carico del quale la Procura di Pescara affermò pubblicamente di avere “prove schiaccianti”. Ancora aspettiamo di conoscerle.
il Foglio 17 aprile 2012
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