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Il corpo del nemico e la scelta di Obama
Luigi Manconi
In alcuni stati americani, l’esecuzione capitale costituisce un vero e proprio rito, che prevede cerimoniali, celebranti, attori, testimoni, pubblico. Quel rito contempla abitualmente la partecipazione dei familiari delle vittime di coloro che vengono sottoposti alla pena di morte. E altrettanto abitualmente un certo numero di parenti è presente e assiste all’esecuzione. Ciò rimanda a una tradizione culturale e giuridica propria degli Stati Uniti, che interpreta la categoria di giustizia, ma anche quella di vendetta, secondo un’angolatura assai diversa dalla nostra.
In estrema sintesi: un punto di vista, quello americano, dove gli elementi “naturalistici” convivono con quelli dello stato di diritto. Alla sensibilità europea (sia chiaro: a quella delle élite) può risultare sgradevole e persino imbarazzante il coinvolgimento così profondo dei familiari della vittima nell’atto finale della condanna del colpevole (o presunto tale): ma, per quanto ci risulti sorprendente, c’è in quella partecipazione una ispirazione morale. Alla vittima, attraverso i suoi parenti, viene offerto una sorta di risarcimento, destinato a sanare la lacerazione che il delitto ha prodotto, restituendo simbolicamente – attraverso una speculare procedura di sottrazione - ciò che è stato tolto.
Ed  è esattamente quanto ci fa ostili alla pena di morte e, tanto più, al coinvolgimento in essa dei familiari della vittima. Ma, per altre culture, così non è: e sulla celebrazione del rito della “retribuzione” (morte contro morte) si fonda un’idea morale della giustizia, che incardina la vendetta (uccido chi uccide) nel diritto positivo sottoponendola a vincoli e a forme, e tuttavia conservandone l’ispirazione originaria. È un’ispirazione elementare e, per certi versi, primitiva, che ha le sue radici nella storia americana e nel travagliato processo di formazione, tra conquista e guerra civile, di quella comunità. Se questo è vero, perché non pubblicare le foto del cadavere del Nemico Assoluto? Ovvero perché non far “assistere” i familiari delle  vittime dell’11 settembre all’esecuzione capitale dell’autore di quella strage? Secondo lo storico Juan Cole la decisione di non pubblicare quelle foto esprime “rispetto per un combattente anche se era un assassino di massa. Una scelta coraggiosa e con un senso politico importante” (La Repubblica di ieri). Ovviamente una interpretazione, così virtuosa, di tale decisione, può lasciare perplessi (sorvolando qui sulla questione del mancato ricorso a un processo legale a carico di Osama Bin Laden). E, tuttavia, sono propenso a prenderla in considerazione: magari per una ragione che contiene, anch’essa,  un fine utilitaristico (quel “senso politico” di cui parla Cole). Il presidente Obama considera opportuno che la guerra contro Al Qaeda, tutt’ora condotta attraverso molte forzature e alcuni strappi del diritto internazionale e delle stesse leggi americane, debba essere restituita a una dimensione maggiormente controllata e formalizzata. Ovvero che vada valorizzata la dimensione statuale e giuridicamente regolata, per quanto possibile, dell’azione antiterroristica. Il che potrebbe avere il duplice effetto di assegnare maggiore autorevolezza all’operato dell’amministrazione statunitense, sottraendola al rischio di apparire speculare al proprio nemico, e di ridurre la capacità di suggestione che la visibilità del Corpo del Vinto è in grado di esercitare. Siamo di fronte a una inversione di tendenza? Forse, ma si tratta di un segnale che potrebbe essere contraddetto sin da domattina. E tuttavia va considerato: tanto più che veniamo da decenni che possiamo definire di celebrazione della Massima Visibilità: l’immensa espansione dei mezzi di informazione, comunicazione e trasmissione di dati e immagini tende a rendere tutto Guardabile. Il tragico e l’efferato, l’eccitante e lo sconvolgente, l’occultato e l’ostentato. E al centro di questo sguardo universale sta il corpo, costantemente e meticolosamente scrutato. Nonostante reticenze e resistenze, anche il corpo del sovrano. Anche nella debolezza oltre che nella forza; nella decadenza come nell’esuberanza; nella malattia e nella salute; nell’intimità quanto nel pubblico. Perché tutto è diventato pubblico e tutto fa politica e, in qualche modo, tutto torna utile. La fellatio di Monica Lewinsky, non fotografata certo e, tuttavia, la più indagata al mondo, mortifica Bill Clinton e ne esalta, al contempo, l’umanità (sessuocentrica e compulsiva, probabilmente, ma non perciò meno “umana”). Questo ha riguardato la sfera della sessualità, ma –attraverso un processo parallelo - anche l’immagine della morte. Due dimensioni che, nella cultura contemporanea, evocano la stessa categoria di osceno. Rispetto a tutto ciò la decisione di Barack Obama non è certo irrilevante.

L’Unità 6 maggio 2011
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