Politicamente correttissimo
Due icone del centrodestra vaganti fra trivialità e quadrivi parlamentari
Luigi Manconi

1.Gentile Direttore, capisco che lei possa trovare quanto segue molto snob, molto puritano, molto da ottimati e perfino – Dio non voglia – un po’ azionista: e tuttavia, spes contra spem ho ancora qualche fiducia che lei voglia condividerlo. Trovo che la frase di Daniela Santanché (“Ilda Bocassini è la metastasi”) sia l’affermazione più triviale che mai abbia attraversato il discorso pubblico nazionale degli ultimi decenni. La più oscena delle volgarità.
E non per l’equazione tra un magistrato e una neoplasia, bensì proprio per il ricorso a una categoria oncologica all’interno di un discorso politico. (L’avesse detto di Bin Laden, sarebbe lo stesso). Si manifesta in quella frase un vero abisso linguistico e – per ciò stesso – morale. Dire metastasi non è dare di mascalzone, non è tacciare d’infamia, non è character assassination. Dire metastasi è dis-umanizzare. Non solo reificare l’avversario, bensì mortificarlo a cosa ributtante: piaga, hiv, pus. L’immoralità del linguaggio è l’osceno del potere che si inebria e inebria.

2. Questa è proprio bella. Una delle formule retoriche più spesso ricorrenti nelle repliche del centrodestra al centrosinistra, è quella che possiamo definire del Guarda chi parla (ovvero Il Più Pulito C’ha La Rogna). Indubbiamente la formula ha una sua efficacia, anche se l’abuso di essa – fino a tradurla nel solo mezzo di autodifesa cui si ricorre - la rende sempre più gracile. Ma, nel caso qui esposto, mantiene una sua validità, in quanto l’onta che ne deriva va equamente ripartita tra gli opposti schieramenti. Partiamo da una lieta notizia: Daniela Melchiorre è stata nominata sottosegretario allo Sviluppo economico. Nella precedente legislatura è stata sottosegretario alla Giustizia del secondo governo Prodi. Solo che a un certo punto – unitamente alla componente cui apparteneva, quella dei “Liberal-Democratici” – annunciò l’uscita dall’esecutivo. Questo, tuttavia, non le impedì di continuare, per le settimane successive, a ricoprire l’incarico di sottosegretario e di partecipare alle riunioni interne di quel ministero, la cui attività pure contribuiva a interrompere traumaticamente. Alle elezioni dell’aprile del 2008 venne eletta deputata nella lista del Pdl, ma dopo appena pochi mesi passò all’opposizione, prima nel gruppo misto, poi nella componente dei “liberal-democratici”. Con questi ultimi, e in aspra polemica con Silvio Berlusconi, si candida senza successo alle elezioni europee del 2009. A un anno di distanza, viene accreditata come prossima aderente alla maggioranza di centro destra, ma smentirà la cosa con foga e il 29 settembre 2010 non voterà la fiducia al Governo. Di conseguenza, non stupisce l’adesione della Melchiorre e dei suoi sodali al nascente “terzo polo” (Casini, Fini, Rutelli) e la firma della mozione di sfiducia contro il Governo (14 dicembre). Nel marzo del 2011, infine, la Melchiorre e i suoi lasciano il terzo polo. Ora, l’incarico di sottosegretario. Letto ciò, i più grossolani (rari, rarissimi, forse inesistenti tra i lettori del Foglio) diranno: un’altra voltagabbana e si stracceranno le vesti. Qui no. Qui si resta affascinati dalla leggerezza dei movimenti della Melchiorre, dalla sua serena volatilità, dal suo aggraziato trascorrere da una posizione all’altra e da una coalizione all’altra. È la secolarizzazione, bellezza. È la fine delle ideologie. Ma qui si è in grado di aggiungere altro: e di ricostruire, a partire dall’origine della carriera della Melchiorre,  uno dei metodi di selezione della classe politica; e di testimoniare come quei metodi possono ritrovarsi nell’uno e nell’altro schieramento (anche se la mia fedeltà a quello di centrosinistra non ne risulta, nonostante tutto, scossa). Dunque, si era nel 2007 e mi trovavo seduto sui banchi del Senato, accanto al leader della componente della Melchiorre, il senatore Bip Bip Bip. Fu lui a domandare a me, sottosegretario alla Giustizia come la Melchiorre, un giudizio su quest’ultima. Fui prudente e gli chiesi, piuttosto, come si era arrivati a indicarla per quel ruolo. Il senatore Bip Bip Bip mi rispose: “nel gioco delle componenti del centrosinistra, potevo indicare un sottosegretario alla Giustizia. Proposi il nome di un avvocato di Roma e di un giurista di Napoli ma mi venne risposto che - per ragioni di equilibrio geopolitico e di genere - doveva essere una donna, magistrato e del nord ovest. Non sapevo che pesci prendere, fino a che qualcuno del mio gruppo mi parlò di un suo parente: donna, residente a Milano e magistrato militare a Torino”. Ecco Daniela Melchiorre, ovvero la figura perfettamente corrispondente all’identikit richiesto. Così la spiegazione del senatore Bip BIp Bip. Ora, se queste sono le premesse,  perchè stupirsi delle conseguenze ultime, quelle attuali? Dunque, qui non si fa l’ennesima polemicuccia antiberlusconiana: si vuole evidenziare, piuttosto, come sia possibile ricavare una qualche lezione generale da una vicenda pur così piccina.

3.“Se si facesse un referendum, il 99,9% del Pdl, chiederebbe a Berlusconi di continuare” (Gaetano Quagliariello, La Stampa del 5 maggio). Però. Dal partito liberale di massa al partito cortigiano di massa.
11maggio2011
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