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slegami
burattino

Sorpresa, il personalismo può rifondare la sinistra
Luigi Manconi
Grazie al cielo – è proprio il caso di dire – non c’è stato bisogno di alcuna cruenta guerra culturale o di una
feroce controversia ideologica per far sì che nel vocabolario politico e nel discorso pubblico il termine
persona venisse accolto a pieno titolo. Questo va ricordato perché, appena due decenni fa, quella stessa
parola sarebbe stata, non dico osteggiata, ma certo guardata con perplessità, se non con sospetto, in
quanto troppo profondamente denotata sotto il profilo storico e culturale-religioso. Questa acquisita
maggiore elasticità mentale è un positivo segno dei tempi, che ci consente di abbandonare alcuni tabù
linguistici e di conseguenza (si spera) gli stereotipi costruitivi sopra. Persona, va da sé, richiama
irresistibilmente il personalismo ovvero – lo dico in estrema sintesi - quella corrente di pensiero che pone
al centro dell’universo dei valori e dell’azione la persona umana. Il personalismo – una filosofia non un
sistema, sottolineava Jacque Maritain – ha una sua origine, una sua prima definizione (con  Charles
Renouvier) e un certo numero di autorevoli pensatori (dallo stesso Maritain a Paul-Ludwing, Max Scheler,
Romano Guardini e, in particolare, a Emmanuel Mounier), ma qui il personalismo interessa meno in quanto
orientamento filosofico e molto più in quanto ispirazione culturale e politica. Sotto questo profilo, il
personalismo come centralità assoluta della persona umana ha una storia millenaria che – va ricordato – lo
connette strettamente alla categoria di eguaglianza. Più di recente, si ritrova una significativa ascendenza,
anche quando non dichiarata, nel pensiero di Antonio Rosmini, nonostante le molte differenze e persino gli
aperti conflitti rintracciabili nelle due elaborazioni. Ma è proprio la complessità e anche contraddittorietà
della traccia che tiene insieme la categoria di persona, come elaborata dall’asse Maritain-Mounier e come
elaborata da Rosmini e da molti altri ancora, che consente oggi di considerare con la massima libertà e
duttilità il fondamentale contributo del pensiero cattolico alla definizione della identità individuale
contemporanea. Insomma, proprio il fatto che la riflessione cristiana e cattolica sulla persona non è un
sistema compatto, ne incrementa la diffusione e ne accentua la fertilità. Cosicché oggi quella stessa
riflessione, esplicitata o meno, costituisce una componente ormai acquisita dell’identità culturale della
sinistra più matura: e non c’è dubbio che abbia rappresentato uno dei motivi ispiratori dei programmi
sociali del riformismo europeo, a partire dalle prime politiche di Welfare. Ma torniamo a Rosmini: si deve
ancora a lui (certo non solo a lui) la modernissima concettualizzazione del nesso profondo tra corpo/
soggettività, persona e diritto: «il diritto suppone primieramente una persona, un autore delle proprie
azioni», perciò «la persona dell’uomo è il diritto umano sussistente». Ciò a dire che la persona nella sua
prima costituzione, fondata su corpo e psiche, è la fonte e la sede dei diritti inalienabili dell’uomo e la
radice stessa della libertà umana. Ecco, se partiamo da tali indicazioni e da ciò che il personalismo
novecentesco ha successivamente elaborato – con una particolare valorizzazione della corporeità - si può
giungere ad accogliere il concetto di persona come quello decisivo per una ridefinizione dell’agire sociale e
dell’azione politica nelle società contemporanee. Tutto questo a prescindere dalle altre implicazioni proprie
del personalismo come filosofia dotata di una profonda matrice religiosa; e a prescindere, soprattutto, dalla
dimensione conflittuale dello scontro ideologico che, nella seconda metà del Novecento, ha portato quella
filosofia alla contrapposizione, spesso assai aspra, nei confronti del marxismo. Ciò che conta oggi, per chi ha
ancora fiducia nella politica, e vuole sottrarsi sia alle tentazioni sincretistiche che alle dispute filologiche
(saranno i filosofi a dedicarsi a queste ultime), è il ruolo della persona umana. E il nesso indissolubile tra
coscienza e responsabilità sociale. Non è questione oziosa: la politica contemporanea va in tutt’altra
direzione e si manifesta o come rappresentanza di “solidarietà corte” e interessi organizzati (lobbies e
corporazioni, sindacati e ordini) o come residuale espressione di gruppi sociali (movimenti collettivi e lavoro
precario, segmenti di territorio e fasce generazionali). Questi soggetti che chiedono e talvolta ottengono

rappresentanza sono spesso meritevoli di tutela e, pertanto, l’errore non consiste nel volerne proiettare le
domande sulla sfera politica. L’errore risiede, piuttosto, nell’incapacità pressoché generalizzata di partire
proprio dal nucleo essenziale della loro costituzione materiale. E dalla politica che lì si può fondare. Ovvero
la politica come proiezione nella sfera pubblica delle domande di diritto e di libertà che nascono dalla
persona. I bisogni umani che trovano, appunto, nella persona la loro fondazione e la loro legittimazione
come diritto richiedono una tutela che solo la politica può garantire. Oggi più che mai. Dunque, la centralità
della persona è la qualità possibile della politica contemporanea, nell’epoca dell’individualismo e nelle
società liquide. Inutile inseguire rappresentanze di classe, pericoloso assecondare tutele di corporazione. È
la persona umana che fonda la politica e la sua ricostruzione e ridefinizione a partire dall’individuo come
premessa di una identità condivisa che, a questo punto, può anche essere di gruppo sociale e persino “di
classe”, nella sua antica accezione. Che quanto fin qui detto sia tutt’altro che astrazione, è agevolmente
dimostrabile. Due questioni cruciali della politica contemporanea, non solo in Italia, rimandano
puntualmente a quel rapporto prima indicato tra corpo/soggettività, persona e diritto. Le tematiche di “fine
vita” e, dunque, il Testamento biologico, l’autodeterminazione del paziente, la libertà di cura, la “sovranità
su di sé e sul proprio corpo” da lì discendono; ma anche l’habeas corpus , le garanzie individuali, l’immunità
del recluso e l’irriducibilità dei suoi diritti fondamentali, a quel rapporto rimandano. E lo rendono più che
mai attuale e urgente.
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