MEMORIA

Indagare a fondo sul Pertini Luigi Manconi

Fin da quando, lunedì 26 ottobre, denunciai pubblicamente le circostanze della morte di Stefano Cucchi, segnalai due elementi. Il primo: il giovane romano aveva subito gravi violenze; il secondo: nei suoi confronti era stato attuato un vero e proprio abbandono terapeutico da parte della struttura sanitaria che lo ospitava. Gli avvisi di garanzia, inviati dalla procura, confermano pienamente quanto detto oltre due settimane fa. In particolare, allo stato dei fatti e di una documentazione clinica inequivocabile, si può affermare che il trattamento ricevuto da Cucchi nel reparto detentivo dell'ospedale Pertini è stato, non solo deontologicamente disumano, ma anche penalmente sanzionabile. La magistratura dovrà ora procedere, ma il discorso non si ferma qui. Molte segnalazioni da me ricevute e altrettante denunce circostanziate  convergono nel far ritenere che il reparto detentivo del Pertini non è una struttura sanitaria protetta, bensì una pessima galera, gestita con criteri che ben poco hanno di terapeutico ma che, piuttosto, sembrano ispirati a una logica solo ed esclusivamente di controllo autoritario. Si deve indagare a fondo, pertanto, sul quel reparto detentivo, sulle sue spaventose carenze e sulla sua gestione irresponsabile. Per accertare se altre vicende come quella di Cucchi siano già avvenute in passato e per evitare che altre avvengano in futuro.

Luigi Manconi presidente di A Buon Diritto già Sottosegretario alla Giustizia:
“Apprendo che un detenuto del centro clinico di Regina Coeli, affetto da ulcera rettocolitica, che determina consistenti perdite di sangue si trova attualmente nell’impossibilità di essere ricoverato in un ospedale cittadino dove ricevere un trattamento alternativo alla trasfusione, capace di assicurargli l’innalzamento dei valori ematici. Il detenuto rifiuta la trasfusione in quanto testimone di Geova che, in ragione della propria fede, non ammette quel tipo di trattamento terapeutico. A Roma, più di una struttura sanitaria ha la possibilità di effettuare trattamenti alternativi alle trasfusioni ma – si dice – che oggi in quelle strutture non c’è possibilità di accoglienza in quanto tutte messe a disposizione dei possibili malati della pandemia H1 N1. La cosa appare poco credibile e, dunque, sembra configurare piuttosto un atteggiamento discriminatorio nei confronti di chi si trovi privato della libertà.”


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