La rivolta degli schiavi
Fabrizio Gatti
La crisi economica. Le norme punitive del governo. Il razzismo. La condizione degli immigrati nel nostro Paese è sempre più difficile. Così crescono rabbia e voglia di protesta
Fabrizio Gatti
La crisi economica. Le norme punitive del governo. Il razzismo. La condizione degli immigrati nel nostro Paese è sempre più difficile. Così crescono rabbia e voglia di protesta
Un gruppo di immigrati lascia Rosarno
Non ci sono solo gli schiavi di Rosarno. A pezzi è tutto il sistema immigrazione. Dal Friuli alla Sicilia. Perché la crisi economica tra le industrie del Nord sta spingendo nell'illegalità migliaia di lavoratori stranieri che, perso il lavoro, non possono più rinnovare il permesso di soggiorno. Diventano fuorilegge. Cioè formalmente delinquenti, come ha voluto il governo con il pacchetto sicurezza che ha inventato il reato di clandestinità. Perdono cioè la possibilità di iscrivere i figli a scuola, di avere assistenza sanitaria, di fare o rinnovare la patente di guida, di frequentare luoghi pubblici, di affittare o possedere una casa, un'auto, un motorino. E una volta clandestini, non possono trovare un lavoro legale, avere uno stipendio legale, far valere la propria esistenza legale. Non possono fare nulla che richieda la registrazione del proprio nome, cognome, data di nascita e documento di identità.
A quel punto l'unica via di uscita per sopravvivere è diventare invisibili. E per molti anche schiavi: nelle campagne della Calabria, della provincia di Caserta, di Foggia o in Sicilia. Il sistema immigrazione non funziona nemmeno là dove il lavoro esiste ancora. Perché il rinnovo dei permessi di soggiorno è un altro fallimento. La legge impone 20 giorni per la consegna del nuovo documento. Le questure arrivano a una media di 101 giorni con picchi di 850: cioè quasi due anni e mezzo, durante i quali chi resta disoccupato rischia di non essere più assunto. Anche se trova un altro posto. È questa la storia di alcuni tra i 300 immigrati di tutta Italia che si sono uniti alla protesta del Partito radicale. Da settimane stanno facendo lo sciopero della fame a staffetta nella speranza che il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, si accorga di loro.
Siamo prigionieri di un mito impossibile che ha innescato una polveriera di rabbia e delusione. L'idea che le persone siano robot: le usi, le sfrutti e quando non c'è più lavoro le butti, cioè le rimpatri. Questo prevede la legge che porta il nome del ministro leghista Umberto Bossi e del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Le persone però non sono robot. Così l'esplosione di Rosarno potrebbe ripetersi ovunque. Al Sud e al Nord. Perché la riduzione in schiavitù la trovi, anche se in forme meno appariscenti, in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Come nelle campagne dell'Oltrepo Pavese, dove nel 2006 i carabinieri hanno arrestato una banda di caporali che forniva braccianti romeni per la vendemmia. Oppure nei cantieri edili dove a volte gli schiavisti sono gli ex muratori bergamaschi e bresciani che hanno costruito la Milano da bere degli anni Ottanta. E ora votano Lega.
L'unica possibilità di sfogo per uscirne integri è lo sciopero, il primo sciopero degli immigrati. Così scrivono in questi giorni su Internet i blogger di Primomarzo2010 che da novembre stanno organizzando la prima giornata di protesta degli stranieri (vedi box a pagina 33). La data è ancora da stabilire. Potrebbe essere proprio il primo marzo, stesso giorno dello sciopero degli immigrati in Francia e, forse, in Spagna. Oppure il 20 marzo. L'idea è far vedere cosa succede in Italia senza quel 6,6 per cento della popolazione composta da abitanti con il permesso di soggiorno e senza possibilità di votare o essere eletti. Ma lo sciopero è un diritto fondamentale tra cittadini liberi. E gli stranieri non lo sono. Se ne stanno rendendo conto le giovani organizzatrici della manifestazione. "Stiamo cercando una forma nuova di sciopero", racconta Francesca Terzoni: "Perché gli immigrati nelle condizioni di lavoro peggiori sono gli irregolari e molti altri sono sottoposti a forme di contratto per le quali non possono scioperare". Il ministro leghista per la Semplificazione, Roberto Calderoli, già minaccia retate: "Se l'iniziativa partisse dagli irregolari, si tratterebbe soltanto di espellerli". Non si risolvono più i problemi. Si rimuovono le persone. Proprio come è successo per i braccianti di Rosarno. Dopo il trasferimento nei centri di identificazione di Crotone e Bari (senza che il loro lavoro venisse pagato), il ministro Maroni ha annunciato che gli irregolari saranno espulsi. Il ministero ha intenzione di chiedere alla Libia la disponibilità a riprendersi almeno gli immigrati africani arrivati a Lampedusa e schedati dopo la sbarco. Immigrati che poi Tripoli potrebbe a sua volta trasferire nel Sahara, dove nel marzo scorso un'operazione di espulsione si è trasformata in una strage nel deserto (vedi l'articolo a pag 34 e il filmato sul nostro sito).
Scioperare in una democrazia dovrebbe essere un'opportunità garantita. Ma il difficile percorso per proteggere gli stranieri è il riflesso dell'Italia che l'asse Bossi-Berlusconi ci ha costruito addosso. La Cgil sostiene il progetto e sta cercando un modo perché la protesta non scateni ritorsioni contro gli immigrati: "È un'idea positiva", commenta Pietro Soldini, responsabile Cgil del settore immigrazione: "Però dobbiamo stare attenti che non si trasformi in un boomerang. Potremmo pensare a uno sciopero dei consumi, a segni di riconoscimento da indossare, a una iniziativa da fare di sabato quando la maggior parte della gente già non lavora". A Milano la comunità araba è invece per lo sciopero tradizionale, come spiega l'avvocato del lavoro Domenico Tambasco. E il passaparola ha già raggiunto le moschee.
"Tantissimi vorrebbero ma non possono scioperare", dice Alessandra Ballerini, avvocato a Genova: "Se saltano un giorno di lavoro vengono licenziati. Spesso rinunciano perfino ad andare dal medico. Se perdi il lavoro, perdi il permesso di soggiorno". Prendete la storia di Fathia Fikri, 43 anni, marocchina, la mamma coraggio di Acquanegra sul Chiese in provincia di Mantova, rimasta sola a crescere la sua bimba di 5 anni. Non si sentiva bene da un po' di tempo. Ma non è si è curata per paura di perdere il posto, addetta alle pulizie. Forse sospettava o sapeva di avere qualcosa di grave. È morta qualche giorno fa nel letto, come raccontano i giornali locali. Accanto, la sua bimba che l'ha vegliata per ore. "La mamma sta dormendo", ha detto ai vicini che suonavano alla porta.
Vita e morte di gente perbene, invisibile e ignorata. Mentre molti Comuni della provincia di Mantova sono impegnati nelle campagne contro i clandestini della porta accanto, anche se lavorano onestamente. Storie simili a un'altra provincia lombarda, Brescia, terra di sindaci e assessori razzisti senza vergogna. Dove può capitare di incontrare in municipio consiglieri comunali in camicia nera con l'aquila del Terzo Reich spillata al petto. A Brescia però gli stranieri partecipano alle proteste. Grazie all'industria che li ha avvicinati al sindacato. La prossima chiamata è per sabato 6 febbraio con la manifestazione contro le ordinanze razziste.
Nel cuore del Nord-est, un'altra valanga sta partendo dalla provincia di Venezia. Se ne sono accorti allo sportello immigrazione di Mestre dove si rivolgono le migliaia di operai stranieri degli impianti in crisi profonda di Fincantieri e delle piccole industrie: "Riceviamo richieste di rinnovo di permessi di soggiorno soltanto per attesa di lavoro", spiega Leonardo Menegotto, responsabile Cgil: "Sono persone che il lavoro l'hanno già perso. Secondo la legge dovrebbero trovarne un altro entro sei mesi. Poi diventano irregolari, cioè devono essere espulsi". Nel frattempo sono adesso clandestini quanti avevano perso il posto la scorsa primavera. La disoccupazione è un dramma per tutti. La differenza è che un italiano non deve andarsene e non deve nascondersi. Lo straniero, trascorsi sei mesi, è finito. Anche se non ha mai commesso reati, se trova lavoro dopo otto mesi, se ha figli e famiglia. Deve lasciare l'Italia. E deve farlo prima che scada il permesso. Perché poi va arrestato o rinchiuso nei Cie. Come è successo la scorsa settimana a un senegalese fermato all'aeroporto di Fiumicino mentre stava tornando a Dakar. A sue spese.
La Bossi-Fini e il pacchetto sicurezza sono una miscela esplosiva. Come farà l'Italia ad avere lavoratori regolari pronti per quando arriverà la ripresa? "Il risultato è Rosarno, il tentativo di trovare un lavoro temporaneo al prezzo della schiavitù", spiega Menegotto: "Rosarno è stata la valvola di sfogo che ha impedito che la rivolta scoppiasse al Nord. Molti immigrati del Nord-est senza cassaintegrazione sono andati giù a cercare un lavoro stagionale. Rosarno, Castel Volturno, Foggia sono state create dal sistema economico e dal fallimento della Bossi-Fini. Lo sciopero degli stranieri va fatto. Ma senza il supporto degli italiani non servirebbe a nulla".
Non si possono più fare paragoni con l'apartheid del vecchio Sudafrica. La caccia all'uomo dei giorni scorsi in Calabria sembra uscire dagli incubi americani che vent'anni fa il regista Alan Parker ha raccontato nel film 'Mississippi Burning'. Tre giorni e tre notti in cui gruppi di italianissimi pistoleros, armati dalla 'ndrangheta e dai proprietari terrieri, hanno avuto la libertà e l'impunità di girare, sparare e colpire persone. Con un bilancio ridicolo di arrestati: due calabresi per tentato omicidio, uno per lesioni aggravate, secondo quanto ha confermato il procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo. Roba che in qualunque Paese avanzato avrebbe portato alle dimissioni del ministro dell'Interno per incompetenza manifesta. Tre giorni e tre notti che hanno umiliato polizia e carabinieri e che hanno dimostrato chi davvero comanda in quel territorio. Eppure per il ministro dell'Interno il pericolo non è costituito dal controllo della 'ndrangheta su pezzi dell'economia e dallo sfruttamento impunito di migliaia di immigrati nell'agricoltura in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Il problema, secondo quanto ha detto Maroni, è ancora una volta la "troppa tolleranza nei confronti dell'immigrazione clandestina".
Quest'anno però a Rosarno sono arrivati meno clandestini del passato. Il primo segnale risale all'11 dicembre quando i volontari di Medici senza frontiere, come ogni anno, vanno a visitare i rifugi di fortuna per dare assistenza medica. Lo scrivono anche i poliziotti del commissariato. Molte persone hanno il permesso di soggiorno in regola. Sono disoccupati scesi dal Nord. Molti trovano lavoro. I coltivatori dicono loro che li prendono in prova una o due settimane per poi fare un contratto regolare. È una truffa. Alla fine li cacciano dicendo che non hanno superato la prova. E non li pagano. Va avanti così quasi un mese. Sono in tanti e la truffa si ripete. Gli africani non sanno che quest'anno le aziende agricole preferiscono lasciare le arance sugli alberi e sfruttare i rimborsi dell'Unione europea. E soprattutto che i caporali vogliono sostituirli con bulgari e romeni perché, per il lavoro che rimane, accettano paghe più basse: fino a 50 centesimi l'ora contro i 2 euro degli africani e i 6,20 del minimo contrattuale. È successo lo stesso nel 2007 a Foggia. Così gli sgherri locali sparano. Usano pallini per non uccidere. Fino a far scoppiare la rivolta. "Lo sfruttamento comincia ancora prima che i braccianti partano dal loro Paese. Pagano fino a 5 mila euro per venire a lavorare qui", rivela Pietro Soldini: "Il dramma è che Maroni ordina di rastrellare gli immigrati, ma nessuno è andato a cercarli nei campi di lavoro".
Se fosse successo, la Bossi-Fini avrebbe protetto gli schiavisti. Un immigrato irregolare rischia quattro anni di carcere. L'imprenditore che lo sfrutta molto meno, fino a tre anni, e mancando il contratto scritto non si trova mai. Il caporale non rischia niente perché non esiste il reato. Nel 2006 una commissione del ministero dell'Interno, dopo l'inchiesta de 'L'espresso' a Foggia, aveva sollecitato l'introduzione di una norma su misura. Proposta cestinata. Sempre nel 2006, secondo l'Agenzia delle entrate, in Calabra e non solo il 94 per cento dell'imponibile Irap, l'imposta regionale sulle attività produttive, è stato sottratto al fisco: il 94 per cento. Eppure nel 2009 il Documento di programmazione dell'attività di vigilanza voluto dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha ridotto del 24 per cento i controlli sui posti di lavoro, con punte del 50 per cento in Calabria. Ispezioni dimezzate, nonostante l'assunzione di 1.400 ispettori in tutta Italia dal 2006. Il motivo? "La criticità del momento contingente rafforza la scelta... di limitare ostacoli al sistema produttivo". Uno schiaffo agli imprenditori onesti. Un premio del ministro agli evasori, ai caporali, ai mafiosi di Rosarno. Altro che immigrazione clandestina.
(14 gennaio 2010) L'Espresso
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