Conformismi
Le contraddizioni su nozze gay e “pensiero dominante”, a partire da un articolo di Galli della Loggia
Luigi Manconi
È recentissima la decisione della Cassazione che rigetta il ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello, che aveva stabilito l’affidamento esclusivo del figlio minore alla madre, convivente con una donna. Ciò consente di riprendere un tema al quale, qualche settimana fa, il Corriere della Sera ha dedicato ampio spazio. Lo spunto iniziale è stato offerto da un articolo di Ernesto Galli della Loggia del 30 dicembre scorso, che ha riassunto un testo (“Matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione”) del Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim. Galli della Loggia sottolinea, in primo luogo, “la forte somiglianza di molte delle cose dette da Bernheim con quelle sostenute dal magistero cattolico”: e fa sue le medesime argomentazioni. Quindi conclude che “il punto di vista della religione nel discorso pubblico” è spesso prezioso per “misurare la rottura” che le decisioni dell’autorità pubblica “possono rappresentare rispetto alle radici più profonde e vitali della nostra antropologia e della nostra cultura”. Fin qui siamo nell’ambito di una interessante discussione tra opzioni culturali assai diverse, ispirate a loro volta a differenti sistemi di valori; e quelle espresse da della Loggia e dal Gran Rabbino, così come quelle del magistero cattolico, sono degne della massima attenzione anche da parte di chi non le condivida affatto. Si tratta di posizioni non solo legittime, ci mancherebbe, ma essenziali per il libero confronto, in quanto rimandano a culture che appartengono pienamente allo sviluppo storico della nostra identità; e, infatti, esse godono di ampio spazio pubblico e di adeguati mezzi di comunicazione. Che senso ha, pertanto, presentarle quasi fossero le audacissime tesi di una minoranza perseguitata? D'altra parte, è vero che nel dibattito su questi temi si confrontano opzioni, talvolta aspramente contrapposte, che orientano differenti scelte politiche, suscettibili di determinare importanti conseguenze sulla vita pubblica. È esattamente questa la ragione che dovrebbe rendere meno rigide le posizioni di tutti; e aiutare a comprendere come i tratti essenziali di una possibile morale pubblica, sobria e non invasiva, capace di garantire i diritti di tutti senza mortificare i valori di ognuno, siano ciò che misura la qualità etica di una democrazia. Ebbene, quei tratti di una possibile morale pubblica, in grado di tradursi in alcune norme condivise sulle "questioni di vita e di morte", in Italia sono ancora tutti da conquistare. Tanto più dunque, colpisce la descrizione dello scenario in cui della Loggia colloca il suo apprezzamento per lo scritto del Gran Rabbino.
Il titolo redazionale dell’articolo del Corriere è già eloquentissimo: “le religioni che sfidano il conformismo sui gay”. Dunque, sarebbe quest'ultimo, il "conformismo sui gay", a dominare le opinioni pubbliche delle nostre società. In un simile contesto, le affermazioni del Gran Rabbino rappresenterebbero un atto di “coraggio” contro “il mainstream delle idee dominanti”. E questo è ancora più significativo, nota della Loggia, “per l’Italia, dove è sempre più raro ascoltare voci fuori dal coro” e, quando queste si fanno sentire, vengono messe a tacere dalle solite “vestali dell’Illuminismo”.
C’è da trasecolare. Dunque, il “conformismo sui gay” corrisponderebbe, secondo della Loggia e altri, a un senso comune egemone, in particolare in Italia. Nella stessa Italia, guarda un po’, dove non esiste uno straccio di legislazione sulle unioni civili e non è nemmeno alle viste, per ora, un progetto di riforma, aggiornamento e integrazione delle norme del Codice civile in materia. E il Parlamento non è stato in grado di approvare una legge contro l’omofobia. Fatale che, se la politica tace, sia la giurisdizione a parlare.
Come mai è potuto accadere che “le vestali dell’Illuminismo” così egemoni nel determinare il senso comune e le decisioni pubbliche, non siano state in grado di introdurre norme a tutela della condizione omosessuale? Tutto ciò sembra sfuggire a uno studioso attento e - il che non guasta – gentile e rispettoso delle idee altrui, come della Loggia, nel quale si avverte, sottile e suadente, il compiacimento di ritrovarsi, con sommesso orgoglio, “controcorrente”. Il motivo è semplice: egli è parte, e per molti versi guida, di un mainstream davvero dominante; e, in odio al politicamente corretto, ritiene che questo (“il conformismo sui gay”, per esempio) sia il Pensiero Unico Egemone (PUE). La causa di un simile abbaglio è facilmente rintracciabile: in effetti, quel PUE circola in alcune élites che costituiscono l’ambiente quotidiano che della Loggia si trova a frequentare (università, case editrici, mezzi di informazione, circoli culturali….). Anche chi avversa quel mondo, fatalmente ne fa parte per ragioni sociali e culturali, e rischia di scambiare l’umore che lì si percepisce per lo “spirito del tempo”. Ma non è così. La mentalità condivisa e i sentimenti collettivi sono in prevalenza altri. E nel senso comune c’è spazio, eccome, per l’omofobia, il disprezzo per gli omosessuali e per tutti i diversi, la voglia di discriminazione. All’anima del conformismo sui gay.
il Foglio 15 gennaio 2013
Conformismi
Le contraddizioni su nozze gay e “pensiero dominante”, a partire da un articolo di Galli della Loggia
Luigi Manconi
È recentissima la decisione della Cassazione che rigetta il ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello, che aveva stabilito l’affidamento esclusivo del figlio minore alla madre, convivente con una donna. Ciò consente di riprendere un tema al quale, qualche settimana fa, il Corriere della Sera ha dedicato ampio spazio. Lo spunto iniziale è stato offerto da un articolo di Ernesto Galli della Loggia del 30 dicembre scorso, che ha riassunto un testo (“Matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione”) del Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim.
Galli della Loggia sottolinea, in primo luogo, “la forte somiglianza di molte delle cose dette da Bernheim con quelle sostenute dal magistero cattolico”: e fa sue le medesime argomentazioni. Quindi conclude che “il punto di vista della religione nel discorso pubblico” è spesso prezioso per “misurare la rottura” che le decisioni dell’autorità pubblica “possono rappresentare rispetto alle radici più profonde e vitali della nostra antropologia e della nostra cultura”. Fin qui siamo nell’ambito di una interessante discussione tra opzioni culturali assai diverse, ispirate a loro volta a differenti sistemi di valori; e quelle espresse da della Loggia e dal Gran Rabbino, così come quelle del magistero cattolico, sono degne della massima attenzione anche da parte di chi non le condivida affatto. Si tratta di posizioni non solo legittime, ci mancherebbe, ma essenziali per il libero confronto, in quanto rimandano a culture che appartengono pienamente allo sviluppo storico della nostra identità; e, infatti, esse godono di ampio spazio pubblico e di adeguati mezzi di comunicazione. Che senso ha, pertanto, presentarle quasi fossero le audacissime tesi di una minoranza perseguitata? D'altra parte, è vero che nel dibattito su questi temi si confrontano opzioni, talvolta aspramente contrapposte, che orientano differenti scelte politiche, suscettibili di determinare importanti conseguenze sulla vita pubblica. È esattamente questa la ragione che dovrebbe rendere meno rigide le posizioni di tutti; e aiutare a comprendere come i tratti essenziali di una possibile morale pubblica, sobria e non invasiva, capace di garantire i diritti di tutti senza mortificare i valori di ognuno, siano ciò che misura la qualità etica di una democrazia. Ebbene, quei tratti di una possibile morale pubblica, in grado di tradursi in alcune norme condivise sulle "questioni di vita e di morte", in Italia sono ancora tutti da conquistare. Tanto più dunque, colpisce la descrizione dello scenario in cui della Loggia colloca il suo apprezzamento per lo scritto del Gran Rabbino.
Il titolo redazionale dell’articolo del Corriere è già eloquentissimo: “le religioni che sfidano il conformismo sui gay”. Dunque, sarebbe quest'ultimo, il "conformismo sui gay", a dominare le opinioni pubbliche delle nostre società. In un simile contesto, le affermazioni del Gran Rabbino rappresenterebbero un atto di “coraggio” contro “il mainstream delle idee dominanti”. E questo è ancora più significativo, nota della Loggia, “per l’Italia, dove è sempre più raro ascoltare voci fuori dal coro” e, quando queste si fanno sentire, vengono messe a tacere dalle solite “vestali dell’Illuminismo”.
C’è da trasecolare. Dunque, il “conformismo sui gay” corrisponderebbe, secondo della Loggia e altri, a un senso comune egemone, in particolare in Italia. Nella stessa Italia, guarda un po’, dove non esiste uno straccio di legislazione sulle unioni civili e non è nemmeno alle viste, per ora, un progetto di riforma, aggiornamento e integrazione delle norme del Codice civile in materia. E il Parlamento non è stato in grado di approvare una legge contro l’omofobia. Fatale che, se la politica tace, sia la giurisdizione a parlare.
Come mai è potuto accadere che “le vestali dell’Illuminismo” così egemoni nel determinare il senso comune e le decisioni pubbliche, non siano state in grado di introdurre norme a tutela della condizione omosessuale? Tutto ciò sembra sfuggire a uno studioso attento e - il che non guasta – gentile e rispettoso delle idee altrui, come della Loggia, nel quale si avverte, sottile e suadente, il compiacimento di ritrovarsi, con sommesso orgoglio, “controcorrente”. Il motivo è semplice: egli è parte, e per molti versi guida, di un mainstream davvero dominante; e, in odio al politicamente corretto, ritiene che questo (“il conformismo sui gay”, per esempio) sia il Pensiero Unico Egemone (PUE). La causa di un simile abbaglio è facilmente rintracciabile: in effetti, quel PUE circola in alcune élites che costituiscono l’ambiente quotidiano che della Loggia si trova a frequentare (università, case editrici, mezzi di informazione, circoli culturali….). Anche chi avversa quel mondo, fatalmente ne fa parte per ragioni sociali e culturali, e rischia di scambiare l’umore che lì si percepisce per lo “spirito del tempo”. Ma non è così. La mentalità condivisa e i sentimenti collettivi sono in prevalenza altri. E nel senso comune c’è spazio, eccome, per l’omofobia, il disprezzo per gli omosessuali e per tutti i diversi, la voglia di discriminazione. All’anima del conformismo sui gay.

il Foglio 15 gennaio 2013
Share/Save/Bookmark
Commenti (0)
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.