Quei giovani ribelli della nuova destra con i simboli del vecchio estremismo
Luigi Manconi
Già il sentir parlare di “ ritorno” può suscitare qualche inquietudine. Come insegna la saggezza popolare, ma anche un proverbio nicaraguense, la seconda volta di una cosa è quasi sempre la peggiore. Tuttavia, a proposito della attuale ripresa dell’ attività neo-fascista a Roma, è giusto l’allarme e, soprattutto, la massima attenzione, ma è altrettanto giusto mantenere i nervi saldi. Il fenomeno è indubbiamente serio e molto seriamente va considerato. Lo si scopre solo ora, ma esso ha radici che rimandano a due decenni fa e, in qualche caso, a un tempo ancora precedente. Parliamo di movimenti che tentano di coniugare, certo in maniera maldestra e talvolta fin sgangherata, tradizione e innovazione. E che, tutti, esprimono una radicale avversione nei confronti della modernità. E di ciò che essa si porta appresso. Il nemico principale – la fonte del Male – e l’origine della crisi economico-finanziaria e, ancor prima, di quella morale è il mondialismo. Quest’ultimo rappresenta la versione tecnocratica e “multiculturale”, economicistica e omologante di quella che viene definita dagli economisti (e da una parte della cultura politica) globalizzazione. La globalizzazione vista dall’estrema destra è innanzitutto distruzione delle identità nazionali (delle patrie), ma anche della civiltà cristiano-occidentale: e, a quell’opera, contribuiscono allo stesso tempo le ambizioni delle istituzioni europee e i processi di “americanizzazione” degli stili di vita e dei consumi collettivi, delle culture di massa e dei valori dominanti. Come si vede, nulla di nuovo: si tratta di tematiche che ebbero la prima sistematizzazione e ottennero i primi consensi già nel periodo tra le due guerre mondiali, ma le enormi trasformazioni successive hanno ridato loro un notevole impulso. Siamo al ritorno, appunto. Agevolato, tutto ciò, dal peso determinante di fattori come l’informatica, che ha dato alla minaccia altrimenti impalpabile e sfuggente della tecnocrazia, una concreta e formidabile immanenza; o come i grandi flussi migratori che hanno contribuito a disgregare le culture tradizionali e a erodere i ceppi etnici originari.  Ma cosa c’entra questo torvo scenario geopolitico, di portata planetaria, con i fumogeni gialli lanciati davanti al liceo scientifico Manfredi Azzarita di via Umberto Boccioni 14, a Roma? C’entra, per più di una ragione. Innanzitutto perché nell’immaginario politico-culturale di un certo estremismo, l’attuale governo italiano incarna puntualmente, in maniera addirittura plastica, l’articolazione nazionale della tecnocrazia allo stato puro. Governanti non eletti dal popolo e privi, nella gran parte dei casi, di qualunque precedente esperienza politica; competenze di natura prevalentemente tecnica, rivendicate con fierezza e valorizzate come prima e principale risorsa di governo; estrazione professionale in ambienti economici internazionali e all’interno dei più potenti circoli del credito e della finanza. Questa fisionomia, diciamo così, sociologica dell’attuale ceto di governo risulta esaltata dalla congiuntura economica, che enfatizza lo scarto tra quell’esecutivo e le condizioni sociali ed economiche del paese. Non a caso, la contestazione nei confronti del “governo dei tecnocrati” in quanto tale trova notevoli consensi anche in alcune aree della sinistra minoritaria (e non considero, ovviamente, quella di ispirazione terroristica che pure ha negli organismi sovranazionali il nemico giurato). In ambito giovanile e studentesco, la sinistra minoritaria – non troppo diversamente da quella che fa riferimento a Pd e Sel – sembra aver adottato, in tutta Italia, un profilo sostanzialmente pacifico, concentrato su un programma di riformismo radicale: obiettivo principale, la controriforma Gelmini. A destra, lo stesso bersaglio viene collocato dentro lo scenario di cui si è detto, dove precipitano i riferimenti ideologici e gli apparati culturali delle organizzazioni neo-fasciste “adulte” alle quali sono collegati i ragazzi con i fumogeni. In particolare, Terza posizione e Forza Nuova. Quest’ultima è all’origine di Lotta studentesca e ne ispira la fisionomia: una concezione rigidamente tradizionalista, tutta affidata a, si fa per dire, valori ultra-conservatori, che mettono insieme un’idea gerarchica dell’organizzazione sociale e la difesa della cultura cattolico-occidentale.  A sua volta, Terza posizione (il cui nome intendeva evocare una collocazione radicalmente nuova) è tra le organizzazioni che concorrono alla nascita di Casa Pound, e, attraverso questa, a Blocco Studentesco. Un movimento che nel corso di appena 6 anni riesce a ottenere notevoli successi tra gli studenti medi e universitari, conquistando un significativo numero di eletti all’interno degli organismi rappresentativi. Casa Pound è oggi un’organizzazione presente in decine di città italiane, che aspira a collocarsi in uno spazio pubblico “oltre la destra e la sinistra”, ma che rivela una solida matrice fascistoide. In altre parole, quel movimento non è stato in grado di elaborare una cultura politica minimamente originale se non, appunto, nel riproporre antichi concetti del pensiero autoritario della prima metà del 900 e suggestioni anticapitaliste e anti-imperialiste riverniciate da un linguaggio trendy. Un restyling che non è stato sufficiente a impedire numerosi episodi di intolleranza e anche di aggressione fisica della quali il minimo che si possa dire è che Casa Pound non ne ha preso le distanze in modo convincente. Ma la vicenda di questo movimento è assai significativa per un’altra ragione. La sua contraddittoria identità non ha convinto la figlia del grande poeta a cui il movimento si intitola, ma indubbiamente ha confuso un certo numero di intellettuali italiani. Quasi che l’alternativa fosse tra il dare l’assalto armato alla loro sede o legittimarli politicamente, si è assistito a una troppo rapida e superficiale concessione di credito, dentro a una più ampia tendenza alla banalizzazione della storia. Il che è molto interessante perché rifiutare quella falsa alternativa dovrebbe portare a una conseguenza che è propria dei sistemi democratici: la rigorosa distinzione delle diverse opzioni politiche e il loro pacifico confronto, che non prevede né la reciproca aggressione né la corriva omologazione. Dietro tutto ciò, c’è persino qualcosa di peggio. E ancora una falsa alternativa: quella tra un antifascismo celebrativo e retorico e l’enfasi su una presunta memoria condivisa (tra chi fu fascista e chi fu antifascista e tra chi si ispira ai primi e tra chi si ispira ai secondi). Mentre, va da sé, l’antifascismo, coniugato a una forte opzione anti-totalitaria, conserva oggi la sua validità.  E la ricerca di un insieme di valori comuni tra tutti coloro che credono nel sistema democratico non attenua l’entità della frattura che lacerò l’Italia della prima metà del secolo scorso; e non attenua, di conseguenza, la memoria di essa. Tanto più che viviamo in un paese dove a un bel tomo può saltare in mente, una mattina, di intitolare un aeroporto a Benito Mussolini. Come se in Germania avessero dedicato ad Adolf Hitler la nuova stazione ferroviaria di Berlino.
il Messaggero 24.10.2012
Quei giovani ribelli della nuova destra con i simboli del vecchio estremismo
Luigi Manconi
Già il sentir parlare di “ ritorno” può suscitare qualche inquietudine. Come insegna la saggezza popolare, ma anche un proverbio nicaraguense, la seconda volta di una cosa è quasi sempre la peggiore. Tuttavia, a proposito della attuale ripresa dell’ attività neo-fascista a Roma, è giusto l’allarme e, soprattutto, la massima attenzione, ma è altrettanto giusto mantenere i nervi saldi. Il fenomeno è indubbiamente serio e molto seriamente va considerato.
Lo si scopre solo ora, ma esso ha radici che rimandano a due decenni fa e, in qualche caso, a un tempo ancora precedente. Parliamo di movimenti che tentano di coniugare, certo in maniera maldestra e talvolta fin sgangherata, tradizione e innovazione. E che, tutti, esprimono una radicale avversione nei confronti della modernità. E di ciò che essa si porta appresso. Il nemico principale – la fonte del Male – e l’origine della crisi economico-finanziaria e, ancor prima, di quella morale è il mondialismo. Quest’ultimo rappresenta la versione tecnocratica e “multiculturale”, economicistica e omologante di quella che viene definita dagli economisti (e da una parte della cultura politica) globalizzazione. La globalizzazione vista dall’estrema destra è innanzitutto distruzione delle identità nazionali (delle patrie), ma anche della civiltà cristiano-occidentale: e, a quell’opera, contribuiscono allo stesso tempo le ambizioni delle istituzioni europee e i processi di “americanizzazione” degli stili di vita e dei consumi collettivi, delle culture di massa e dei valori dominanti. Come si vede, nulla di nuovo: si tratta di tematiche che ebbero la prima sistematizzazione e ottennero i primi consensi già nel periodo tra le due guerre mondiali, ma le enormi trasformazioni successive hanno ridato loro un notevole impulso. Siamo al ritorno, appunto. Agevolato, tutto ciò, dal peso determinante di fattori come l’informatica, che ha dato alla minaccia altrimenti impalpabile e sfuggente della tecnocrazia, una concreta e formidabile immanenza; o come i grandi flussi migratori che hanno contribuito a disgregare le culture tradizionali e a erodere i ceppi etnici originari.  Ma cosa c’entra questo torvo scenario geopolitico, di portata planetaria, con i fumogeni gialli lanciati davanti al liceo scientifico Manfredi Azzarita di via Umberto Boccioni 14, a Roma? C’entra, per più di una ragione. Innanzitutto perché nell’immaginario politico-culturale di un certo estremismo, l’attuale governo italiano incarna puntualmente, in maniera addirittura plastica, l’articolazione nazionale della tecnocrazia allo stato puro. Governanti non eletti dal popolo e privi, nella gran parte dei casi, di qualunque precedente esperienza politica; competenze di natura prevalentemente tecnica, rivendicate con fierezza e valorizzate come prima e principale risorsa di governo; estrazione professionale in ambienti economici internazionali e all’interno dei più potenti circoli del credito e della finanza. Questa fisionomia, diciamo così, sociologica dell’attuale ceto di governo risulta esaltata dalla congiuntura economica, che enfatizza lo scarto tra quell’esecutivo e le condizioni sociali ed economiche del paese. Non a caso, la contestazione nei confronti del “governo dei tecnocrati” in quanto tale trova notevoli consensi anche in alcune aree della sinistra minoritaria (e non considero, ovviamente, quella di ispirazione terroristica che pure ha negli organismi sovranazionali il nemico giurato). In ambito giovanile e studentesco, la sinistra minoritaria – non troppo diversamente da quella che fa riferimento a Pd e Sel – sembra aver adottato, in tutta Italia, un profilo sostanzialmente pacifico, concentrato su un programma di riformismo radicale: obiettivo principale, la controriforma Gelmini. A destra, lo stesso bersaglio viene collocato dentro lo scenario di cui si è detto, dove precipitano i riferimenti ideologici e gli apparati culturali delle organizzazioni neo-fasciste “adulte” alle quali sono collegati i ragazzi con i fumogeni. In particolare, Terza posizione e Forza Nuova. Quest’ultima è all’origine di Lotta studentesca e ne ispira la fisionomia: una concezione rigidamente tradizionalista, tutta affidata a, si fa per dire, valori ultra-conservatori, che mettono insieme un’idea gerarchica dell’organizzazione sociale e la difesa della cultura cattolico-occidentale.  A sua volta, Terza posizione (il cui nome intendeva evocare una collocazione radicalmente nuova) è tra le organizzazioni che concorrono alla nascita di Casa Pound, e, attraverso questa, a Blocco Studentesco. Un movimento che nel corso di appena 6 anni riesce a ottenere notevoli successi tra gli studenti medi e universitari, conquistando un significativo numero di eletti all’interno degli organismi rappresentativi. Casa Pound è oggi un’organizzazione presente in decine di città italiane, che aspira a collocarsi in uno spazio pubblico “oltre la destra e la sinistra”, ma che rivela una solida matrice fascistoide. In altre parole, quel movimento non è stato in grado di elaborare una cultura politica minimamente originale se non, appunto, nel riproporre antichi concetti del pensiero autoritario della prima metà del 900 e suggestioni anticapitaliste e anti-imperialiste riverniciate da un linguaggio trendy. Un restyling che non è stato sufficiente a impedire numerosi episodi di intolleranza e anche di aggressione fisica della quali il minimo che si possa dire è che Casa Pound non ne ha preso le distanze in modo convincente. Ma la vicenda di questo movimento è assai significativa per un’altra ragione. La sua contraddittoria identità non ha convinto la figlia del grande poeta a cui il movimento si intitola, ma indubbiamente ha confuso un certo numero di intellettuali italiani. Quasi che l’alternativa fosse tra il dare l’assalto armato alla loro sede o legittimarli politicamente, si è assistito a una troppo rapida e superficiale concessione di credito, dentro a una più ampia tendenza alla banalizzazione della storia. Il che è molto interessante perché rifiutare quella falsa alternativa dovrebbe portare a una conseguenza che è propria dei sistemi democratici: la rigorosa distinzione delle diverse opzioni politiche e il loro pacifico confronto, che non prevede né la reciproca aggressione né la corriva omologazione. Dietro tutto ciò, c’è persino qualcosa di peggio. E ancora una falsa alternativa: quella tra un antifascismo celebrativo e retorico e l’enfasi su una presunta memoria condivisa (tra chi fu fascista e chi fu antifascista e tra chi si ispira ai primi e tra chi si ispira ai secondi). Mentre, va da sé, l’antifascismo, coniugato a una forte opzione anti-totalitaria, conserva oggi la sua validità.  E la ricerca di un insieme di valori comuni tra tutti coloro che credono nel sistema democratico non attenua l’entità della frattura che lacerò l’Italia della prima metà del secolo scorso; e non attenua, di conseguenza, la memoria di essa. Tanto più che viviamo in un paese dove a un bel tomo può saltare in mente, una mattina, di intitolare un aeroporto a Benito Mussolini. Come se in Germania avessero dedicato ad Adolf Hitler la nuova stazione ferroviaria di Berlino.

il Messaggero 24.10.2012
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