Politicamente correttissimo
Il terrore gratis
Perché è difficile immaginare una risposta razionale ai fatti di sangue di Brindisi e Genova
Luigi Manconi


E’interamente
condivisibile,
l’editoriale di ieri di
Giuliano Ferrara
(“Strage delle
ragazzine, come
cacciare i demoni di
Brindisi”), e tuttavia
mi ha lasciato un gusto
amaro in bocca.

E un senso di
irreparabile fragilità. L’ho trovato,
quell’articolo, per così dire troppo
ragionevole: quasi che il direttore del
Foglio – davanti all’Orrore Assoluto e
assolutamente insensato – cercasse
disperatamente di afferrare il bandolo
della razionalità. Per appigliarsi a esso.
Di fronte all’assurdo indecifrabile del
delitto più oltraggioso, Ferrara si rifà
alle poche certezze cui può ricorrere un
democratico conseguente: utilizza il
buon senso e il richiamo ai valori
condivisi, si appella alla coesione
sociale e al significato più profondo di
una comunità civile e politica. E’
quanto sta facendo, in queste ore,
ciascuno di noi, tanto più perché
l’immagine straziata e straziante di
quelle ragazze tende irresistibilmente a
sovrapporsi a immagini di ragazze a noi
care, figlie o conoscenti che siano. Del
tutto apprezzabili, dunque, l’articolo di
Ferrara e il suo auspicio: “Bisogna che
ci sia una resipiscenza di animo civile,
un modo per affrontare una situazione
tanto esposta al nulla con una pienezza
di significato e un investimento di
fiducia difficili ma decisivi”. Ma è come
se quell’analisi e quell’esortazione qui
vacillassero. Ovvero potessero valere
per alcune circostanze e non per altre,
funzionassero in occasione di
determinate crisi e non di tutte le crisi,
risultassero efficaci a determinate
condizioni e vane in presenza di
condizioni diverse. In altre parole, si
può reagire con forza e intelligenza di
fronte a un nemico intellegibile: si può
opporre, cioè, la propria razionalità,
augurandosi che possa prevalere, a
quella nemica solo se le due razionalità
parlano una lingua comune e adottano
un codice in qualche modo affine. Per
capirci. Il terrorismo delle Brigate
rosse, rispetto a quello attuale, era più
facilmente affrontabile, anche se assai
più potente: perché esso costituiva
l’estrema frazione criminale (il
segmento ultimo e tuttavia interno) del
medesimo scenario politico e del
medesimo linguaggio politico. La
Democrazia cristiana poteva “trattare”
con le Brigate rosse perché queste
ultime erano, sì, una “variabile
impazzita” ma variabile di una sorta di
unica cultura politica in tutte le sue
abissali differenze. Certo, pare
incredibile – tanto più se considerata
oggi – ma quella cultura svolgeva un
suo ruolo unificante, oltre le fratture
ideologiche del passato e persino oltre
le lacerazioni cruenti del presente. E
oltre la stessa dimensione di guerra
civile, “simulata” nella sua gran parte e
tuttavia sanguinosamente combattuta in
una sua pur ridotta dimensione. Di
conseguenza, totalmente diverso dovrà
essere l’approccio nei confronti del
terrorismo contemporaneo, quello degli
“anarchici informali”. Il loro apparato
concettuale e linguistico è così
radicalmente diverso da poter
proclamare la rinuncia alla ricerca del
consenso: e questo compromette
profondamente quella razionalità
politica in qualche misura condivisa,
che aiuterebbe a prevederne e
controllarne le mosse. E’ questo che
esalta la pericolosità di un terrorismo
contemporaneo, certamente destinato a
non acquisire il consenso (per quanto
esile e fragile) ottenuto dal brigatismo
degli anni 70, ma proprio per questo
meno decifrabile e afferrabile. Questo
stesso ragionamento può applicarsi
anche alla strage di Brindisi: tanto più
se dietro quell’azione vi fossero la
“disperazione nichilista della malavita
del sud” (il Foglio di ieri) o la mente
malata di un folle. In tal caso, la nostra
(di Ferrara, mia e di tutte le donne e gli
uomini di buona volontà)
ragionevolezza servirebbe a poco o a
nulla; e la “resipiscenza di animo
civile” sarebbe davvero vana. Ecco, ho
l’acida sensazione che ci si trovi in una
condizione simile: è una condizione che
possiamo definire postmoderna, dove
l’esercizio della violenza può
manifestarsi con gratuita insensatezza,
senza ragione e senza scopo, come
espressione narcisistica di un
irriducibile bisogno di affermazione di
sé. Qui, in effetti, possono incontrarsi le
pulsioni patologiche di micro
organizzazioni criminali (alla Arancia
Meccanica, per intenderci), che talvolta
si danno un’identità parapolitica (i
black bloc), coniugando luddismo e
ritualità marziale; e, infine, la crudeltà
sgangherata di un sociopatico. Ciascuna
di queste manifestazioni ha una sua
genealogia (meglio: anamnesi) e
rimanda a un diverso quadro clinico,
ma è appunto l’irrazionalità che le
accomuna tutte. E che ci lascia
disarmati e impotenti: e proprio perché
l’oscurità insondabile del sistema di
motivazioni che produce quell’atto ci
impedisce non solo di comprendere, ma
anche di fissare lo sguardo, di intuire
una volontà, di leggervi un messaggio.
E’ questo a lasciare così
sconsolatamente frustrato “il nostro
bisogno di consolazione” (Stig
Dagerman).

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