In America l’«erba» fa meno paura

Crescono i favorevoli a legalizzare la marijuana. Anche contro i narcos


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

WASHINGTON — «Da ragazzo ho fumato marijuana. E ho inalato. Che poi era il punto essenziale». Barack Obama è stato il terzo presidente americano di seguito ad ammettere l'esperienza dell'erba. La differenza con i suoi predecessori è di non aver indugiato né nelle mezze verità di Bill Clinton, che ipocritamente ammise di aver fumato ma «senza inalare», né nelle contrizioni di Ge­orge Bush, liberatosi con la preghie­ra da ogni dipendenza. Obama è sta­to il primo a dirlo senza piroette e pentimenti. Lo ha fatto e basta.

Confermando di non considerar­lo un dramma, appena insediato al­la Casa Bianca, Obama ha sospeso i raid degli agenti federali nei dispen­sari di marijuana per uso medico, le­gali in molti Stati americani ma osteggiati dalle Amministrazioni re­pubblicane. È stato come aprire il varco a una valanga. Per la prima volta in decenni, la legalizzazione dell'erba negli Stati Uniti è ai primi posti dell'agenda politica, spinta dal­le iniziative degli Stati e soprattutto da un rapidissimo cambio d'atteg­giamento dell'opinione pubblica, che secondo un recente sondaggio Gallup conta ora il 44% di persone favorevoli, 13 punti in più rispetto al 2000. Secondo l'istituto, a questo ritmo, saranno maggioranza entro 4 anni.

Dal New England alla West Coast, i fautori della legalizzazione, piena o solo per uso terapeutico, sono all' offensiva. In Maine, lo stesso giorno in cui hanno respinto il matrimonio gay, gli elettori hanno approvato la vendita dell'«erba medica» nei nego­zi autorizzati dallo Stato. In Califor­nia, dove ciò è gia possibile come in Oregon, è in discussione una legge per regolare e tassare l'acquisto e l'uso dell'erba, esattamente come il tabacco e gli alcolici.

Probabilmente non passerà, ma perfino il governatore Arnold Schwarzenegger ha riconosciuto la validità della proposta, che avrebbe un gettito di 1,3 miliardi di dollari per l'erario, come uno dei mezzi per sanare il bilancio dello Stato, a ri­schio di bancarotta. La stessa Ameri­can Medical Association, il mese scorso, ha rovesciato una sua posi­zione storica e ha chiesto al governo di Washington di rimuovere la ma­rijuana dalla prima lista delle Con­trolled Substances Act, che la equi­para a eroina e cocaina. Su un altro fronte, la National Organization for the Reform of the Marijuana Laws si muove a tutto campo per far ren­dere meno dure e punitive le leggi in vigore, decriminalizzando il pos­sesso di erba. Legislazioni meno se­vere sono già state approvate in 14 Stati.

Uno degli argomenti più forti in mano al movimento per la legalizza­zione è che questa ridurrebbe il po­tere dei cartelli messicani della dro­ga, che hanno trasformato in zone di guerra molte aree degli Stati Uni­ti, soprattutto quelle a ridosso del confine. A Los Angeles, per esem­pio, l'apertura di oltre 1000 dispen­sari di marijuana medica, alcuni dei quali con personale specializzato che concede dosi legali a chiunque si presenti, ha prodotto una diminu­zione dei crimini associati con il traf­fico degli stupefacenti. «La crimina­lizzazione delle droghe leggere ha mandato in prigione migliaia di cit­tadini altrimenti in piena regola con la legge e fornito alle gang miliardi di dollari di profitti», ha detto Ethan Nadelmann, direttore della Drug Po­licy Alliance a un convegno della Ri­ce University di Houston, in Texas.

Ma il fronte degli oppositori è an­cora forte ed ha molti buoni argo­menti da far valere. A suo sostegno, invoca le statistiche nazionali, se­condo cui già oggi in America sono più gli studenti di liceo che fumano erba di quelli che fumano tabacco. Non solo. I cinque Stati dov'è più dif­fuso il consumo di marijuana tra gli adolescenti sono anche fra quelli che ne ammettono l'uso terapeuti­co. «Dal punto di vista della preven­zione, il dibattito attuale è devastan­te: i ragazzi ricevono il messaggio che l'alcol e il tabacco sono dannosi, ma non ricevono quello che anche la marijuana lo sia», ha spiegato al Washington Post Arthur Dean, che guida la Community Anti-Drug Coa­lition of America.

Quanto alla lotta al crimine, se­condo Gary Hale, esperto della Dea, «le droghe sono solo una parte rela­tivamente piccola, intorno al 15%, dei proventi delle bande e le misure prese dal governo messicano di Cal­deron le hanno già costrette a diver­sificare le loro attività».

Paolo Valentino
Corriere della Sera 24 novembre 2009
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Commenti (2)
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    sei invitato al sito Fai notizia del Partito radicale a leggere la mia inchiesta di cui si parla dei collaboratori di giustizia sostenuti dai Partiti politici alleati alla Resistenza mentre tutti vanno in galera per lui perche' e' il traditore ma nessuno evita di fare la propaganda a costui che di buono non ha niente. In questo caso e' il Presidente della Palestina sostenuto da 1000 e piu' Organizzazioni e APrtiti Politici di cui si e' mascherato alla nostra rovina e non si dichiara Stato terrorista a differenza di noi che ne siamo compromessi. Lui e' Collaboratore di Giustizia,Io ho aperto l'inchiesta con la speranza che venga messo sotto processo dal America Latina perche' e' praticamente logico che fara' cadere la diplomazia,sto aspettando di farlo processare da qualcuno prima di fare sbattere in galera tutti. ciao e arrisentirci.
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