Domani saranno esattamente 7 giorni dalla manifestazione per la libertà di informazione di piazza del Popolo, a Roma. È stata una iniziativa importante, che ha risposto perfettamente al suo duplice scopo: quello di esprimere e quello di sensibilizzare. La manifestazione ha espresso la preoccupazione diffusa per l’attuale fragilità di quel fondamentale principio di democrazia che è il diritto di informarsi e di informare. E ha contribuito a sensibilizzare sul tema altri cittadini e altri gruppi sociali. Ciò ha confermato una tendenza classica del modello di manifestazione nell’Italia contemporanea. L’azione collettiva di strada, in altre parole, tende a coagularsi intorno a due gruppi essenziali di questioni: quelle economico-sociali (contratti, pensioni, diritti sindacali…) e quelle relative all’uso della forza in ambito nazionale e sovranazionale (la repressione interna, quella a opera di regimi dispotici, le guerre…). Un terzo gruppo di questioni comincia a emergere come oggetto di manifestazione (il razzismo per esempio). Ciò corrisponde puntualmente alle tematiche fondamentali della lotta politica, come si è sviluppata nell’ultimo mezzo secolo, che si articola su piani diversi e in sedi differenti e, infine, nella mobilitazione di massa nelle strade e nelle piazze. Ma quella stessa lotta politica conosce oggi profondi mutamenti. Detta in breve, diventano oggetto di azione pubblica e di conflitto collettivo tematiche confinate, fino a qualche decennio fa, nella sfera privata e affidate alla capacità di autodeterminazione individuale. Le “questioni di vita e di morte” diventano la posta in gioco e il cuore pulsante di lotte culturali, ideologiche, ma anche direttamente politiche, che coinvolgono milioni di cittadini e investono il sistema politico in senso stretto. Si pensi alle problematiche dell’aborto e del Testamento biologico, delle coppie di fatto e della procreazione assistita. Se è vero come è vero che quello sul Testamento biologico è diventato un conflitto squisitamente politico (oltre che filosofico, religioso, culturale), perché mai non dovrebbe costituire tema e obiettivo di una manifestazione di massa? La risposta è semplice: perché molti esitano a considerarlo tale. E, invece, proprio di conflitto politico si tratta: perché, a seconda della normativa che verrà adottata, si produrranno effetti concreti, corposamente materiali, sulla vita dei cittadini. Ne discenderanno conseguenze sullo stato di benessere o di sofferenza delle persone, sulle loro aspettative di vita e sulle loro relazioni private e sociali. In ultima analisi, sulla loro felicità o sulla loro infelicità: ovvero - in altri, più concreti e modesti termini - sulla capacità delle leggi degli uomini di ridurre la quota di dolore non necessario che tutti in un modo o nell’altro, prima o poi, rischiamo di subire. Perché mai, dunque, non si dovrebbe poter manifestare collettivamente la propria opinione su tale questione? E c’è un ulteriore ragione che rende, quell’azione pubblica, quanto mai necessaria: il fatto che l’orientamento della maggioranza parlamentare corrisponde, nella società italiana, a quello di un’esigua minoranza. Insomma, la gran parte della società italiana ha un’opinione esattamente opposta, sul tema del Testamento biologico, a quella del centro destra. E questo rappresenta uno dei pochi motivi di speranza per quanto riguarda i rapporti di forza nell’Italia contemporanea: per giunta, su un tema a dir poco cruciale. Se diventasse legge il testo approvato al Senato, l’ordinamento giuridico del nostro paese avrebbe subito una lesione pari solo a quella inferta dall’introduzione del reato di immigrazione clandestina. Quel disegno di legge, infatti, prevede che - pur in presenza di un rifiuto esplicito, firmato e autenticato - al paziente vengano imposte nutrizione e idratazione forzate. Si avrebbe, così, la più brutale negazione del diritto all’autodeterminazione individuale e l’imposizione di una volontà esterna, esercitata dallo stato, nella sfera più intima della persona. E nel momento estremo e più delicato: quello del fine vita. Cari Franceschini, Bersani, Marino, temo che la sentenza della Consulta sul “Lodo Alfano” porti, tra l’altro, a una accelerazione e a un ulteriore irrigidimento della posizione del centro-destra in tale materia. Tutto ciò non vale una manifestazione a Piazza del Popolo? Una manifestazione che sottragga un tema tanto decisivo sia alle strettoie della discussione parlamentare che alle angustie del dibattito congressuale, e lo rimetta nelle mani e nelle voci dei cittadini.
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