ETEROLOGA LIBERA, L'ALBERO DELLA SCIENZA NON DA' LA FELICITA'
Luigi Manconi e Federica Resta
Ma la sentenza di ieri della Consulta sulla fecondazione eterologa è davvero – come scrive Nicoletta Tiliacos - una resa alla legge del desiderio (di genitorialità) e il segno di una subordinazione dell’umanità alla tecnoscienza? Ammettere la fecondazione con gameti esterni alla coppia significa effettivamente, per riprendere ancora Tiliacos, contrapporre l’egoismo tirannico del “diritto al figlio” al diritto del figlio alla certezza delle origini? E scardinare il valore della differenza sessuale e della certezza della filiazione da un uomo e una donna? Tentare di superare l’impossibilità biologica di procreare con il ricorso alla scienza equivale alla sconfitta del diritto rispetto al mercato e alla tecnica? Ovvero a un “travolgimento dell’aspetto generativo”, con il “rischio concreto di una deriva eugenetica” (così Riccardo Chieppa, intervistato su Avvenire)?

L’impatto della sentenza dell’altro ieri, che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, è certamente rilevante, perché ammette - almeno di fronte all’impossibilità della coppia di procreare - una “scissione” tra genitorialità biologica e genitorialità sociale, attribuita, dai critici della sentenza, a una sorta di dispotismo del desiderio. Su questo tema si era pronunciata, nel 2011, anche la Corte europea dei diritti umani, rispetto al divieto (solo parziale) di fecondazione eterologa sancito dalla legge austriaca, invitando gli Stati a legiferare sul tema tenendo conto dell'evoluzione scientifica e delle tecniche mediche. Ed è proprio sulla base dei principi affermati dalla Corte europea che la Consulta ha invitato i giudici rimettenti a riformulare il quesito già sottopostole una prima volta, sulla legittimità del divieto di fecondazione mediante gameti esterni alla coppia, sancito in via generale dalla legge 40, così da privare del tutto le coppie affette da infertilità assoluta della possibilità di procreare.
Proprio sulla violazione dei diritti alla salute, alla tutela della maternità, all’eguaglianza, alla dignità di queste coppie si incentrano le ordinanze di rimessione che hanno sollecitato l’intervento della Consulta, evidenziando l’irragionevolezza di una disciplina, quale quella dettata dalla legge 40, che priva le persone di quel diritto a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni, previsto in particolare dall’art. 15 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Di quel diritto, insomma, alla felicità o, quantomeno, alla liberazione da sofferenze evitabili, che dovrebbe rappresentare uno dei fondamenti essenziali di una democrazia liberale, nel rispetto della dialettica tra diritti in conflitto. Nel caso dell’eterologa, la contraddizione si manifesterebbe tra il diritto della coppia ad avvalersi della scienza per superare un proprio limite e il diritto del figlio alla coincidenza tra genitorialità biologica e genitorialità sociale. Ma siamo certi che quest’ultimo diritto meriti una tutela così forte da prevalere sulla possibilità stessa del figlio di esistere? Non è, questa, un’idea naturalistico-biologista della filiazione? Un’idea che dovremmo confrontare con una concezione della genitorialità come progetto d’amore, che superi il legame di sangue – o che comunque non ne dipenda rigidamente - così come avviene per l’adozione? Lungi da una resa alla tecnoscienza, questo ci sembra piuttosto un modo profondamente umano di intendere il rapporto tra la vita (le sue sofferenze e le sue trasformazioni), le regole (e i loro insuperabili limiti) e la tecnica (le sue speranze e le sue minacce).
Nel dichiarare l’illegittimità, per violazione del diritto alla salute della donna, del divieto di produzione di più di tre embrioni e dell’obbligo di contemporaneo impianto degli stessi, la Consulta già nel 2009 aveva rilevato come il progresso scientifico limiti la discrezionalità legislativa, imponendole un “passo indietro” in materie che soltanto l’ “autonomia e la responsabilità del medico”, ovviamente con il consenso del paziente, può regolare. Il che non vuol dire legittimare qualsiasi tecnica, per il solo fatto di essere tale: vuol dire, invece, ammettere il ricorso alla scienza quando renda possibile il superamento di un limite, nel bilanciamento con i diritti e le libertà di tutti. E tutto ciò attraverso la capacità di superare categorie del pensiero (e del diritto) che altrimenti rischiano, esse sì, di renderci prigionieri di opposti individualismi.
L’albero della scienza non sarà mai l’albero della felicità, scriveva Lord Byron. Ed è certamente vero. Ma è altrettanto vero che è obbligo del diritto consentire a ciascuno di cercare quel tanto di felicità che ci è data – molta o pochissima che sia - anche, se possibile, anche attraverso il ricorso sapiente alla scienza.    
Ps. Ah, come sarebbe bello evitare, in una discussione così cruciale e complessa, il torvo ricorso a termini intimidatori quali “eugenetica”. Ah, come sarebbe bello…
Il Foglio, 12-04-2014

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Commenti (2)
  • Maurizio Ricci  - chi e come
    Anche in un'articolazione così corretta il diritto, i diritti del bambino restano sullo sfondo. Non quello alla coincidenza tra le genitorialità biologica e sociale, che in effetti non sembra così imprescindibile; ma già si reintroduce, anche nell'articolo, il superamento del limite della "diversità sessuale", e allora stiamo parlando d'altro.
    Il sospetto di quella che non chiamerò col termine torvo resta, se non nello spirito almeno nella pratica: sarà discrezionale così come lo è oggi l'aborto, che viene praticato in Italia senza mettere la madre potenziale nella condizione di una scelta non dettata da mere occorrenze pratiche o di comodo.
    Però di parole usate come clave in discussioni siffatte la più terribile, perchè chiude il discorso, è "oscurantismo".
  • Elisa Saletti  - la mia opinione
    Buon giorno e scusate se dico la mia su questo argomento anche se non ho nessuna conoscenza sul diritto e la giurisprudenza, ma ho la mia idea e credo che abbia a che fare con le leggi.
    Al referendum del 2005 avevo 25 anni, e sono andata a votare soprattutto perché qualcuno voleva convincermi che la cosa non andava fatta, ma mi sono informata e ho votato .
    Sono stata in affidamento e conosco bene la realtà dell'adozione. Ho sempre creduto nel diritto di un individuo di conoscere le proprie origini , e in giro vedo solo figli che hanno bisogno di una famiglia.
    Immaginavo che prima o poi sarebbe passata L'eterologa, e la cosa non mi rattrista, perché adesso che sono un adulta riconosco che non sono sola al mondo e che la cosa più bella è poter scegliere.
    Non mi sono stupita del boom di richieste , e penso che se le procedure sull'adozione fossero più chiare, più veloci, meno burocratizzate e meno costose , se una famiglia potesse crescere suo figlio da piccolo , di richieste ce ne sa...
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