Piano Lampedusa
Per fermare la strage di migranti un progetto c'è, è "l'ammissione umanitaria". Ecco come fare
Luigi Manconi
"Da gennaio 30 mila persone sono state soccorse in mare, lo dico per far capire all'Europa che siamo attori importanti di salvataggi in mare": queste le parole del ministro degli Esteri Emma Bonino il 7 novembre nel corso di un'intervista video a Repubblica. Torniamo a parlare di migranti e di numeri: al dato relativo alle persone soccorse va affiancato quello delle persone che hanno perso la vita, e parliamo di più di 600 da gennaio a ottobre di quest'anno e di quasi 20.000 nell’ultimo quarto di secolo. In questo lungo arco di tempo, nel Mediterraneo sono morti ogni giorno mediamente 6-7 fuggiaschi che cercavano di raggiungere il continente europeo. Cifre crudeli, stimate per difetto da organizzazioni internazionali e associazioni per i diritti umani.

Questa tragica evidenza porta alla consapevolezza che non sono i pattugliamenti delle motovedette a rappresentare una soluzione efficace; né l’azione del nostro Governo per i salvataggi in mare può bastare a risolvere una questione complessa certamente, ma che necessita di essere affrontata subito e con un approccio completamente diverso rispetto al passato. E d’intesa con l’Unione europea.
Subito dopo il naufragio del 3 ottobre, insieme al Sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, ho presentato al Capo dello Stato e al Presidente del Consiglio un piano di "ammissione umanitaria" basato su un dispositivo elementare: se il principale attentato all'incolumità dei richiedenti asilo è rappresentato da quei viaggi illegali nel Mediterraneo, dobbiamo fare in modo che quel tragitto possa realizzarsi in condizioni di sicurezza. Si deve puntare sull'anticipazione delle procedure di richiesta e consentire a uomini, donne e bambini che cercano un’opportunità di vita nel nostro continente, di chiedere all'Italia e ai paesi europei una misura di protezione temporanea già nei paesi di transito e in quelli dove si aggregano i flussi. Si tratta dunque di anticipare geograficamente il momento della formulazione della domanda di tutela e di ricorrere a un piano di reinsediamento - come già si fa per i profughi siriani -, e di concessione della protezione, a partire da un territorio precedente la traversata maledetta.
Il piano comporta la realizzazione di presidi dove si possa avviare la procedura di riconoscimento della protezione temporanea direttamente nei paesi della sponda sud del Mediterraneo, e quindi Tunisia, Egitto, Giordania, Libano, Algeria, Marocco e Libia, se ve ne sono le condizioni, procedura che deve attuarsi attraverso il Servizio europeo per l'azione esterna e la rete delle ambasciate e dei consolati degli Stati Membri, con il coinvolgimento delle organizzazioni internazionali. Una volta riconosciuta la sussistenza delle condizioni per la protezione temporanea, l’Unione europea definirà le quote di accoglienza per ciascuno Stato membro. Un viaggio sicuro, dunque, dal presidio internazionale al paese di destinazione, quest'ultimo individuato anche considerando l'eventuale presenza di familiari, come previsto dal nuovo regolamento Dublino III, e senza precludere la possibilità di presentare la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato una volta giunti nei singoli Paesi. Per la copertura finanziaria del piano di ammissione umanitaria, si potrebbe ricorrere al Fondo europeo per i Rifugiati e a quello per la Protezione civile.
Alla semplicità del progetto si affianca la profonda consapevolezza, da parte nostra, della difficoltà della sua realizzazione. Tuttavia, una direttiva Ue del 2001 prevede già la concessione di una protezione temporanea in presenza di un "afflusso massiccio di sfollati”, persone che hanno dovuto abbandonare la propria terra a causa di una persistente situazione di guerra o di violazione dei diritti umani. La stessa direttiva prevede, se necessario, l'arrivo agevolato degli sfollati nel territorio dell'Unione europea attraverso un programma di evacuazione. Così come già sono in atto programmi di re-insediamento di rifugiati grazie ad accordi tra le organizzazioni umanitarie internazionali e i singoli paesi.
Lo stesso piano fin qui descritto può essere articolato anche assai diversamente, utilizzando strumenti giuridici e procedure differenti, ma è necessario che ne venga mantenuto lo spirito: evitare a chi fugge perché in pericolo di vita di trovare la morte mentre tenta di raggiungere le nostre coste.
È chiaro che, per attuare un piano che persegua questo obiettivo, è innanzitutto necessario che l'Europa tutta si faccia carico del problema, cambiando completamente prospettiva e assumendo l'obiettivo prioritario di porre fine alla politica irresponsabile degli ultimi anni, che ha causato solo morte e ha potenziato il traffico di essere umani.
Certo, è probabile che - invece - la politica europea non sappia rinnovarsi. Ma questo non sarà solo la rovina di migranti e richiedenti asilo: sarà la rovina della stessa Europa e di quanti pensano che essa non possa ridursi al perimetro della European Central Bank.

Il Foglio 12 novembre 2013

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