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«Lavoro ai fianchi»: da quattro mani nacque in Italia il papà del thriller politico -

Il Maestrale ha ristampato «Lavoro ai fianchi» il noir che Luigi Manconi e Marco Lombardo- Radice pubblicarono nell’ 80: una specie di archetipo del thriller politico italiano con le Br sullo sfondo...

Come osserva nella puntuale prefazione Goffredo Fofi, Lavoro ai fianchi può considerarsi una sorta di strambo archetipo del noir italiano di là da venire. Vi figura, come protagonista, Luigi Longo, ironicamente omonimo dell’ultimo segretario del Pci pre-Berlinguer, un commissario del genere «sbirro colto e malinconico » che sarà seguito, negli anni, da numerosi figli e nipoti. Con, in più, una vena di crudeltà dissacrante, diretta derivazione dell’antagonismo sociale del quale erano permeati e il tempo (il romanzo è del 1980) e, in certa misura, l’ideologia degli autori. Un commissario, insomma, che non può, non ancora, essere «buono» sino in fondo (lo spirito del tempo non l’avrebbe permesso),ma che contiene già dentro di sé il dubbio lacerante del servitore dello Stato che scopre, con angoscia, di non essere altro che una pedina di un gioco troppo complesso per poter essere completamente compreso, e tanto meno decifrato.
Vedovo, un figlio adolescente irrequieto, il commissario Longo, nelle prime pagine del romanzo, cede alla tentazione, e si impossessa di una cospicua somma di denaro che appartiene al riscatto di un sequestro di persona. Da questo momento in avanti, si troverà coinvolto in una catena di avventure, tipicamente hard-boiled, dove non manca nemmeno, e anche questo risulterà un archetipo, la liason fra lo sbirro e la prostituta di buon cuore. Tutto si risolverebbe in una vicenda personale dai risvolti criminali se non fosse che siamo a Roma, nei giorni del sequestro Moro. Per quanto, quindi, nell’ironica e disincantata nota che accompagna la ristampa del volume Manconi tenda a minimizzare, con notevole garbo, le ragioni che lo condussero, insieme a Marco Lombardo-Radice, a cimentarsi in un romanzo (apparentemente) d’evasione, Lavoro ai fianchi si guadagna, sul campo, i galloni di proto-thriller politico. Perché, ripeto, siamo in Italia, e in Italia, da Piazza Fontana in avanti, non può esistere vicenda privata che non sia anche politica, delitto individuale che non si allarghi a ricomprendere l’intervento, più o menodiretto, più o meno consapevole, di «tenebrose consorterie», affare di piombo o di coltello che non coinvolga referenti politici, o politico-criminali. Così, Luigi Longo s’imbatte, senza capirci un gran che, in quella via Gradoli che, ancora oggi, resta la Strada dei Misteri. Così sfiora l’inafferrabile (e non ancora afferrato, quando il libro fu scritto) capo delle Brigate Rosse. Così si sposta sino a Sassari per sentirsi illustrare da un «cattivo maestro» le ragioni di una sovversione già agonizzante eppure ancora rivendicata con orgoglio. Ragioni che, naturalmente, da sbirro in fieri, non ancora trasformato pienamente nel democratico e «giusto» Montalbano degli ultimi decenni, non è minimamente in grado di comprendere.

UNA PUNTA DI NOSTALGIA

Confesso che nel leggere questo romanzo scorrevole, decisamente ben scritto, a tratti singolarmente profetico, ho provato una punta di nostalgia. Ho pensato, per esempio, che Manconi e Lombardo-Radice avrebbero potuto scriverne altri. E che è davvero un peccato che una voce così originale e complessa come quella di Lombardo-Radice si sia spenta così presto. Perché, in fondo, c’è anche un senso storico nel recupero di questo «giallo politico » dimenticato. A un certo punto, proprio mentre in Italia stava accadendo di tutto, gli scrittori e i cineasti «importanti» cominciarono a guardare da un’altra parte. Che l’atteggiamento della cosiddetta cultura alta fosse disdicevolmente rinunciatario lo avremmo accertato soltanto molti anni dopo. Quando, fra l’altro, ci saremmo accorti che, in quegli anni, si veniva formando un materiale narrativo controverso, stimolante, ora epico, ora patetico, ma sempre, comunque, così profondamente intrecciato con la nostra storia e i suoi tumultuosi cambiamenti da esigere un ben più consapevole coinvolgimento.
Giancarlo De Cataldo (L'unità 12-10-2010)

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