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Tedesco in carcere? Ecco i frutti del berlusconismo
Lavoro ai fianchi
Luigi Manconi
La battuta di Giorgio Gaber ( ma la paternità è controversa ) sarà pure abusata ma resta felicissima: “non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”.
Uno degli effetti del  processo culturale e psicologico, così efficacemente descritto da quella frase, è l’alterazione profonda del linguaggio. Per capirci, il ricorso della destra al termine “libertà”, per giunta declinato al plurale, ne ha inibito –se non interdetto- l’uso da parte di altri soggetti, magari più legittimati a farlo. Così forte è, infatti, la capacità manipolatoria del berlusconismo che sembra poter controllare le parole, fino a farle sue. Altrettanto è accaduto sul  piano del linguaggio del diritto e dei diritti, fino ad aggredire la base stessa –ovvero la sostanza materiale- di quel diritto e di quei diritti. Lo si vede proprio in questi giorni quando la formula “processo breve” finisce con l’ essere equiparata, nel linguaggio pubblico, a una sorta di truffa maleodorante. Pertanto obbiettivi saggi come quello di accorciare i tempi dei procedimenti giudiziari, e anche di anticipare la prescrizione, altrettante concrete articolazioni del “processo giusto”, sembrano richiamare la fattispecie di “furto con destrezza”, piuttosto che la sacrosanta aspirazione a una amministrazione equa e garantista della giustizia. Si dirà: per forza, il dominio di Berlusconi costringe a battersi contro provvedimenti che, se sottratti a una logica privatistico-proprietaria e se gestiti con equilibrio, risponderebbero a una strategia di seria riforma della giustizia. E, invece, siamo sulla difensiva  e costretti a puntare tutto sul contropiede perché questo impongono i rapporti di forza: e, dunque, il ricatto insopportabile contenuto nel ricorrente invito a “non fare il gioco del nemico” va,  in qualche misura, accettato. A patto di non vendere l’anima al diavolo. Una volta che ci si è opposti, con le unghie e con i denti, alle leggi a ad personam, è proprio proprio obbligatorio che se ne subisca all’infinito la malefica influenza? Costretti, pertanto, a rinunciare a qualsiasi autonomia e a patire sempre le mosse dell’ avversario?  Io penso di no,nonostante che il prossimo test da affrontare sia il più scivoloso che ci possa capitare. Ed è proprio quello relativo al voto sull’ arresto del senatore del Pd Alberto Tedesco. In proposito,  Roberta De Monticelli (una delle voci  della cultura italiana che più apprezzo) ha scritto un bellissimo articolo sul Fatto del 6 aprile scorso. Il titolo è “Caro D’Alema, ricordati di te”: e la De Monticelli si rivolge al leader del Pd per chiedergli di “non negare l’autorizzazione all’arresto di Tedesco.” E di fare in modo che  “non  sia negata”.La De Monticelli, sulla scorta dell’ interpretazione  di Nicola Badaloni di un testo di Francesco De Sanctis sulla distanza tra l’atteggiamento morale di Arthur Schopenhauer  e quello di Giacomo Leopardi, tratta del rapporto tra cinismo e pessimismo. In realtà, e più a fondo, della relazione tra coscienza del mondo e abbandono a esso. E sulla tensione tra queste due categorie la De Monticelli basa quel “fuoco morale e civile di marca leopardiana”, che è poi il cuore della politica. Pienamente d’accordo. Ma perché mai una simile interpretazione della natura autentica della politica deve portare, fatalmente, a “non negare l’autorizzazione” all’arresto di Tedesco? Io, condividendo l’idea di politica  della De Monticelli, arrivo alla conclusione opposta; e considero un esercizio di cinismo la tentazione di votare a favore dell’ arresto di Tedesco per blandire un umore popolare, certamente comprensibile, ma non per questo condivisibile. Ricordo in primo luogo che l’arresto del senatore, se concesso, non costituirebbe affatto la “giusta pena” per un reato commesso e come tale riconosciuto da un tribunale bensì una misura di custodia cautelare prima di ogni sentenza. Quale sarebbe, pertanto, la ragione di applicarla, dal momento che i requisiti tassativamente previsti dalla legge, nel caso in questione, non sembrano ricorrere? L’ unica motivazione rintracciabile è quella di una malintesa eguaglianza. Ovvero: dal momento che altri indagati dello stesso procedimento si trovano in carcere, perché non dovrebbe applicarsi una simile misura anche a Tedesco? Ecco, è proprio qui che vedo uno dei frutti avvelenati del berlusconismo. Una delle conseguenza dell’ impunità di cui il premier gode , e vorrebbe continuare a godere, è questa voglia di punizione, di divieto, di coercizione: è l’idea davvero perversa, che l’eguaglianza non corrisponda a una maggiore libertà accordata a tutti bensì a una comune afflizione. Una eguaglianza intesa come livellamento in basso. Non credo di esagerare: è una tendenza che sembra diffondersi. E l’urlo delirante di Giorgio Bracardi  “In galera!”- sembra per alcuni un programma politico.
l'Unità 15 aprile 2011
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Commenti (2)
  • Giacomo Costa  - Tedesco in carcere? Ecco i frutti del berlusconism
    Eccoti Robi.
  • Giacomo Costa
    Eccoti Robi.
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