Politicamente correttissimo
Crepuscoli
Luigi Manconi

“ Un po’ di dignità, ragazzi” (Policarpo De’ Tappetti)

L’affermazione marxiana che vuole, nel ciclo storico, la tragedia reiterarsi come farsa è tanto abusata da non potersi evocare nemmeno per perifrasi.
Ma considerate alcuni dettagli: 1. Il ministro dell’ Interno che alle ore 12.00 del secondo giorno referendario anticipa “il probabile raggiungimento del quorum” e corre al seggio; 2. il ministro della Semplificazione che annuncia di voler scendere in piazza qualora non si faccia la riforma del fisco; 3. Carlo Giovanardi (Carlo Giovanardi? Ma dai! Si, lui), che minaccia sfracelli se il governo non valorizzerà adeguatamente la “famiglia”. Ai tempi di Gui&Tanassi, quei tre bei tomi sarebbero stati sommersi dalle pernacchie, mentre oggi  qualcuno dice: però, quel Maroni, che statista. Ma finora siamo nel campo dell’avanspettacolo: e di quello che va in scena solo  il lunedì, quando i teatri riposano ché gli altri giorni sono occupati da compagnie più brillanti. Ma, dietro tutto ciò, accade ben altro. Chi appartiene alla mia generazione ha avuto modo, nel corso della propria vita,  di osservare due, e solo due, “crisi di regime” (se pure tale formula non sia eccessiva). Agli inizi degli anni ’90, il tramonto della cosiddetta Prima Repubblica, ora il crepuscolo del berlusconismo. Colpiscono, nella comparazione, due elementi. Nella prima crisi, l’assenza quasi totale di Ridicolo; nella seconda la presenza abnorme di Codardia e Tradimento. Quest’ ultimo scenario è il più inquietante. Quello che voleva essere il  partito carismatico di massa si è fatto, in breve, partito cortigiano di massa. Un inner circle abbastanza ampio assiste in silenzio al declino del leader, senza lanciare un grido di avvertimento, senza correre in soccorso, senza un gesto di affettuosa sollecitudine. Una banda di sicofanti e Profittatori di Regime, talvolta di antica esperienza politica, di sofisticato uso di mondo e perfino di buon livello intellettuale, accompagna e asseconda il crollo, annichilita dall’incertezza tra l’arroccarsi nel bunker insieme al Capo e chiedere un salvacondotto per l’espatrio. Il neo-segretario, Angelino Alfano, sembra già pentito di aver accettato l’incarico, e appare tanto autorevole e autonomo quanto Saif al Islam, il figlio “buono” di Muammar Gheddafi. Tutti, Alfano compreso, non sembrano capaci di un briciolo di indipendenza  di giudizio e di elaborazione né, tantomeno, di un cenno di autentica amicizia verso Berlusconi. Chi, come Daniela Santanchè, sembrava  oscillare tra il ruolo di Favorita e quello di Ultima raffica di Salò, riesce ad essere sincera solo nelle conversazioni private con Flavio Briatore. Le uniche tre persone al mondo che sembrano davvero voler bene al premier (Federico Confalonieri, Gianni Letta e Giuliano Ferrara) appaiono  impotenti a intervenire, in quanto ciascuna di esse  abita uno spazio emotivo e simbolico ormai troppo lontano da quello nel quale Berlusconi ha trovato riparo. E così quest’ultimo si mostra sempre più come un uomo vinto. Il suo oscillare tra afasia e logorrea, la sua maniacale coazione a ripetere (stereotipi, paranoie e tic), l’evidente stato di prostrazione fisica, ne fanno una figura torva e terrea, che non riesce ad assumere i contorni di una dimensione tragica. Come fu, invece, per Bettino Craxi. E per due ragioni: perché, nonostante voltafaccia e tradimenti, resistette intorno al leader socialista una rete di solidarietà amicale e politica, frutto di una lunga militanza condivisa;  e perché il Ridicolo (vedi in ultimo il grido berlusconiano di “viva gli Stati Uniti” davanti a una platea desolatamente vuota) fu circoscritto, se non proprio bandito. Non a caso chi ha trovato la dignità di parlare, negli ultimi tempi, è stata Stefania Craxi (un’altra che probabilmente vuole davvero bene a Berlusconi). Ho trovato nelle sue interviste (la più recente a “La Zanzara”su Radio24) un dettaglio rivelatore. In questa rubrica si è molto insistito, e mi è stato rimproverato, sulla consuetudine barzellettara di Berlusconi: ho ricordato come, in tutta  la letteratura, “l’uomo che racconta le barzellette”, è il personaggio più depresso e più incline alla cupezza; e ho sottolineato, come l’entusiasmo per quelle insipide storielle, in particolare da parte dei dirigenti del Pdl, sia una delle manifestazioni più malinconiche della loro sudditanza intellettuale. E mi sono permesso, da cultore della materia, di comparare il raccontatore Berlusconi ai grandi raccontatori, ripartiti per filoni geo-culturali. Ma Stefania Craxi è stata più netta: dopo aver espresso sentimenti di prossimità  e severi giudizi politici, per due volte ha affermato: “quelle barzellette non fanno ridere”. Se esistesse una opinione pubblica della destra italiana, se operasse qualcosa di simile a un ragionare collettivo, se sopravvivesse uno straccio di dialettica interna, la frase della Craxi equivarrebbe a: Il re è nudo. Un esercizio di verità tanto dirompente quanto proficuo. Un urlo devastante e virtuoso, insieme. Un allarme inquietante ma vitale. Così non è stato. E Silvio Berlusconi resta solo. La vittoriosa solitudine del maratoneta è diventata quella, senza consolazione,  del prigioniero.
il Foglio 21 giugno 2011
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Commenti (1)
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