Non erano solo canzonette
Luigi Manconi racconta in un libro il suo mezzo secolo di passione per la musica leggera, mentre si occupava di politica e di sociologia
PIERO NEGRI
Francesco De Gregori accusato da Giaime Pintor, sulle riviste della «controcultura», di povertà musicale e cedimento al Kitsch, difeso da Luigi Manconi in nome dello specifico canzonettistico: «La parola è costruita su una frase musicale, è testo di una canzone; è parte, cioè, di un’opera “letteraria” non immobile né autonoma ma strettamente connessa e intersecantesi con una struttura che è quella musicale, per sua natura “ambigua”, cioè variamente fruibile».
De Gregori accusato per «lo stile di vita» e la «funzione sociale» delle sue canzoni, la «strumentalizzazione » di temi culturali e politici in un famosissimo processo pubblico che avvenne nel 1976 durante un suo concerto milanese, un esercizio di violenza dal basso che traumatizzò profondamente il «Principe» dei nostri cantautori, fino a convincerlo ad abbandonare le scene per due anni e a fargli prendere in considerazione l’idea di aprire una libreria.
E poi la questione Lucio Battisti, dibattuta ferocemente. Era davvero un «fascista», un finanziatore dell’estremismo nero, il più popolare autore e interprete di canzoni della metà degli Anni 70? E quei «boschi di braccia tese» di cui cantava nella Collina dei ciliegi , il «mare nero» della Canzone del sole che cos’erano, se non riferimenti oscuri e trasversali alle sue posizioni politiche? Luigi Manconi racconta di aver provato a chiedere spiegazioni direttamente a Battisti, con una lettera consegnata a mano («E lungamente mi sono chiesto: gli avrò dato del tu o del lei?») a cui forse Battisti tentò di rispondere con una telefonata. Ma una ragazza della redazione di Lotta continua non credette che a chiamare fosse davvero Battisti e non glielo passò. Il mistero rimase tale, per sempre.
È pieno di storie e di incontri La musica è leggera , Il Saggiatore, pp. 505, € 16, il libro (scritto con Valentina Brinis) in cui Luigi Manconi confessa di aver coltivato per più di mezzo secolo una passione divorante per la canzone, «mentre - dice lui - mi occupavo d’altro, di tutt’altro». Di sociologia e di politica, soprattutto: Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici allo Iulm di Milano ed è stato senatore della Repubblica, sottosegretario di Stato alla Giustizia nel secondo governo Prodi, e prima ancora, dal 1996 al 1999, portavoce nazionale dei Verdi. All’epoca esponente di Lotta continua, con il nom de plume di Simone Dessì è stato autore e curatore di libri dedicati al mondo musicale e giovanile per l’editore Savelli, quello di Porci con le ali , che per tutti gli Anni 70 ha raccolto e diffuso l’immaginario dell’estrema sinistra, quella che ai tempi si definiva «extraparlamentare».
«Sono in primo luogo sociologo, poi militante politico, ma ho voluto che a dare il tono della scrittura e della struttura di questo mio libro fossero i mutamenti del costume, raccontati molto più che analizzati»: così descrive il suo lavoro, magmatico, asistematico, appassionato e interessante proprio perché svela quanto, all’estrema sinistra, ci si nutrisse di canzonette.
Manconi ricorda una sorta di inno costruito sulla base di Bocca di rosa di Fabrizio De André e dedicato a Rosa Luxemburg: «La chiamavano Luxemburg Rosa, metteva le masse metteva le masse, la chiamavano Luxemburg Rosa metteva le masse sopra a ogni cosa». E un corteo milanese del 1974 in cui all’improvviso partì un coro anti-padronale introdotto da un’inconfondibile citazione di Adriano Celentano: «Spengono le luci, tacciono le voci. E nel buio senti sussurrar...».
«Il rapporto con la musica leggera racconta Manconi - era strettissimo. Ci sembrava che i cantautori trasmettessero, grazie a una forma di comunicazione più ampia, contenuti che non erano solo politici né militanti: diciamo che li sentivamo affini a una mentalità, un modo di sentire. Lo stesso, tanto vituperato Battisti da noi era consumatissimo e amatissimo, c’era chi lo considerava un prodotto della borghesia decadente, ma per tutti gli altri era un riferimento. Proprio per questo, siccome lo sentivamo in un certo modo ostile, cercavamo disperatamente di capire se fosse davvero di destra».
Manconi parte da Gino Paoli, che identifica come il traghettatore nella modernità della nostra musica leggera, un rivoluzionario che accomuna solo a Domenico Modugno. Poi dedica un capitolo intero, tra i più interessanti, agli «inni», genere in cui fa entrare canzoni diversissime, unite da uno slancio retorico che ritiene «necessario»: La caccia alle streghe di Alfredo Bandelli e Contessa di Paolo Pietrangeli e poi anche Stalingrado degli Stormy Six, Bella ciao, El pueblo unido jamas será vencido dei cileni Inti Illimani, per arrivare fino all’inno di Forza Italia, «che rivela una buona tensione retorica e una notevole forza nella struttura musicale».
E sempre a proposito di inni, Manconi racconta di aver modificato il testo dell’ Internazionale firmato da Franco Fortini («Pentendomene subito»): tale era la convinzione nelle proprie ragioni, anche estetiche, per quella generazione e quegli ambienti, che non si esitò a modificare un testo di colui che veniva considerato sommo poeta e sommo intellettuale.
È chiaro che il giovane Manconi deve aver coltivato il sogno di trasformare la passione in una professione: tanto che - scopriamo - a un’assemblea del collegio Augustinianum dell’Università Cattolica, nel novembre 1968, confidò ai compagni di aver scritto i goliardici versi «Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’Azione cattolica» che ritroverà, più o meno vent’anni dopo, in una canzone di Zucchero.
Dice di essersi dimenticato di quel lontano caso di goliardia, e racconta di essere stato avvicinato, a un’assemblea dell’Ulivo dei tardi Anni Novanta, da Enzo Balboni, ordinario di Diritto pubblico e costituzionale presso l’Università Cattolica di Milano, che invece ricordava perfettamente i versi sessantottini. Come a dire, con Ivano Fossati, che le canzoni di successo in fondo sono musica (e in questo caso parole) che «girano intorno» e che proprio questo è il segreto del loro fascino.
20/04/2012
Non erano solo canzonette
Luigi Manconi racconta in un libro il suo mezzo secolo di passione per la musica leggera, mentre si occupava di politica e di sociologia
PIERO NEGRI
Francesco De Gregori accusato da Giaime Pintor, sulle riviste della «controcultura», di povertà musicale e cedimento al Kitsch, difeso da Luigi Manconi in nome dello specifico canzonettistico: «La parola è costruita su una frase musicale, è testo di una canzone; è parte, cioè, di un’opera “letteraria” non immobile né autonoma ma strettamente connessa e intersecantesi con una struttura che è quella musicale, per sua natura “ambigua”, cioè variamente fruibile».

De Gregori accusato per «lo stile di vita» e la «funzione sociale» delle sue canzoni, la «strumentalizzazione » di temi culturali e politici in un famosissimo processo pubblico che avvenne nel 1976 durante un suo concerto milanese, un esercizio di violenza dal basso che traumatizzò profondamente il «Principe» dei nostri cantautori, fino a convincerlo ad abbandonare le scene per due anni e a fargli prendere in considerazione l’idea di aprire una libreria.

E poi la questione Lucio Battisti, dibattuta ferocemente. Era davvero un «fascista», un finanziatore dell’estremismo nero, il più popolare autore e interprete di canzoni della metà degli Anni 70? E quei «boschi di braccia tese» di cui cantava nella Collina dei ciliegi , il «mare nero» della Canzone del sole che cos’erano, se non riferimenti oscuri e trasversali alle sue posizioni politiche? Luigi Manconi racconta di aver provato a chiedere spiegazioni direttamente a Battisti, con una lettera consegnata a mano («E lungamente mi sono chiesto: gli avrò dato del tu o del lei?») a cui forse Battisti tentò di rispondere con una telefonata. Ma una ragazza della redazione di Lotta continua non credette che a chiamare fosse davvero Battisti e non glielo passò. Il mistero rimase tale, per sempre.

È pieno di storie e di incontri La musica è leggera , Il Saggiatore, pp. 505, € 16, il libro (scritto con Valentina Brinis) in cui Luigi Manconi confessa di aver coltivato per più di mezzo secolo una passione divorante per la canzone, «mentre - dice lui - mi occupavo d’altro, di tutt’altro». Di sociologia e di politica, soprattutto: Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici allo Iulm di Milano ed è stato senatore della Repubblica, sottosegretario di Stato alla Giustizia nel secondo governo Prodi, e prima ancora, dal 1996 al 1999, portavoce nazionale dei Verdi. All’epoca esponente di Lotta continua, con il nom de plume di Simone Dessì è stato autore e curatore di libri dedicati al mondo musicale e giovanile per l’editore Savelli, quello di Porci con le ali , che per tutti gli Anni 70 ha raccolto e diffuso l’immaginario dell’estrema sinistra, quella che ai tempi si definiva «extraparlamentare».

«Sono in primo luogo sociologo, poi militante politico, ma ho voluto che a dare il tono della scrittura e della struttura di questo mio libro fossero i mutamenti del costume, raccontati molto più che analizzati»: così descrive il suo lavoro, magmatico, asistematico, appassionato e interessante proprio perché svela quanto, all’estrema sinistra, ci si nutrisse di canzonette.

Manconi ricorda una sorta di inno costruito sulla base di Bocca di rosa di Fabrizio De André e dedicato a Rosa Luxemburg: «La chiamavano Luxemburg Rosa, metteva le masse metteva le masse, la chiamavano Luxemburg Rosa metteva le masse sopra a ogni cosa». E un corteo milanese del 1974 in cui all’improvviso partì un coro anti-padronale introdotto da un’inconfondibile citazione di Adriano Celentano: «Spengono le luci, tacciono le voci. E nel buio senti sussurrar...».

«Il rapporto con la musica leggera racconta Manconi - era strettissimo. Ci sembrava che i cantautori trasmettessero, grazie a una forma di comunicazione più ampia, contenuti che non erano solo politici né militanti: diciamo che li sentivamo affini a una mentalità, un modo di sentire. Lo stesso, tanto vituperato Battisti da noi era consumatissimo e amatissimo, c’era chi lo considerava un prodotto della borghesia decadente, ma per tutti gli altri era un riferimento. Proprio per questo, siccome lo sentivamo in un certo modo ostile, cercavamo disperatamente di capire se fosse davvero di destra».

Manconi parte da Gino Paoli, che identifica come il traghettatore nella modernità della nostra musica leggera, un rivoluzionario che accomuna solo a Domenico Modugno. Poi dedica un capitolo intero, tra i più interessanti, agli «inni», genere in cui fa entrare canzoni diversissime, unite da uno slancio retorico che ritiene «necessario»: La caccia alle streghe di Alfredo Bandelli e Contessa di Paolo Pietrangeli e poi anche Stalingrado degli Stormy Six, Bella ciao, El pueblo unido jamas será vencido dei cileni Inti Illimani, per arrivare fino all’inno di Forza Italia, «che rivela una buona tensione retorica e una notevole forza nella struttura musicale».

E sempre a proposito di inni, Manconi racconta di aver modificato il testo dell’ Internazionale firmato da Franco Fortini («Pentendomene subito»): tale era la convinzione nelle proprie ragioni, anche estetiche, per quella generazione e quegli ambienti, che non si esitò a modificare un testo di colui che veniva considerato sommo poeta e sommo intellettuale.

È chiaro che il giovane Manconi deve aver coltivato il sogno di trasformare la passione in una professione: tanto che - scopriamo - a un’assemblea del collegio Augustinianum dell’Università Cattolica, nel novembre 1968, confidò ai compagni di aver scritto i goliardici versi «Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’Azione cattolica» che ritroverà, più o meno vent’anni dopo, in una canzone di Zucchero.

Dice di essersi dimenticato di quel lontano caso di goliardia, e racconta di essere stato avvicinato, a un’assemblea dell’Ulivo dei tardi Anni Novanta, da Enzo Balboni, ordinario di Diritto pubblico e costituzionale presso l’Università Cattolica di Milano, che invece ricordava perfettamente i versi sessantottini. Come a dire, con Ivano Fossati, che le canzoni di successo in fondo sono musica (e in questo caso parole) che «girano intorno» e che proprio questo è il segreto del loro fascino.

20/04/2012
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