Galli della Loggia, i gay e il pensiero dominante di Famiglia cristiana
Luigi Manconi
Dove sta il pensiero dominante? Su Famiglia Cristiana o su Vogue? In estrema sintesi, questo interrogativo di Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera del 23 gennaio scorso) costituisce la vera posta in gioco nella controversia a proposito della condizione omosessuale e del riconoscimento dei relativi diritti. Per della Loggia la risposta a quel quesito è tanto ovvia da risultare scontata (è Vogue a egemonizzare l’opinione pubblica); per me la risposta a quel quesito è tanto ovvia da risultare scontata (è Famiglia Cristiana a egemonizzare l’opinione pubblica). Certo, messa in questi termini, la contrapposizione appare eccessivamente schematica, eppure evidenzia bene il cuore della questione. In ogni caso, ho la sensazione che tale discussione non sia inutile.
Intanto perché il mio interlocutore dichiara di non dubitare del diritto degli omosessuali di avere diritti, e ci mancherebbe; e poi perché il confronto, dal piano dei valori, si è spostato a quello sociologico, se non antropologico. E dunque, viene riproposto un dilemma sempre cruciale e sempre irrisolto: che cos’è l’opinione pubblica e che cos’è  il flusso delle idee dominanti (mainstream)? Qui, lo scarto tra le posizioni di della Loggia e quelle mie è davvero ampio. E si manifesta intorno a un divertente paradosso: lui e io frequentiamo ambienti non troppo dissimili, ma sembriamo percepirli in maniera totalmente opposta. Galli della Loggia ritiene che nell’ambito degli “addetti alle mansioni intellettuali”, in Italia come in tutto l’Occidente, “l’opinione ultramaggioritaria (…) sia tutta, in linea di principio, dalla parte delle rivendicazioni dei movimenti omosessuali”, e se ne spaventa. Tanto più perché ritiene che questo orientamento (favorevole, tra l’altro, alle nozze  tra omosessuali e alle adozioni da parte di questi) anticipi quello dell’intera società e sia destinato “inevitabilmente, prima o poi, a divenire l’opinione dominante”. Io avverto quello stesso orientamento all’interno degli stessi ambienti, anche se lo ritengo assai meno egemone (o addirittura totalizzante) di quanto pensa della Loggia: ma mi rammarico che sia tutt’ora così lontano dall’orientamento prevalente nel senso comune dell’intera società italiana. A ciò si aggiunga che della Loggia si trova costretto a escludere dal novero di quegli “addetti alle mansioni intellettuali” il ceto politico. Deve farlo, dal momento che l’opinione maggioritaria di quel ceto non sembra proprio “tutta dalla parte delle rivendicazioni dei movimenti omosessuali”: se è vero come è vero che tutt’ora in Italia non è stato approvato uno straccio di legge sulle unioni civili e un’efficace normativa contro l’omofobia. Pertanto, la felice citazione di George Orwell (“il conformismo degli intellettuali non si misura su ciò che pensa la gente comune, bensì su ciò che pensano gli altri intellettuali”) è brillante, ma qui fuori luogo: della Loggia può esercitare il proprio “anticonformismo” a proposito dei gay nei confronti dei colleghi dell’Istituto Italiano di Scienze Umane, ma il suo essere “controcorrente” risulta, a mio parere, perfettamente organico al mainstream della classe politica e di gran parte della società italiana. In quest’ultima, il “pensiero dominante” non è, certo, quello che sconcerta della Loggia. Non è, cioè, quello che emerge dai messaggi pubblicitari, dai luoghi comuni mediatici, dai gesti eclatanti degli amministratori di grandi aziende e dalle preferenze culturali delle élite. Il pensiero dominante (meglio: augurabilmente destinato a diventare dominante) è, piuttosto, quello di un senso comune che evolve lentamente, assai lentamente, e che - lungi dal trasformarsi in omofilia - acquisisce semmai una qualche disponibilità verso una sorta di bonario “relativismo etico”. Una disponibilità fatta di una tolleranza faticosamente conquistata, di un’indulgenza modernizzante verso la trasgressione, di una benevole comprensione verso la pluralità degli stili di vita. Il meglio di ciò lo si trova nella cultura propria di Famiglia Cristiana, che – fatto non trascurabile – vende circa sette volte più di Vogue Italia. Insomma, è  come se della Loggia vedesse solo la dimensione più esterna della mentalità comune (media, pubblicità, tendenze, mode …) e trascurasse quelli che sono i sentimenti più profondi della collettività (quelli che, paradossalmente, gli sono più affini). Ripeto: in quell’orientamento di opinione pubblica, che convenzionalmente chiamo “di Famiglia Cristiana”, prevale non certo l’omofilia, ma appunto la tolleranza. Atteggiamento profondamente ambiguo (ma, per così dire, mi accontento), che pure esprime una maturazione in senso pluralista e un’idea non integralista del gioco democratico e delle relazioni tra maggioranze e minoranze. Di ciò, d’altra parte, si dovrebbe essere parimenti soddisfatti, della Loggia e io, e non temerlo quasi fosse un valico attraverso il quale possa irrompere una concezione omocentrica della vita sociale (è la sindrome del “piano inclinato”, che affligge le gerarchie ecclesiastiche). E, infatti, il riconoscimento dei diritti propri della condizione omosessuale è un’acquisizione dei processi di civilizzazione: e non quella moda banalizzante e nichilista, paventata dal mio interlocutore. Per una ragione di natura biologica e psicologica. Ovvero il fatto elementare che l’omosessualità costituisce una variante naturale della sessualità umana, come affermato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Quella condizione può essere guardata con favore, ascoltata per le sue rivendicazioni, tutelata nei suoi diritti, ma non può essere presentata - nonostante le apparenze - come una tendenza culturale o un’opzione di stile: anche la massima visibilità e il massimo riconoscimento di diritti, facoltà e persino desideri degli omosessuali, resterebbero comunque all’interno di una percentuale minoritaria rispetto a una maggioranza di popolazione composta da eterosessuali. Questi ultimi, bene o male, e più o meno confusamente, rimarrebbero comunque fedeli – per il tempo che possiamo prevedere - a un’idea in evoluzione, ma sostanzialmente tradizionale, di coniugalità, genitorialità, e ruoli sessuali. Come prevede qualunque ordinaria, e persino un po’ noiosa, democrazia pluralista.
Il Foglio, 29 gennaio 2013
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