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Torna «Lavoro ai fianchi» di Marco Lombardo Radice e Luigi Manconi
Giovanni Bianconi
niente affatto cupe, è il commissario Longo — vedovo e padre di un figlio diciottenne — che si muove a Roma e altrove nel marzo del 1978, prima e durante il sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse.

Il poliziotto è chiamato a far luce sulla scomparsa di un giovane, forse vittima di un rapimento. La politica apparentemente non c’entra, ma si respira in ogni pagina, nell’azione e nelle riflessioni dei vari personaggi:


La vulgata contemporanea e un po’ approssimativa vuole la situazione rovesciata, ma negli anni Settanta — al tempo della «notte della Repubblica» — i garantisti e quelli che esigevano prove per tenere la gente in galera erano «di sinistra». Estremisti di cui diffidare. Ecco perché quando il commissario di polizia Luigi Longo — volutamente omonimo del segretario del Pci successore di Togliatti e predecessore di Berlinguer — dice che per arrestare qualcuno ci vogliono le prove, la reazione del vice-questore è quasi scontata: «Caro il mio commissario.... non sarà mica comunista lei? Sa, con quel nome... o non sarà per caso del sindacato di polizia?».

Trent’anni dopo i ruoli capovolti appartengono, appunto, a uno stereotipo che in ogni caso non sfiora Luigi Manconi, garantista ieri come oggi senza aver cambiato casacche né saltato steccati politici o ideologici, coautore insieme al compianto Marco Lombardo Radice di Lavoro ai fianchi, romanzo pubblicato la prima volta nel 1980 e ristampato oggi. Protagonista del racconto un po’ giallo e un po’ noir, dalle tonalità vivaci e in questura, nelle strade, nei salotti, nei discorsi fra giovani e fra meno giovani. È il clima tipico di quei giorni, esasperato dall’apice raggiunto dall’attacco terroristico. Da contrastare con ogni mezzo, fino a diventare un alibi per chi crea strutture parallele che hanno tutt’altri obiettivi e mette a rischio la democrazia. Longo se ne accorge, ma gli spiegano che non c’è nulla di strano: «Combattiamo i delinquenti con i loro mezzi». Lui prova a ribattere che «tutto ciò è illegale», ed ecco scattare la prevedibile replica: «Illegale è lasciare in libertà i delinquenti. Ma allora è vero che sei comunista?».

Le angosce del commissario, legate a una debolezza di cui s’è reso responsabile, lo rendono ostaggio dei superiori che calpestano le regole, facendogli notare come «è tutta questione di riservatezza, in fondo». Un invito all’omertà, che copre e rassicura tutti. Non è invecchiato, Lavoro ai fianchi. E anzi aiuta a ricalarsi in un periodo che appartiene alla storia di questo Paese, a tratti anche in maniera ironica (e autoironica, vista la militanza nell’estrema sinistra di allora dei due autori). Restituendo radici più autentiche al garantismo, e non solo.

Corriere della Sera, 18 aprile 2010
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