Dettagli
Le misteriose stelle di Grillo, il Che ammanettato da Ingroia, il Cav. satiro e il Vaticano blasfemo
il Foglio 26 febbraio 2013
“Dettagli così piccoli che tu/non sei ancora pronto per capire/ma che comunque contano per dire/chi siamo noi” (Roberto Carlos)
1.Si chiede Antonio Stella: Ma perché il partito più populista che c’è, quello di 5stelle, ha preso il suo nome dalla formula che - nel linguaggio degli hotel e nelle fiction televisive -  rappresenta il grado più elevato del lusso? Sindrome da parvenu oppure versione alberghiera dell’antica esortazione “Arricchitevi!”?                                                                                                                                                                                   2. Antonio Ingroia che definisce Ernesto Che Guevara “il profeta della nostra rivoluzione”, produce un effetto grottesco. Qui la manipolazione raggiunge il vertice del sublime. Quando si era piccini, Ernesto Che Guevara ci piaceva proprio perché era la negazione, magari ambigua, magari esageratamente enfatizzata, della rivoluzione che si faceva potere (ancorché rivoluzionario), del partito che si faceva burocrazia di Stato, del movimento che si faceva conservazione autoritaria. E, poi, piaceva la sua dimensione “impolitica” (la motocicletta, l’epistolario e quella frase: “il faut s'endurcir sans jamais se départir de sa tendresse”). Vederlo ora, il Che, issato come icona di una lista formata, tra gli altri, dai Comunisti italiani, la dice lunga sul connotato “civile” della rivoluzione di Ingroia.  I Comunisti italiani sono la residuale propaggine di quell’imperialismo sovietico, reazionario e dispotico (senza averne la terribile grandezza), che odiò Guevara e che non fu estraneo, forse, alla sua stessa morte.                                                                                                                                          3. Il canone comico è quello suntuosamente elaborato e ipostatizzato in paradigma da Lino Banfi in alcune pietre miliari della cinematografia porcellona (si fa per dire) tra gli anni ’70 e gli ’80. Penso, in particolare, a L'onorevole con l'amante sotto il letto (1981), diretto da Mariano Laurenti. Quel “Quante volte viene?” indirizzato da Silvio Berlusconi ad Angela Bruno, impiegata della Green Power, discende direttamente da lì. Banfi ha giusto due mesi più di Berlusconi, ma ora interpreta il saggio nonno Libero; Berlusconi ha giusto due mesi meno di Banfi e oggi interpreta l’assatanato Banfi di oltre trent’anni fa. Dunque, senza alcuno snobbismo, va riconosciuto che la fonte di quella gag di Berlusconi è autorevolissima, anche perché Banfi, a sua volta, l’ha rintracciata in una tradizione dell’avanspettacolo e, prima ancora, nella comicità di strada, che ha una sua scellerata nobiltà. Ma vederla riprodotta davanti al ghigno infoiato del gentilissimo pubblico di Green Power, è uno spettacolino ributtante. Un po’ ne rimaniamo desolati, abituati come siamo a esercitare quel sano autocontrollo che destina il tic indecoroso -  o l’innocua perversione o il gusto cialtronesco o il linguaggio greve o il motto scurrile –  alla sfera privata e delle relazioni amicali. Un po’ ne restano sedotti quelli che, come Giuliano Ferrara, vi ritrovano i contorni dell’arci-italiano e della sua umanità tronfia e ribalda. Due cose sfuggono a Ferrara: che quella vocazione lubrica nega a tal punto la tesi difensiva delle “cene eleganti” da risultare una sorta di ammissione di colpa. E che il solo tratto che davvero rende umana quella maschera satiresca è quel tanto di disperazione che non riesce a occultare e che persino Ferrara, chissà perché, vorrebbe negare. Chiedere che lo percepiscano “le donne del Cavaliere”, è pretendere troppo. Si veda la dichiarazione di Mariastella Gelmini: «Noi donne del Pdl siamo orgogliose di stare con Berlusconi e non con una sinistra vecchia, sterile, retrograda, incarognita, triste e che non sorride mai». Qui torna un argomento rivelatore: nella propaganda del centrodestra, la sinistra sarebbe “triste”. Il che potrebbe persino costituire un argomento di qualche consistenza se a quella sinistra “che non sorride mai” non venissero contrapposte – come esempio di “allegria”, gioia di vivere, capacità di essere ironici, leggeri e perfino, felici - le barzellette di Silvio Berlusconi e la sua grassoccia ilarità. Quest’ultima, chiaramente, assomiglia sempre più a un rictus: e “l’uomo che racconta barzellette” – mi è già capitato di notarlo – in tutta la narrativa occidentale è, da sempre, la figura letteraria della malinconia, se non della tetraggine. Se gli apologeti di Berlusconi gli riconoscessero quel tratto di disperazione che la decadenza fisica, la vulnerabilità intellettuale e l’inquietudine del trascorrere del tempo regalano agli essere umani, dimostrerebbero almeno di volergli un po’ di bene. E non solo di servirsene tanto abilmente quanto lui sa servirsi delle donne.                                                                                                                                                                                         4. Secondo la Segreteria di Stato (23 Febbraio 2013), “È deplorevole che […] si moltiplichi la diffusione di notizie spesso non verificate, o non verificabili, o addirittura false” capaci di “condizionare” il Collegio Cardinalizio. Condizionare il Conclave? Capirei se parlassimo dell’opinione pubblica, magari di quella cattolica, ma pensare che “notizie non verificate” possano influenzare i cardinali, vuol dire considerarli alla stregua di giurati di X Factor. Tentazioni secolariste, e forse qualche traccia di blasfemia, nel linguaggio della Segreteria di Stato.
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Le misteriose stelle di Grillo, il Che ammanettato da Ingroia, il Cav. satiro e il Vaticano blasfemo
il Foglio 26 febbraio 2013
“Dettagli così piccoli che tu/non sei ancora pronto per capire/ma che comunque contano per dire/chi siamo noi” (Roberto Carlos)
1.Si chiede Antonio Stella: Ma perché il partito più populista che c’è, quello di 5stelle, ha preso il suo nome dalla formula che - nel linguaggio degli hotel e nelle fiction televisive -  rappresenta il grado più elevato del lusso? Sindrome da parvenu oppure versione alberghiera dell’antica esortazione “Arricchitevi!”?
2. Antonio Ingroia che definisce Ernesto Che Guevara “il profeta della nostra rivoluzione”, produce un effetto grottesco. Qui la manipolazione raggiunge il vertice del sublime. Quando si era piccini, Ernesto Che Guevara ci piaceva proprio perché era la negazione, magari ambigua, magari esageratamente enfatizzata, della rivoluzione che si faceva potere (ancorché rivoluzionario), del partito che si faceva burocrazia di Stato, del movimento che si faceva conservazione autoritaria. E, poi, piaceva la sua dimensione “impolitica” (la motocicletta, l’epistolario e quella frase: “il faut s'endurcir sans jamais se départir de sa tendresse”). Vederlo ora, il Che, issato come icona di una lista formata, tra gli altri, dai Comunisti italiani, la dice lunga sul connotato “civile” della rivoluzione di Ingroia.  I Comunisti italiani sono la residuale propaggine di quell’imperialismo sovietico, reazionario e dispotico (senza averne la terribile grandezza), che odiò Guevara e che non fu estraneo, forse, alla sua stessa morte.
3. Il canone comico è quello suntuosamente elaborato e ipostatizzato in paradigma da Lino Banfi in alcune pietre miliari della cinematografia porcellona (si fa per dire) tra gli anni ’70 e gli ’80. Penso, in particolare, a L'onorevole con l'amante sotto il letto (1981), diretto da Mariano Laurenti. Quel “Quante volte viene?” indirizzato da Silvio Berlusconi ad Angela Bruno, impiegata della Green Power, discende direttamente da lì. Banfi ha giusto due mesi più di Berlusconi, ma ora interpreta il saggio nonno Libero; Berlusconi ha giusto due mesi meno di Banfi e oggi interpreta l’assatanato Banfi di oltre trent’anni fa. Dunque, senza alcuno snobbismo, va riconosciuto che la fonte di quella gag di Berlusconi è autorevolissima, anche perché Banfi, a sua volta, l’ha rintracciata in una tradizione dell’avanspettacolo e, prima ancora, nella comicità di strada, che ha una sua scellerata nobiltà. Ma vederla riprodotta davanti al ghigno infoiato del gentilissimo pubblico di Green Power, è uno spettacolino ributtante. Un po’ ne rimaniamo desolati, abituati come siamo a esercitare quel sano autocontrollo che destina il tic indecoroso -  o l’innocua perversione o il gusto cialtronesco o il linguaggio greve o il motto scurrile –  alla sfera privata e delle relazioni amicali. Un po’ ne restano sedotti quelli che, come Giuliano Ferrara, vi ritrovano i contorni dell’arci-italiano e della sua umanità tronfia e ribalda. Due cose sfuggono a Ferrara: che quella vocazione lubrica nega a tal punto la tesi difensiva delle “cene eleganti” da risultare una sorta di ammissione di colpa. E che il solo tratto che davvero rende umana quella maschera satiresca è quel tanto di disperazione che non riesce a occultare e che persino Ferrara, chissà perché, vorrebbe negare. Chiedere che lo percepiscano “le donne del Cavaliere”, è pretendere troppo. Si veda la dichiarazione di Mariastella Gelmini: «Noi donne del Pdl siamo orgogliose di stare con Berlusconi e non con una sinistra vecchia, sterile, retrograda, incarognita, triste e che non sorride mai». Qui torna un argomento rivelatore: nella propaganda del centrodestra, la sinistra sarebbe “triste”. Il che potrebbe persino costituire un argomento di qualche consistenza se a quella sinistra “che non sorride mai” non venissero contrapposte – come esempio di “allegria”, gioia di vivere, capacità di essere ironici, leggeri e perfino, felici - le barzellette di Silvio Berlusconi e la sua grassoccia ilarità. Quest’ultima, chiaramente, assomiglia sempre più a un rictus: e “l’uomo che racconta barzellette” – mi è già capitato di notarlo – in tutta la narrativa occidentale è, da sempre, la figura letteraria della malinconia, se non della tetraggine. Se gli apologeti di Berlusconi gli riconoscessero quel tratto di disperazione che la decadenza fisica, la vulnerabilità intellettuale e l’inquietudine del trascorrere del tempo regalano agli essere umani, dimostrerebbero almeno di volergli un po’ di bene. E non solo di servirsene tanto abilmente quanto lui sa servirsi delle donne.
4. Secondo la Segreteria di Stato (23 Febbraio 2013), “È deplorevole che […] si moltiplichi la diffusione di notizie spesso non verificate, o non verificabili, o addirittura false” capaci di “condizionare” il Collegio Cardinalizio. Condizionare il Conclave? Capirei se parlassimo dell’opinione pubblica, magari di quella cattolica, ma pensare che “notizie non verificate” possano influenzare i cardinali, vuol dire considerarli alla stregua di giurati di X Factor. Tentazioni secolariste, e forse qualche traccia di blasfemia, nel linguaggio della Segreteria di Stato.
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