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A buon diritto

Cattivi comizianti
Luigi Manconi
Egregio Direttore, sgombriamo subito il campo da un equivoco molesto. Lei e io (pur se diversamente mezzeseghe) abbiamo avuto, un secolo  fa o giù di lì, la responsabilità di quel delicatissimo apparato dell’ organizzazione politica che è il servizio d’ordine. Di conseguenza, sappiamo bene  come “si conta” una piazza. Potremmo, dunque, agevolmente convenire  che alla  manifestazione dell’opposizione (13 marzo)  vi fossero  50-70mila persone, mentre a quella della maggioranza (20 marzo) ve ne fossero 100-120mila. Questo, per noi ben pensanti dovrebbe mettere fine a quella controversia  che tutti definiscono “il balletto delle cifre” (formula tanto stucchevole quanto “la lotteria dei rigori” di Bruno Pizzull ). Detto questo, c’è tutto il resto. Io ho dedicato il pomeriggio di sabato scorso all’ ascolto, via Gr parlamento, dell’ intero comizio di Silvio Berlusconi (mi si dirà: ma non avevi nulla di meglio da fare? No). Sia chiaro: un comizio è un comizio, qui nessuno è schizzinoso, e, tuttavia, dico che quel discorso faceva letteralmente cadere le braccia. Altro che leader carismatico, come vorrebbe qualcuno. Non c’è stato nulla, ma proprio nulla, in quel comizio, del linguaggio del carisma, per come è stato analizzato ormai decenni fa, da Luciano Cavalli. Un comizietto, piuttosto, negli standard  della tradizionale oratoria novecentesca da palco, che faceva venire in mente personaggi di grande dignità della prima repubblica, privi tuttavia dell’appeal del grande leader. (Penso a figure come Adalberto Minucci  o Carlo Donat Cattin). Contribuisce a ciò un curioso limite oratorio di Berlusconi. Fateci attenzione: il premier parla con voce monocorde, ancorché su una tonalità elevata, ignorando completamente la tecnica del crescendo. Mi spiego. Se la frase del discorso è: “la sinistra vuole spiarci tutti quanti”, l’oratoria (da quella classica alla phoné di Carmelo Bene fino al rap) esige il ricorso, appunto, al crescendo, come tecnica musicale costruita sull’ “aumento della tonalità fino al Fortissimo”. Pertanto, quella frase prevede che da  la sinistra fino a  quanti, la voce segua un andamento in salita, inerpicandosi lungo una successione di toni che portano verso l’alto. Berlusconi non usa questa tecnica, bensì -  forse nel timore che la voce possa spezzarsi - pronuncia in maniera monotonale il periodo: la sinistra vuole spiarci tutti, e poi , urla la sola parola finale: QUANTI! L’effetto è francamente un po’ comico: se si considerassero tutte insieme le parole urlate, a conclusione di una frase monotonale, si scoprirebbe che gran parte di esse sono decisamente casuali (come, appunto, quel QUANTI). La modalità berlusconiana ricorda quel singolare richiamo (studiato alcuni decenni fa da Roberto Leydi) dei banditori di piazza e tuttora, per esempio a Roma, di quegli ambulanti che, attraverso un altoparlante, gridano: “Donne è arrivato l’arrotino”. Capiamoci: in ogni caso, si tratta di una oratoria che ottiene straordinari risultati e che, a sinistra, non trova competitori all’altezza. Ma, se dalla dimensione fonica si passa a quella linguistica, il comizio di sabato scorso si rivela davvero deludente, innanzitutto proprio dal punto di vista dell’ispirazione carismatica. Non un orizzonte ideale, non una proiezione mitologica, non una pulsione sentimentale, non una relazione erotica con il popolo. Insomma, nulla che susciti una "devozione all'eccezionale santità del leader” (Max Weber). Non scomodo  Amintore Fanfani, ma penso che anche Adolfo Sarti (andrebbe rivalutato, no?) avrebbe fatto meglio. Ultima considerazione, la più importante. Facciamo finta, per queste righe finali, che io non sia un avversario politico (e dunque non mi  si deve replicare: e allora tu? e allora voi?). Da osservatore resto stupefatto per quel tratto culturale e psicologico che connota l’atteggiamento dei berlusconiani verso Berlusconi. L’adulazione tributata al premier non ha uguale  nella storia politica italiana, dopo l’epilogo delle grandi epopee di Alcide Degasperi  e Palmiro Togliatti. Intendo l’adulazione nei confronti dei leader viventi, dal momento che tutt’altro discorso va fatto per quelli scomparsi, che godono evidentemente di un diverso carisma (dove prevale la componente del mito). La sola eccezione conosciuta nelle democrazie contemporanee è quella rappresentata proprio da Berlusconi,  verso il quale si manifesta una sorta di incontinenza impudica e di sudditanza invereconda. Che si esprime attraverso un linguaggio puerile e devozionale, emotivo e immaturo, proprio della condizione infantile o della dimensione religiosa. Erroneamente si attribuisce un simile atteggiamento a Sandro Bondi, che ne ha fatto più una poetica agiografica che una subalternità gerarchica. I veri adulatori sono altri. Quelli che ricorrono a formule come “il popolo lo ama”, “il Pdl è lui” è un “superuomo” , “è il nostro condottiero” è di “intelligenza superiore”. Si potrebbe dire (volgarmente, lo ammetto): ma è il modello  Kim Il Sung!  Ma qui manca l’epos (pur se tragico) e la favola (pur se nera): resta solo il rito di una liturgia stanca.
il Foglio 23 marzo 2010
Cattivi comizianti
Luigi Manconi
Egregio Direttore, sgombriamo subito il campo da un equivoco molesto. Lei e io (pur se diversamente mezzeseghe) abbiamo avuto, un secolo  fa o giù di lì, la responsabilità di quel delicatissimo apparato dell’ organizzazione politica che è il servizio d’ordine.

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