Torture
Nell’assurda condizione delle carceri italiane è bene iniziare a chiamare le cose con il loro nome
Luigi Manconi
In base alla Convenzione contro la tortura delle Nazioni unite (1987), l’Italia e gli altri Stati aderenti si sono impegnati a bandire la tortura dalle proprie pratiche disciplinari, procedurali e punitive, e di sanzionare l’illegittimo ricorso a essa. Ventisei anni e siamo ancora lì, a quell’obbligo internazionale che, peraltro, segue un preciso obbligo costituzionale: “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà” (art. 13, comma 4). L’unica norma incriminatrice prevista dalla Costituzione, ma anch’essa disattesa ormai da quasi settant’anni.

Eppure, come documenta Patrizio Gonnella nel suo La tortura in Italia (DeriveApprodi, 2013), la tortura fa capolino da alcune sentenze recenti che, a dispetto del silenzio delle norme, non si negano il potere della parola, e chiamano le cose con il proprio nome. Qualificano, così, le violenze e gli abusi su persone private della libertà come fatti di “tortura”. Gonnella costruisce intorno alla “parola indicibile” (come la definisce Mauro Palma nella postfazione) un dizionario della violenza pubblica: dignità, verità, silenzio, eccezione, dolore, e via elencando, secondo un ordine concettuale che lega parole, luoghi e pratiche.
Certo, la tortura è un estremo della privazione della libertà. Un estremo illegittimo ed eccezionale (illegittimo anche se eccezionale): eppure, quella pratica ci dice anche che la promiscuità coatta dei corpi è già un atto immediatamente violento, che induce dolore e, alla lettera, pena. Il confine tra la sofferenza legittima e quella illegittima è labile, tanto quanto è difficile contenere gli effetti concreti della privazione della libertà. Pensiamo al problema della detenzione delle donne, madri di figli minori, che convivono con loro in carcere. In nome della relazione irrinunciabile con la madre, quei bambini sono costretti a crescere in un ambiente patogeno, fino al compimento del terzo anno d'età. Successivamente, la madre sconterà la sua pena non solo nel distacco dagli affetti, ma dentro istituzioni organizzate sulla vita di quella enorme maggioranza di detenuti maschi (il 95% circa). Ne scrive dettagliatamente Cristina Scanu, ne La mamma è in prigione (Jaca Book, 2013), la prima inchiesta sulla detenzione femminile in Italia. Immaginare alternative a questo oltraggioso scandalo nello scandalo, che imprigiona bambini da 0 a 3 anni, è possibile. Realizzare spazi meno ostili del carcere dove possano convivere madri e figli, oltre a rispondere a un imperativo morale, potrebbe sollecitare la fantasia sociale e il coraggio legislativo verso nuovi luoghi e pratiche di controllo e di reinserimento dei reclusi. Senza che ciò comporti, necessariamente, il fatto di finire ammassati e annichiliti nell'angustia oppressiva di una cella.
Un'altra situazione estrema, altrettanto insensata, è quella rappresentata dalla detenzione dei tossicomani. Il Libro Bianco sulla Legge Fini-Giovanardi, curato da Antigone, CNCA, Forum Droghe e Società della Ragione, riporta dati di grande interesse.
Alla fine del 2012 sugli ingressi totali in carcere (63.020), quelli per violazione del solo art. 73 (detenzione) della legge antidroga sono stati 20.465, pari al 32,47% rispetto al 28% del 2006. Nello stesso 2012, sul totale degli ingressi, i tossicomani sono stati 18.225 (il 28,92% rispetto al 27,16% del 2006). E' assai significativo, poi, che in particolare nello scorso anno la repressione si sia concentrata sulla cannabis, con una percentuale del 42,5% sul totale delle denunce.
E, così, dopo la flessione del 2009-2010, aumentano le segnalazioni al prefetto per consumo personale: dai 32.575 del 2010 ai 35.762 del 2012, di cui 28.095 per cannabinoidi. Se ne ricava un dato rivelatore, e, direi, allarmante: dal 1990 al 2012 le persone segnalate ai prefetti per le sanzioni amministrative sono state 853.004; e le misure irrogate risultano più che raddoppiate. E, tra quanti sono stati segnalati alle prefetture, crollano le richieste di programmi terapeutici: da 6.713 nel 2006 a 340 nel 2012. D'altra parte, diminuiscono le misure alternative: da 3.852 persone in affidamento nel 2006 a 2.816 a metà del 2012.
Prima del 2006, la maggioranza dei tossicomani godeva dell’affidamento a partire dalla condizione di libertà, con la nuova legge il rapporto si è invertito: al 30 maggio 2012, 1.854 persone erano in affidamento dopo essere passate dal carcere, a fronte di 962 soggetti provenienti dalla libertà.
Come emerge nitidamente da questi dati, l’impatto carcerario della legge antidroga è la principale causa del sovraffollamento e, dunque, uno dei nodi essenziali sui quali intervenire. Ma su questo, ahinoi, la capacità di produrre confusione e di creare allarme da parte di un sistema politico-mediatico in evidente stato di alterazione mentale, è grande.
Basti un esempio. Sul Fatto del 22 Giugno scorso, il fine giureconsulto e autorevole tossicologo Carlo Giovanardi, celato sotto un fascinoso e aristocratico nom de plume femminile (Beatrice Borromeo, o qualcosa del genere) ha distillato - si ponga attenzione al linguaggio - alcuni pensierini sugli effetti della paventata "legge svuotacarceri" (e poco importa se il decreto effettivamente approvato abbia previsto cose diverse):
“Avviso ai criminali: se avete in mente di delinquere, vi conviene fare uso di droghe. E, se ancora non “vi fate”, abbiate cura di cominciare quando vi condannano. Prendiamo il caso di un rapinatore allergico alla cocaina: appena beccato, va in carcere. Se però dimostra che, al momento del reato o dopo averlo commesso, ha assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, anzichè in galera andrà a svolgere lavori di pubblica utilità. Finora poi questo beneficio era concesso solo per i reati minori del Testo unico sulla droga (come piccolo spaccio o modesta detenzione). Ora non più: i delinquenti tossici ringraziano".
Che Dio lo (la) perdoni.
Il Foglio, 02 luglio 2013

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Commenti (1)
  • Andrea Dell'Acqua 1986  - Allerme - informare su crimini ed estorsioni di nu
    INFORMATE ALMENO SUI METODI, NE VA DEL MERIDIONE E DEL RESTO DELL’ITALIA, SONO I “NUOVI” METODI CRIMINALI: COME FATTO AL SUD, FANNO AL NORD.
    LA GUERRA FREDDA DELLA “PSICO(IN)CIVILIZZAZIONE” STATUNITENSE – LE MAFIE PER FINI IDEOLOGICI – LA VESSAZIONE PER FINI POLITICI – LA VESSAZIONE MAFIOSA PRO-ELITARIA PER LA SPARTIZIONE ELITE / SOTTOMESSI.

    In Busto Garolfo (Mi – Italia), non potendo escludere altre località in Provincia (ad esempio Parabiago) ed Italia, vi sono individui collusi in associazioni a delinquere di stampo mafioso e collusi in associazioni di Stalker Organizzati a Gruppi non dissimili dalle mafie, costituite da mercenari, mafiosi, terroristi, neo nazisti, satanisti, stalker, dipendenti delle Forze dell'Ordine e forze di sicurezza pubblica e privata, dipendenti di Servizi d'Intelligence e Militari od Ex-Militari Italiani, che “operano” ed agiscono (in base o comunque a favore di piani strategici che non possono non appartenere all'Intelligence ed altri apparati degli U...
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