Caro Formica
Luigi Manconi
Politicamente correttissimo
Si dirà: “è un trotzkista” . Ed è, almeno parzialmente, vero: così come è almeno parzialmente vero che io sia: “di Lotta Continua” (pur se quella benemerita associazione si sciolse trentacinque anni orsono).
Dunque, non è improprio – e tanto meno denigratorio – alludere alla trascorsa militanza quartinternazionalista di Rino Formica per cercare le radici di alcune sue posizioni. Che pure, nel caso specifico, rimandano a una più ampia e composita e articolata area culturale, dove si ritrovano filoni assai diversi: dall’azionismo al socialismo libertario, dal liberalismo di sinistra al comunismo consiliare fino all’anarchismo e al radicalismo e al minoritarismo degli anni ’60 e ’70; e fino, oso l’inosabile, a un certo personalismo  catto-sociale. Tutto questo popò di radici ideologiche per contestualizzare culturalmente una questione che ha antiche ascendenze. In una lettera al Foglio del 17 giugno 2010, Rino Formica – partendo dalla vertenza alla Fiat di Pomigliano – ricostruisce sinteticamente la vicenda del controverso, e spesso conflittuale rapporto tra diritti individuali e garanzie sociali e tra libertà civili e tutele sindacali. Non condivido alcuni passaggi di quella ricostruzione (e si comprende bene: io sono “di Lotta Continua”, lui è “trotzkista”), ma sottoscrivo interamente il suo interrogativo: “Perché proprio con questo clima di diffuso perbenismo si sente il bisogno di rompere il legame tra interessi sociali e diritti civili?”. Di questo si sta discutendo da qualche settimana proprio perché è apparso stridente lo scarto di enfasi tra le reazioni alla “legge bavaglio” sulle intercettazioni telefoniche e quelle al “contratto capestro” per i dipendenti della Fiat di Pomigliano. La questione è di cruciale importanza e ritengo che costituisca un nodo essenziale della definizione di una moderna identità di sinistra. Finora le risposte sono giunte solo da quella parte di schieramento che si riconosce in Sinistra e Libertà. Domenica, sul Manifesto Fausto Bertinotti ha affermato che: “è scandaloso che chi denuncia, giustamente, il bavaglio sui diritti di informazione non si affianchi alla Fiom nel denunciare lo strame di diritto quando questo tocca la vita dei lavoratori”. Al di là del linguaggio, la questione non può essere elusa. Né da chi ritiene che la legge sulle intercettazioni sia necessaria per impedire che si faccia “strame del diritto” alla sfera della riservatezza personale: né da quanti ritengono che quella stessa legge violi l’essenziale diritto individuale all’informazione. In altre parole quanti hanno a cuore l’intangibilità dei diritti individuali (in questo caso, alla privacy così come all’informazione) dovrebbero tenere in egual conto quel diritto squisitamente individuale all’autodeterminazione (del tempo, del riposo, dell’organizzazione personale e familiare …) e quello alla libera associazione e all’attività sindacale. Di entrambi questi diritti forse non si fa “strame” in quell’accordo, ma certamente si compromette la pienezza e l’esigibilità. Discuterne, dubitarne, opporvisi dovrebbe essere, per un verso un esercizio legittimo e salutare e, per l’altro verso un impegno prioritario di una sinistra che voglia, appunto, coniugare “interessi sociali e  diritti individuali”. Sembra che, invece, la tutela di quegli stessi interessi sociali debba imporre di necessità la rinuncia ai diritti individuali. Formica attribuisce questa perversione a una ragione storica (ma, precisa è solo “una delle cause”) tutto sommato recente: ovvero la demolizione “del principio di garanzia. […]Indebolire il sistema immunitario democratico con il giustizialismo e rinunciare al garantismo è un piano inclinato […]. Tra manette a gogò […] e la sospensione del diritto di sciopero per il sabato sera, non c’è differenza”. Una tesi simile è quella esposta domenica da Giuseppe Caldarola sul Riformista: “il divorzio fra diritti di libertà e diritti sociali è il tratto caratteristico della sinistra dei nostri tempi”. Caldarola scrive cose opportune, ma anch’egli commette, a mio avviso, un errore di prospettiva. “La sinistra dei nostri tempi”? Ma va’! Quel “divorzio”, al contrario, mi sembra il connotato qualificante delle sinistre di tutti i tempi. E comprensibilmente: chiamata ad affermare i diritti sociali, le garanzie collettive, le libertà di tutti, la sinistra ha coltivato un’idea compattamente organicistica del diritto individuale, quasi che quest’ultimo dovesse discendere – consequenzialmente  e successivamente – dall’affermazione piena e matura del sistema dei diritti di cittadinanza sociale. Una dipendenza gerarchica e cronologica non discutibile: la tutela della persona come effetto della tutela del corpo sociale più ampio in cui si trova, produce, milita (la società, la fabbrica, il partito). Si può arrivare a dire che una simile errata concezione, perseguita per un secolo e mezzo, solo di recente ha conosciuto ripensamenti, correzioni, primi timidi ribaltamenti. Poi, ci sarà sempre qualcuno che continuerà a scrivere: “Intercettateci tutti”. Che ci volete fare? Come direbbe Ezio Greggio “so’ ragazzi”.       
il Foglio 22 giugno 2010
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