Se i saggi anti-droga bocciano il proibizionismo
Adriano Sofri
la Repubblica 8 giugno 2011
Vecchia  questione: confidare di più in un antinuclearista di sempre o in un  nuclearista pentito? Uno che non ha fumato mai o
uno che ha smesso?  Questione insolubile: però nel calendario i santi animalisti sono  cacciatori pentiti. Parecchi fra i 19 celebri
membri della Commissione  Globale per la Politica sulla Droga sono proibizionisti pentiti. Alcuni  di loro hanno avuto
responsabilità di punta, come gli ex presidenti di  Messico, Colombia, Brasile.
Dandone qui notizia, Angelo Aquaro l´ha  definita "una rivoluzione", e per una volta il nome non era abusato.  Sostengono vibratamente, le 24 pagine del rapporto, che occorre  ripudiare la "criminalizzazione, l´emarginazione, la stigmatizzazione di  quanti fanno uso di droghe senza procurare danno ad altri". Che bisogna  sperimentare modi di regolazione delle droghe che contrastino i  traffici illegali e che non si traducano, in nome della guerra alla  droga, in una
guerra ai drogati. Che le cifre parlano di un ininterrotto  aumento del consumo di oppiacei, di cocaina e marijuana. Che il consumo  ha perduto il suo appeal trasgressivo per diventare un´abitudine  "universale". Che bisogna passare da un trattamento penale a uno  sanitario. Le rivoluzioni più vere sono quelle che avvengono nei  modi di pensare e di sentire. Il documento dei saggi dell´Onu apre  problemi ardui, ma rovescia una mentalità tanto ovviamente accettata  quanto arbitraria. Lo denunciava già Milton Friedman: combattere l´offerta mentre la  domanda non fa che crescere non riduce il consumo ma ne esalta i costi e  la violenza. L´economista Friedman non si limitava alla constatazione  sulle fortune del mercato criminale. «Sul piano etico, abbiamo il
diritto di usare la macchina dello Stato per impedire che una persona  diventi alcolista o tossicodipendente? Per i bambini, quasi tutti  risponderebbero almeno con un convinto sì. Ma per adulti responsabili,  perlomeno io risponderei di no. Ragionare con il tossicodipendente  potenziale, sì. Spiegargli le conseguenze, sì. Pregare per lui e con  lui, sì. Ma io credo che non abbiamo il diritto di usare la forza,  direttamente o indirettamente, per impedire ad un altro uomo
di  suicidarsi, figuriamoci di consumare alcol o droghe». C´è un´affinità  stretta fra la crociata proibizionista e la passione per l´idratazione  forzata di Stato, un´idea del potere politico (e religioso) come  espropriazione del corpo dei sudditi. Il rapporto ricorda che «le  persone che consumano droga non perdono i loro diritti civili». Ora, a  firmare il rapporto sono personaggi poco trasgressivi come Kofi Annan o  George Schultz, ex ministro di Nixon e Reagan; l´ex
presidente della  Federal Bank Volcker, l´ex presidente federale svizzera Ruth Dreyfuss,  Javier Solana, l´ex ministro degli Esteri norvegese Stoltenberg, l´ex  commissaria Onu per i diritti umani Louise Arbour, il Nobel Mario Vargas  Llosa e Carlos Fuentes, il premier greco Papandreu, l´imprenditore di  Virgin sir Richard Branson («Le politiche fin qui seguite hanno soltanto  riempito le nostre celle, costando milioni di dollari ai contribuenti,  rafforzando il crimine
e facendo migliaia di morti»), il banchiere e  presidente del World Trade Center memorial Whitehead ecc. (trovate i  nomi e il testo sul sito della Commissione). Non esattamente un Centro  Sociale. Il rapporto dichiara la bancarotta di 50 anni di "guerra alla  droga", cita le esperienze positive e selettive di riduzione del danno,  dal Canada al Portogallo alla Svizzera all´Olanda, e invita a firmare  una petizione internazionale da presentare all´Assemblea Generale delle  Nazioni Unite. Sono due i fattori che possono incidere in modo  decisivo sul consumo di droghe nocive: un cambiamento nei consumatori, e  un cambiamento nei non consumatori. La sicurezza del mondo è messa a  repentaglio dall´enormità degli interessi mossi dal narcotraffico, dall´Afghanistan al Kosovo alla Calabria al Messico. Quanto alle nostre  strade, gran parte dei reati e delle sciagure che le insidiano dipende  dalla tossicodipendenza e dalla sua illegalità. Le carceri ne  traboccano. L´altroieri è morto a Padova un giovane sniffando la  bomboletta di gas: dieci giorni prima il suo compagno di cella era morto  sniffando la sua bomboletta. Per l´uno e per l´altro non si saprà se  chiamarlo suicidio o disgrazia, e non fa una gran differenza, là. La
guerra mondiale alla droga ha il suo piccolo epilogo anche nella branda  su cui è morto Stefano Cucchi. I firmatari del rapporto, e i tanti che  hanno constatato da tempo il disastro della "guerra alla droga", non  hanno soluzioni facili e universali, e non a caso insistono sulle  distinzioni e le sperimentazioni. Non è una soluzione il passaggio dal  trattamento criminalizzante a quello sanitario, se non nelle condizioni  di una dipendenza sofferta come una malattia. Altrimenti, come ha  mostrato proprio il calvario di Cucchi, il passo fra galera e ospedale  può farsi brevissimo. La legalizzazione della droga darebbe un colpo  formidabile alla criminalità, e libererebbe i consumatori dal ricatto  dei trafficanti e dalla persecuzione pubblica. Moltiplicherebbe il  consumo? Non so, non mi sentirei di escluderlo. Come con l´alcool, col fumo. Ma questo dubbio rende più evidente l´importanza decisiva della  formazione, dell´informazione e dell´esempio. Compresa l´eventualità di  mostrare che si può essere altrettanto e più bravi e perfino felici in  una giornata sobria. In ogni caso, sull´altro piatto della bilancia sta  il disastro. Il documento di quei 19 così per bene - che già ha  suscitato un´esuberante discussione sulla rete - è una preziosa  occasione per una discussione cui nessuno ha ragione di sottrarsi.  Peccato dunque che un editoriale sull´Avvenire, di Giuseppe Anzani,  abbia voluto sbrigarsi a chiudere ogni spiraglio a fatti e deduzioni, e a  pronunciare un anatema: «Daremmo noi schiavitù e morte in luogo delle  mafie». «Noi - scrive - non facciamo la guerra ai drogati, facciamo la  guerra ai drogatori». Vai a visitare una galera, e ne riparliamo. Non è  il proibizionismo, e le narcomafie, e l´eroina tagliata, e le infezioni,  a dare morte e mortificazione a corpi e anime? Del resto l´Italia è  rappresentata alla Conferenza dell´Onu sulla lotta mondiale all´Aids,  dall´8 al 10 giugno, dal sottosegretario Giovanardi, che ha definito il rapporto "Baggianate". I radicali hanno presentato un´interrogazione per  chiedere al governo se questa scelta non sia "troppo riduttiva".
Adriano Sofri
la Repubblica 8 giugno 2011
Vecchia  questione: confidare di più in un antinuclearista di sempre o in un  nuclearista pentito? Uno che non ha fumato mai o uno che ha smesso?  Questione insolubile: però nel calendario i santi animalisti sono  cacciatori pentiti. Parecchi fra i 19 celebri membri della Commissione  Globale per la Politica sulla Droga sono proibizionisti pentiti. Alcuni  di loro hanno avuto responsabilità di punta, come gli ex presidenti di  Messico, Colombia, Brasile.
Dandone qui notizia, Angelo Aquaro l´ha  definita "una rivoluzione", e per una volta il nome non era abusato. Sostengono vibratamente, le 24 pagine del rapporto, che occorre  ripudiare la "criminalizzazione, l´emarginazione, la stigmatizzazione di  quanti fanno uso di droghe senza procurare danno ad altri". Che bisogna sperimentare modi di regolazione delle droghe che contrastino i  traffici illegali e che non si traducano, in nome della guerra alla  droga, in una
guerra ai drogati. Che le cifre parlano di un ininterrotto  aumento del consumo di oppiacei, di cocaina e marijuana. Che il consumo  ha perduto il suo appeal trasgressivo per diventare un´abitudine  "universale". Che bisogna passare da un trattamento penale a uno  sanitario. Le rivoluzioni più vere sono quelle che avvengono nei  modi di pensare e di sentire. Il documento dei saggi dell´Onu apre  problemi ardui, ma rovescia una mentalità tanto ovviamente accettata  quanto arbitraria. Lo denunciava già Milton Friedman: combattere l´offerta mentre la  domanda non fa che crescere non riduce il consumo ma ne esalta i costi e  la violenza. L´economista Friedman non si limitava alla constatazione  sulle fortune del mercato criminale. «Sul piano etico, abbiamo il
diritto di usare la macchina dello Stato per impedire che una persona  diventi alcolista o tossicodipendente? Per i bambini, quasi tutti  risponderebbero almeno con un convinto sì. Ma per adulti responsabili,  perlomeno io risponderei di no. Ragionare con il tossicodipendente  potenziale, sì. Spiegargli le conseguenze, sì. Pregare per lui e con  lui, sì. Ma io credo che non abbiamo il diritto di usare la forza,  direttamente o indirettamente, per impedire ad un altro uomo
di  suicidarsi, figuriamoci di consumare alcol o droghe». C´è un´affinità  stretta fra la crociata proibizionista e la passione per l´idratazione  forzata di Stato, un´idea del potere politico (e religioso) come  espropriazione del corpo dei sudditi. Il rapporto ricorda che «le  persone che consumano droga non perdono i loro diritti civili». Ora, a  firmare il rapporto sono personaggi poco trasgressivi come Kofi Annan o  George Schultz, ex ministro di Nixon e Reagan; l´ex
presidente della  Federal Bank Volcker, l´ex presidente federale svizzera Ruth Dreyfuss,  Javier Solana, l´ex ministro degli Esteri norvegese Stoltenberg, l´ex  commissaria Onu per i diritti umani Louise Arbour, il Nobel Mario Vargas  Llosa e Carlos Fuentes, il premier greco Papandreu, l´imprenditore di  Virgin sir Richard Branson («Le politiche fin qui seguite hanno soltanto  riempito le nostre celle, costando milioni di dollari ai contribuenti,  rafforzando il crimine
e facendo migliaia di morti»), il banchiere e  presidente del World Trade Center memorial Whitehead ecc. (trovate i  nomi e il testo sul sito della Commissione). Non esattamente un Centro  Sociale. Il rapporto dichiara la bancarotta di 50 anni di "guerra alla  droga", cita le esperienze positive e selettive di riduzione del danno,  dal Canada al Portogallo alla Svizzera all´Olanda, e invita a firmare  una petizione internazionale da presentare all´Assemblea Generale delle  Nazioni Unite. Sono due i fattori che possono incidere in modo  decisivo sul consumo di droghe nocive: un cambiamento nei consumatori, e  un cambiamento nei non consumatori. La sicurezza del mondo è messa a  repentaglio dall´enormità degli interessi mossi dal narcotraffico, dall´Afghanistan al Kosovo alla Calabria al Messico. Quanto alle nostre  strade, gran parte dei reati e delle sciagure che le insidiano dipende  dalla tossicodipendenza e dalla sua illegalità. Le carceri ne  traboccano. L´altroieri è morto a Padova un giovane sniffando la  bomboletta di gas: dieci giorni prima il suo compagno di cella era morto  sniffando la sua bomboletta. Per l´uno e per l´altro non si saprà se  chiamarlo suicidio o disgrazia, e non fa una gran differenza, là. La
guerra mondiale alla droga ha il suo piccolo epilogo anche nella branda  su cui è morto Stefano Cucchi. I firmatari del rapporto, e i tanti che  hanno constatato da tempo il disastro della "guerra alla droga", non  hanno soluzioni facili e universali, e non a caso insistono sulle  distinzioni e le sperimentazioni. Non è una soluzione il passaggio dal  trattamento criminalizzante a quello sanitario, se non nelle condizioni  di una dipendenza sofferta come una malattia. Altrimenti, come ha  mostrato proprio il calvario di Cucchi, il passo fra galera e ospedale  può farsi brevissimo. La legalizzazione della droga darebbe un colpo  formidabile alla criminalità, e libererebbe i consumatori dal ricatto  dei trafficanti e dalla persecuzione pubblica. Moltiplicherebbe il  consumo? Non so, non mi sentirei di escluderlo. Come con l´alcool, col fumo. Ma questo dubbio rende più evidente l´importanza decisiva della  formazione, dell´informazione e dell´esempio. Compresa l´eventualità di  mostrare che si può essere altrettanto e più bravi e perfino felici in  una giornata sobria. In ogni caso, sull´altro piatto della bilancia sta  il disastro. Il documento di quei 19 così per bene - che già ha  suscitato un´esuberante discussione sulla rete - è una preziosa  occasione per una discussione cui nessuno ha ragione di sottrarsi.  Peccato dunque che un editoriale sull´Avvenire, di Giuseppe Anzani,  abbia voluto sbrigarsi a chiudere ogni spiraglio a fatti e deduzioni, e a  pronunciare un anatema: «Daremmo noi schiavitù e morte in luogo delle  mafie». «Noi - scrive - non facciamo la guerra ai drogati, facciamo la  guerra ai drogatori». Vai a visitare una galera, e ne riparliamo. Non è  il proibizionismo, e le narcomafie, e l´eroina tagliata, e le infezioni,  a dare morte e mortificazione a corpi e anime? Del resto l´Italia è  rappresentata alla Conferenza dell´Onu sulla lotta mondiale all´Aids,  dall´8 al 10 giugno, dal sottosegretario Giovanardi, che ha definito il rapporto "Baggianate". I radicali hanno presentato un´interrogazione per  chiedere al governo se questa scelta non sia "troppo riduttiva".
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