Ecologista di lotta e di governo
Silvio Di Francia
C’è stato un tempo nel quale l’ambientalismo era riservato a un drappello di orgogliosi minoritari e apocalittici. Non era quello il tempo di Mario Di Carlo, ecologista di lotta e di governo, che con i fondatori di Legambiente immaginò e praticò un ambientalismo civico fatto di campagne in grado di produrre consenso e risultati.
Sono gli anni delle grandi campagne che denunciando disegnavano un altro Paese, rendendolo, forse, migliore, sicuramente più consapevole: nasce così “La Goletta Verde”, che gira ancora oggi per mari e spiagge a monitorare lo stato delle acque e delle coste; “In nome del Popolo Inquinato” contro i veleni delle nostre città; “Puliamo il Mondo”, il “Treno Verde” e tante altre; in un’azione che non ha paura delle responsabilità, né di perdersi in esse. È così che Di Carlo diviene l’esponente tra i più autorevoli di una generazione che, partita dalla militanza ambientalista è chiamata alle responsabilità amministrative dai nuovi sindaci eletti con il voto diretto.

Nominato amministratore delegato di Atac, la più disastrata tra le municipalizzate romane, deve affrontare, per conto di Rutelli prima e Veltroni poi, la sfida del risanamento dei conti introducendo contemporaneamente quelle novità che i cittadini attendevano dalla prima giunta ad alto tasso ecologista in Italia. Rimangono leggendari gli incontri tra i vertici dell’Atac e gli utenti, chiamati a confronto al Teatro Sistina, tra contestazioni e suggerimenti. È così che la Roma sonnacchiosa e provinciale vede arrivare insieme quelle novità che sembravano fatalmente destinate ad altre capitali: le corsie dedicate ai mezzi pubblici e la sosta tariffata, autobus elettrici e piazze pedonalizzate. Riforme che dividono e per le quali occorreva battersi, piuttosto che ritirarsi alla prima avversità. E Di Carlo era un combattente.

C’era, in questo, la sua cifra personale, l’orgoglio del figlio del netturbino della Garbatella, chiamato alle imprese impossibili, come quella di risanare l’Ama, l’azienda per la quale il padre aveva lavorato tutta una vita; il Di Carlo rugbista, lo sport di gioventù, che affrontava i problemi fronte alta - “di mischia” direbbe lui - si trattasse dei tassisti romani o dei commercianti contrari alle pedonalizzazioni. Non era, del resto, infrequente vederlo andare diritto, al centro della contestazione senza rete e senza retorica. C’era, infine, il ragazzo del popolo, che mai indossò una cravatta, tranne il giorno speciale in cui riuscì a varare il progetto definitivo della Linea C, la nuova metropolitana di Roma.

Un uomo libero, talmente libero dal provare disinteresse per qualsiasi strategia di comunicazione riguardasse la propria immagine, e talmente onesto da provocare rispetto e stima anche nel più accanito dei suoi avversari.
l'Unità 26 aprile 2011
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