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“Oggi Rosarno è l’unica città al mondo interamente bianca. Nemmeno il Sud Africa dell’Apartheid aveva ottenuto un tale risultato. Ora, la domanda da porre è: chi raccoglierà le arance? Immaginiamo che, a farlo – e, come si dice, per dare un messaggio al paese – saranno i ministri Calderoli e Maroni. Le responsabilità di quest’ultimo sono gravissime: le sue parole (“se si è arrivati a questo è perché c’è stata troppa tolleranza”) suonano indecenti. Proprio così: prive di qualunque forma di decenza, politica ma anche morale. Mai, nella storia dell’Italia repubblicana, si era assistito a un simile rovesciamento della realtà dei fatti: le vittime ovvero gli immigrati, costretti all’irregolarità, ridotti a schiavi, soggetti a una disciplina feroce e a punizioni crudeli, sottoposti a un regime servile, fatti bersaglio di aggressioni e fucilate, sono stati presentati come i responsabili della situazione. In questa cupa vicenda il razzismo c’entra, eccome, ma è una componente di quella organizzazione criminale del lavoro manuale, gestita dalla ‘ndrangheta e accettata dallo Stato e dalle istituzioni locali. Il ministro dell’Interno usa parole tonitruanti contro le cosche, ma poi accusa le vittime di quelle stesse cosche, le deporta, le espelle. Infine, viene da chiedere: ma dov’è la classe politica di centro sinistra? Perché non corre in Calabria? Perché le confederazioni sindacali non fanno della “questione Rosarno” una questione nazionale? Il primo marzo, in alcuni paesi europei, si svolgeranno iniziative a tutela del lavoro immigrato. Che cosa si aspetta a  fare altrettanto in Italia?”
 
Un giorno senza immigrati Il primo sciopero degli stranieri
Cesare Buquicchio
Si sono dette: «Proviamoci».

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Primo marzo 2010 Un giorno senza stranieri «L'Italia capirà che siamo determinanti»

Un centinaio di persone ha partecipato stamani allo Spazio Tadini di via Jommelli alla presentazione del "Primo Marzo 2010 - Sciopero degli stranieri". La manifestazione, ispirata e gemellata con la francese "Journée sans immigrés: 24h sans nou", si propone di far capire cosa succederebbe se «i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno».

L'obiettivo dei promotori è quello di organizzare «una grande manifestazione non violenta per far capire all'opinione pubblica italiana quanto sia determinante l'apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società. Questo movimento nasce meticcio ed è orgoglioso di riunire al proprio interno italiani, stranieri, seconde generazioni, e chiunque condivida il rifiuto del razzismo e delle discriminazioni verso i più deboli». Alla presentazione hanno partecipato rappresentanti di associazioni e sindacati come Cigl, Arci, Legambiente, Emergency, Terre di mezzo.

Gli organizzatori hanno adottato il giallo come colore di riferimento di Primo marzo 2010 è il giallo. «Su Facebook il gruppo ha raccolto in un mese 40mila adesioni, e in diverse città di tutta Italia si stanno moltiplicando comitati locali, per ora siamo a quota 17» spiega la presidente del comitato organizzatore Stefania Ragusa. «Il nostro obiettivo - continua la Ragusa - è far vedere che non ci sono noi e loro, che le nostre vite sono già mescolate». Sciopero bianco, astensione dai consumi, adesione simbolica indossando il fiocco giallo, scelto come colore dell'iniziativa: sono alcune delle forme di protesta prese in considerazione, nella consapevolezza della difficoltà di proclamare un vero e proprio sciopero, come era nei propositi iniziali del movimento.

«Noi riteniamo che oggi in Italia si debba sostenere questa giornata di sensibilizzazione ma non proclameremo lo sciopero» ha affermato Giovanni Minali, membro della segreteria della Cgil Lombardia, che insieme alla Cisl darà il sostegno alle iniziative che il movimento metterà in atto sul territorio. «A Milano ad esempio l'intenzione è far vedere dove e come lavorano gli immigrati, spesso senza alcuna tutela, dall'ortomercato ai cantieri dell'hinterland» anticipa Minali. Ma il fermento nelle comunità straniere è notevole: «Per quanto mi riguarda quel giorno abbasserò la saracinesca del mio negozio e non manderò i miei figli a scuola, e inviterò amici e parenti a fare altrettanto» assicura Najat Tantaoui, 30enne nordafricana, titolare di un internet point a Cinsello Balsamo, che dice convinta che «per mettere fine alle discriminazioni, gli immigrati devono impegnarsi in prima prima persona».
l'Unità 17 gennaio 2010
 
La rivolta degli schiavi
Fabrizio Gatti
La crisi economica. Le norme punitive del governo. Il razzismo. La condizione degli immigrati nel nostro Paese è sempre più difficile. Così crescono rabbia e voglia di protesta

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Sciopero degli immigrati?
(AGI) - Roma, 8 dic. - Anche in Italia uno “sciopero degli immigrati’ sul modello della iniziativa ‘24 ore senza di noi’ lanciata dalle comunita’ immigrate in Francia. Emma Bonino, in una intervista a Radio Radicale, rilancia la proposta di una iniziativa sul tema dell’immigrazione.

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Primo marzo, lo “sciopero” prende corpo. Un nastro giallo per solidarietà

Da Milano a Palermo: 11 i comitati ufficialmente costituiti e altri in via di formazione per l'evento del 1 marzo 2010. Il 17 gennaio il lancio ufficiale. Un nastro giallo sarà il segno di riconoscimento

Redattore sociale 12 gennaio 2010
 

Cari sindacati, la proposta non è banale
Luigi Manconi
Cara Renata Polverini e Cari Angeletti, Bonanni, Epifani, so bene che organizzare uno sciopero degli immigrati che lavorano nel nostro paese è un’impresa ardua, che richiede molto tempo. E che, oltretutto, solleva una questione di unità: è giusta una mobilitazione dei soli immigrati, molti dei quali già iscritti ai sindacati? E, tuttavia, non possiamo ignorare che in Francia il primo marzo 2010, vi sarà un’iniziativa esattamente di tale natura. Lo slogan è semplice: “24h sans nous” (un giorno senza di noi), ma tutt’altro che banale. Esso allude a una realtà a dir poco sottovalutata, ma in verità  rimossa. Ovvero il ruolo che il lavoro straniero svolge nella produzione di merci, beni e servizi e, in sostanza, della ricchezza nazionale. Finalmente, i dati relativi a tale importantissimo contributo cominciano ad affiorare: di recente ne  ha evidenziato alcuni, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi.  E, così, si  prende coscienza del fatto che  quote significative del Pil e della contribuzione previdenziale, la massima parte del lavoro di cura (attività domestiche, baby-sitter, badanti, infermiere), le mansioni essenziali in alcuni settori (agropastorizia, ristorazione, pesca, ma anche edilizia e siderurgia) dipendono dal lavoro straniero. E che “un giorno senza” quel lavoro infliggerebbe un danno rilevante alla nostra economia. Insomma, gli immigrati rappresentano una parte insostituibile della forza lavoro di questo paese e degli altri paesi europei e, dunque, la loro assimilazione a una minaccia sociale e la loro riduzione a un problema criminale, prima che un’infamia, è un’immensa sciocchezza. Autolesionistica, per giunta. È vero, poi, che ci sono molti stranieri che delinquono, molti irregolari e molti altri che lavorano “in nero”. Mentre per i primi, è sufficiente l’attuale codice penale, per il secondo e per il terzo gruppo sono fondamentali le politiche di integrazione, capaci di sottrarre quei lavoratori alla doppia condizione di irregolarità (del soggiorno e del lavoro). Qui il ruolo del sindacato è a dir poco essenziale. Cgil, Cisl, Uil e Ugl non sono stati con le mani in mano, ma moltissimo resta da fare. Anche per evitare che i lavoratori stranieri, compresi quelli regolari, si sentano più deboli degli italiani, sotto il profilo dei diritti sindacali; e perché tra gli stranieri e gli italiani non si sviluppino forme di concorrenza. E si tratta di un pericolo di cui già si vede qualche traccia: e di cui i movimenti operai di altri paesi hanno fatto dolorosa esperienza. Per affrontare tutto ciò, non è necessario proclamare uno sciopero destinato a risultati assai esili: ma l’occasione della mobilitazione in Francia deve essere comunque colta. Per quel giorno, 1 marzo, i vostri sindacati potrebbero promuovere iniziative in tutta Italia, in particolare in quelle aree  dove la convivenza tra stranieri e italiani è in atto da anni e risulta più faticosa. Assemblee, diffusione di materiale informativo, incontri aperti ai cittadini, campagne di tesseramento tra i lavoratori stranieri, “feste del lavoro”. Può apparire un piccolo passo, ma un buon inizio è già molto.

L'Unità del 7 gennaio 2009
 
La Cgil: «Ma rischia di fallire»
Felicia Masoccotutti

Sarebbe una gran bella cosa, uno sciopero dei migranti, alzerebbe il velo su un mucchio di ipocrisie, tanto forte è il peso che hanno già nella nostra società e nell’economia. «Ma se lo sciopero fallisse, sarebbe un grosso problema». Piero Soldini, responsabile immigrazione della Cgil, non nasconde le perplessità sullo sciopero del primo marzo. Spiega i motivi e, d’accordo con la necessità di una mobilitazione, propone un’altra iniziativa per il 20 marzo: «Un giorno di riposo, che agli immigrati è spessissimo negato. Riposo e festa».

Uno sciopero dei soli immigrati. Per rendersi visibili. È una buona idea per la Cgil?

«È una discussione aperta da tempo. Che gli immigrati un giorno si fermino tutti e facciano pesare la loro utilità è una bella suggestione, ma difficilmente realizzabile».

Perché?

«Perché lavorano in condizioni di assoggettamento, soggezione, neo schiavismo in alcuni casi. Subiscono una forte ricattabilità e questo rende arduo che possano mettersi d’accordo e, anche solo per un giorno, alzare la testa».

Non è una visione rinunciataria?

«È pragmatismo. Inoltre per un sindacalista la scelta di uno sciopero solo di immigrati è strategicamente sbagliata. Perché rischiano tendenzialmente una segregazione nella società che li ospita e rispondere con l’auto-segregazione nelle forme di lotta è un errore. Gli immigrati rivendicano diritti nel lavoro e di cittadinanza: sono diritti di tutti, la lotta è di tutti».

Quindi uno sciopero di tutti?
«A mio avviso sarebbe più efficace uno sciopero generale magari di un’ora sola, ma di tutti, contro il razzismo. Anche per parlare ai compagni di lavoro che in fabbrica o nei cantieri dicono “ma questi che vogliono”? Noi, la Cgil, stiamo dialogando con i promotori dell’iniziativa del primo marzo e con quelli del 20 marzo: perché le proposte in realtà sono due. Dato il contesto, una mobilitazione è necessaria, stiamo dialogando, ma pensiamo a questa giornata non come uno sciopero ma una festa per gli immigrati, da farsi però il 20 marzo».

Una festa invece di uno sciopero?

«Si, il 20 è sabato e precede la giornata internazionale contro il razzismo, quindi avrebbe una simbolicità maggiore. Lo sciopero del primo viene mutuato dall’iniziativa francese. Solo che lì il primo marzo è l’anniversario dell’approvazione della legge Sarkozy sull’immigrazione. Inoltre dalle notizie che arrivano, in Francia sta diventando uno sciopero dei consumi».

Che festa sarebbe?
«L’indicazione che diamo è che i lavoratori migranti riposino, facciano valere il diritto al riposo, perché spessissimo gli viene negato, lavorano senza sosta. Si riposino e facciano festa, vadano al cinema, al teatro, in pizzeria, nei luoghi di incontro e di socialità, magari con un segno di riconoscimento che possiamo portare tutti. Ne stiamo parlando con i promotori delle altre due iniziative e argomentiamo con il fatto che la maggioranza degli immigrati difficilmente verrà a conoscenza dello sciopero».

Rischia di fallire?
«Un flop sarebbe un problema molto serio, i sindacati hanno dimestichezza con gli scioperi, è il loro mestiere, siamo attenti e pragmatici. Occorre trovare insieme la forma di mobilitazione più idonea. Senza separare gli immigrati o escluderli».

07 gennaio 2010
 
Per la prima volta, a marzo, gli extracomunitari potrebbero scioperare
JENNER MELETTI

STANGHELLA (PADOVA) - Sarà difficile anche bere un caffè, nel giorno X. Le ragazze del bar Due Archi, il più grande di piazza Pighin, sono infatti brave e gentili e anche cinesi. Sarà dura andare alla Santa Messa, quel giorno. Don Victor Hugo Toapanta Bastida è infatti molto "extracomunitario" perché arriva dall'Ecuador. Celebra l'Eucarestia, confessa e visita i malati nella parrocchia di Stroppare e nel giorno X potrebbe decidere di chiudersi in canonica. Sarà difficile fare la spesa. I garzoni dei fornai arrivano quasi tutti dall'Est o dal Nord Africa, i macellatori di polli sono tunisini o senegalesi, la frutta e la verdura sono raccolte e lavorate da mani straniere. Difficile anche distrarsi: nella società sportiva Rugby Stanghella ci sono infatti tre marocchini e un nigeriano che potrebbero appendere le scarpe al chiodo. I signori Mario e Toni dovranno restare in casa perché senza l'aiuto della badante non riescono più ad arrivare al bar.

Il giorno X - il tam tam viaggia su Internet e in particolare su Facebook - arriverà a marzo e si chiamerà "Blacks Out", fuori i neri. Ad accendere la miccia è stato un libro, "Blacks Out, un giorno senza immigrati", che è stato scritto da Vladimiro Polchi e che sarà pubblicato da Laterza giovedì 14 gennaio. Forse per la prima volta una fiction si sta trasformando in realtà.

"Ho scritto un romanzo - dice Vladimiro Polchi - dove tutti i personaggi e tutti i numeri sono veri. Ho fatto la cronaca di un giorno in cui gli italiani stupefatti scoprono che gli stranieri non si sono presentati al lavoro. E così si accorgono di quanto siano importanti. Ma poi è successa una cosa strana. Nei mesi di lavorazione del libro e nell'incontro con varie associazioni di migranti, sindacati, organizzazioni cattoliche è nato un vasto comitato. Lo scopo? Provare a passare dalla finzione letteraria alla realtà. E così il comitato - ne fanno parte associazioni di immigrati, Arci, Acli, Migrantes, i radicali, l'Asgi, i responsabili immigrazione Cgil, Uil e Sei Ugl... - ha deciso che il 20 marzo sarà un giorno senza immigrati. Un vero e proprio sciopero? Sicuramente un'iniziativa per farsi sentire, per contare, per non essere mai più invisibili. Su Facebook è nato anche un altro grande comitato che propone "Un primo marzo senza immigrati", con oltre 20mila membri. Tra i due gruppi è sorto un coordinamento e si sta cercando di unificare le date".


Ci sono tre querce, davanti al municipio di Stanghella. "I marocchini si trovano lì, di giorno e di sera". Ci sono anche in una sera di pioggia gelata. "Lo sciopero? Io non posso farlo - dice Mohammed, nato vicino a Marrachech - perché sono in cassa integrazione. Qui a Stanghella non si sta né bene né male. In fabbrica non ci sono tanti problemi ma qui in paese non tutti ti guardano nel modo giusto. Entri al bar e gli italiani fanno commenti e parlano di te come se tu non capissi l'italiano". "Io vado a scuola, all'istituto tecnico - racconta Driss - e fra i compagni di classe ci sono quelli bravi e anche i razzisti. Se c'è una discussione, sai già cosa diranno alla fine: vai al tuo paese. Fra gli adulti è ancora peggio. Se facessi lo sciopero a scuola, qualcuno sarebbe felice. Ci sono genitori che se vedono il loro figlio assieme a me lo sgridano e gli dicono: ma vai con un marocchino?".

Stanghella, con 4.450 abitanti, è solo un pezzetto di quell'Italia che senza stranieri (qui regolari e clandestini sono il 6 - 7% della popolazione, come nella media nazionale) si incepperebbe. "Straniero" è infatti il 9,7% del nostro Pil, pari a 122 miliardi. Sono arrivati da oltre confine il 50% degli operai delle fonderie, il 10% degli infermieri, il 67% delle colf e badanti. Molti maestri e docenti sarebbero senza cattedra, senza i 650.000 alunni figli di immigrati. Le casse dello Stato sarebbero più magre, senza i 6 miliardi di tasse e contributi dei migranti. Persino il 5% dei preti non è nato in Italia. "Le prime facce straniere - dice don Silvano Silvestrin, il parroco - le ho viste dieci anni fa visitando gli ammalati. Ho trovato le prime badanti, che ormai sono indispensabili. All'inizio c'erano le polacche - molte sono tornate a casa perché la situazione economica del loro Paese è migliorata - e ora ci sono le moldave, le ucraine, le russe. Pagando meno che nelle case di riposo, i nostri vecchi restano nelle loro case".

Anche la Chiesa ha chiesto soccorso oltre i confini. "Io e il mio confratello Edison Genaro Cordovilla Guevara - dice don Victor Hugo - curiamo le parrocchie di Stanghella e Villa Estense. L'italiano non lo conosciamo ancora bene ma i nostri parrocchiani sono pazienti. Dopo la Messa e l'omelia, qualcuno mi dice: sei stato bravo. Altre volte invece mi sgridano: hai fatto troppi errori". Per sapere quali mestieri siano "in mano" agli stranieri, basta cercare quelli peggiori. Al primo posto la Berica, sulla strada verso Monselice. Un macello di polli che è diventato il pronto soccorso per chi è appena arrivato. Al secondo posto l'agricoltura, con la raccolta di cocomeri e meloni d'estate e con la preparazione di ortaggi e frutta nel freddo dei frigoriferi nel resto dell'anno. "Ma è nell'edilizia - dice Rossano Ranci, che fino a pochi giorni fa ha guidato la Fillea Cgil padovana - che gli stranieri hanno la maggioranza assoluta. Nel padovano arrivano infatti al 52 - 53%. Il loro sciopero bloccherebbe tutto. Con la crisi, molti romeni, polacchi e croati sono tornati a casa. Là oggi riescono a guadagnare 600 - 700 euro che, senza le spese che avrebbero qui, equivalgono a una busta paga italiana di 1300 - 1400 euro. Nei cantieri, soprattutto nei subappalti, oggi troviamo moldavi e ucraini".

Nel giorno X, sarebbe in crisi anche lo stadio del Rugby Stanghella. "Fra i ragazzini - dice il presidente Ruben Venturato - ci sono Salid, Amin ed Eia, marocchini e il nigeriano Amien. Anche noi abbiamo avuto il nostro "caso Balotelli". A Verona, un ragazzino ha detto al nostro Amien: "Vattene, negro". Ma nel rugby noi stiamo attenti a queste cose. L'arbitro ha subito sospeso la partita, ha radunato tutti i giocatori a centro campo e ha imposto le scuse. I due ragazzini si sono abbracciati davanti a tutti". Ruben Venturato è un imprenditore che lavora l'acciaio inossidabile. "In fabbrica ci sono lavoratori del Marocco. Si scherza sul colore della pelle. "Hai saldato troppo, sei diventato scuro". Ma sono solo battute, il clima è buono".

Nessun incidente razziale, nel paese padovano. Ma basta la presenza di facce diverse in piazza Pighin per creare malumore. E la paura dello straniero è stata la carta vincente del centro destra per conquistare, nel giugno scorso, il Comune. "Nel programma - dice l'ex sindaco del centro sinistra, Mauro Sturaro, insegnante di filosofia - non avevano scritto nulla, ma giravano i bar dicendo: "Se vinciamo noi, il giorno dopo i marocchini spariscono"". In via Cuoro 1 abita Abdelfatah Errajifi, presidente dell'associazione culturale La Fede. "Dicono che questa è una moschea, ma non è vero. Ho solo un grande garage dove ci riuniamo per la preghiera. I vicini di casa sono gentili e buoni, e noi con loro siamo buoni e gentili". "Ma via Cuoro - dice l'ex sindaco - votava a sinistra e con la paura di questa moschea ha votato per la lista Lega e Pdl. A una signora che protestava contro questi islamici in preghiera, ho detto: "Signora, se lei dice il rosario a casa sua, io come sindaco cosa posso dire?". Ma non c'è stato nulla da fare. Ha vinto la paura di un nemico che non c'è".

Sotto le tre querce, dopo il pranzo, arrivano anche le badanti. Una pausa di chiacchiere, durante il riposo degli anziani. Poi li porteranno al bar delle ragazze cinesi della famiglia Shi Shan. Donne con il velo, al pomeriggio, vanno a prendere i loro bambini all'asilo parrocchiale don Bosco. "Non posso nascondere - dice il vice sindaco, Sandro Moscardi - che sul problema sicurezza, in campagna elettorale, ci siamo spesi molto. Vogliamo che la nostra sia una comunità tranquilla e i cittadini ci hanno premiato". I "marocchini" - sono tutti marocchini, quelli che non sono nati a Stanghella e dintorni - continuano a trovarsi sotto le querce davanti al Comune. "L'estate scorsa - racconta il vice sindaco - un nostro consigliere, di An, ha avuto uno sprazzo di fantasia. I marocchini fumano molto e buttano le cicche per terra. Lui è arrivato con la macchina piena di scope e le ha distribuite a questi ragazzi. L'hanno presa bene, si sono messi a spazzare la piazza". Ci sono cicche anche davanti al bar Due Archi, ma lì vanno i nati in terra veneta. Non c'è nessuno da educare.

La Repubblica 11 gennaio 2010
 
Gruppo su Facebook lancia sciopero stranieri
Iniziativa nata a Milano sulla falsariga di un'esperienza francese
03 gennaio, 19:41

MILANO - Un giorno senza immigrati, senza le braccia e la testa dei 4,5 milioni di lavoratori stranieri che vivono nel nostro Paese "per vedere e toccare con mano cosa succederebbe se tornassero davvero a casa loro": la proposta nasce online, da un blog e da un gruppo su Facebook, cui, in meno di un mese, hanno aderito oltre 6 mila persone, stranieri e italiani. Un'iniziativa che nasce da Milano, capitale italiana dell'immigrazione, dove si trova il coordinamento nazionale, ma ci sono già diversi comitati locali, tra cui quelli di Roma, Palermo, Napoli e poi Vicenza, Prato, Perugia e Imola in via di costituzione.

L'ispirazione, invece, arriva dalla Francia, dove é stata lanciata un'analoga forma di protesta, "Un giorno senza immigrati, 24 ore senza di noi". La data coincide con quella della manifestazione italiana, ovvero il Primo marzo 2010. Le promotrici sono un gruppo di donne che lavorano a Milano "Siamo straniere e italiane, e facciamo lavori diversi, ma non é questo il punto" spiega una di loro, Stefania Ragusa. "La nostra è una battaglia per i diritti, contro il clima di razzismo che si respira in Italia. Un brutto clima, e non solo per chi è vittima delle discriminazioni, ma per tutti". Su Facebook e sul blog si discute se l'astensione dal lavoro possa essere effettivamente praticabile da chi, come gli immigrati, è più facilmente ricattabile dalla minaccia di perdere il posto "Noi ci proviamo, il nostro obiettivo è lo sciopero, chi non potrà astenersi dal lavoro potrà aderire simbolicamente in un altro modo, ad esempio astenendosi dagli acquisti, indossando un capo di abbigliamento particolare oppure un segno di riconoscimento, come un nastro o una spilletta" dice la Ragusa. Che precisa "Abbiamo ricevuto il sostegno a titolo personale da parte di esponenti del mondo politico e sindacale, come quella di Giuseppe Civati, consigliere Pd in Lombardia, ma la nostra è una protesta che nasce dalla società civile".