Politicamente correttissimo
L'Italia dei livori
Luigi Manconi
Continuo a essere morbosamente affascinato da ciò che cova nel cuore profondo della nostra società.
Nessun moralismo, per l’amor del cielo, ma un qualche sconcerto per come le pulsioni e gli umori più profondi dell’animo umano sembrano, mai come oggi, premere tumultuosamente per venire alla luce. E’ altamente probabile che un secolo fa, ma anche tre decenni addietro,
quelle pulsioni e quegli umori fossero significativamente “più neri”. Ovvero più limacciosi e sordidi, più aggressivi e feroci. Si deve presumere, infatti, che i processi di civilizzazione abbiano attivato meccanismi di mediazione e controllo: capaci, cioè, di filtrare, in qualche misura almeno, la parte oscura che abita ciascuno di noi, prima di consentirne la manifestazione, decantata e depurata, nella
vita sociale e in quella pubblica. Seppure questo è vero, e se (forse) siamo meno direttamente brutali e meno apertamente violenti, è altrettanto vero che oggi quel nostro fondo torbido ha mezzi per esprimersi incomparabilmente più potenti. Questa incontenibile e incontinente “presa di parola” ha la sua origine recente nella seconda metà degli anni Settanta, grazie ai “telefoni aperti” e ai “fili
diretti” delle radio private che nascevano all’epoca. Tra l’85 e l’86, Radio Radicale – al fine di sollecitare la proroga della concessione per la trasmissione dei lavori parlamentari – mandò in onda, per mesi, le decine di migliaia di telefonate registrate dalle segreterie telefoniche
dell’emittente. Venne allo scoperto l’Italia dei rancori e dei livori, delle frustrazioni e delle invettive, ma anche l’Italia del cazzeggio e dell’esibizionismo,
dei perdigiorno e degli stracciaculo.
Gruppi che si riunivano per inondare la
cornetta di pernacchie (che, confessiamolo,
facevano perfino ridere) e un infinito
racconto di ingiustizie patite e di bislacche
utopie inseguite, di complotti denunciati
e di intrighi indecifrabili; e un
flusso maleodorante di odio e disprezzo:
verso i meridionali, ma anche verso i settentrionali,
verso gli extracomunitari,
ma anche verso i tedeschi, verso gli omosessuali
e verso i preti, e – fatalmente –
verso tutti e tutto. Era saltato il tappo e
veniva fuori l’indicibile e l’interdetto, il
censurato e il rimosso. Ripeto: si tratta di
qualcosa che c’è in ciascuno di noi e che
ciascuno di noi sente il bisogno irresistibile
di esprimere prima o poi. Il problema
è di sapere quanto tutto ciò valga.
Vale esattamente ciò che vale: si tratta
di secrezioni, liquami, residui, che
vanno trattati come tali. Radio Radicale
compì allora un’azione situazionista, una
sorta di “detournement”, tanto più efficace
perché realizzato a metà di quegli
anni Ottanta che avevano tutt’altro segno.
Ma – ecco il punto – nel frattempo
quel materiale grezzo, quella “presa di
parola” sacrosanta e selvaggia, ha conosciuto
alcune profonde trasformazioni.
E’ come se – chiedo scusa per l’irriverenza
– la “Merda d’artista” di Piero Manzoni
(1961) fosse diventata il logo di una ditta
di sanitari.
La crisi della democrazia e il Web
L’analogia va intesa in senso stretto:
perché, per un verso, quella materia,
quel Rancore Generale, può manifestarsi
oggi attraverso un’infinità di mezzi di comunicazione;
e perché è diventata fattore
di promozione e di mobilitazione. Si è
costituita, così, una platea anonima e potenzialmente
illimitata alla quale si rivolgono
sia gli imprenditori politici dell’intolleranza,
sia i fomentatori del giustizialismo
sia, infine, i soggetti politici del
populismo. Tutti e tre questi attori si affidano,
in primo luogo, a un sentimento di
frustrazione: quanto più forte è tale sentimento
tanto maggiore sarà la volontà di
sottrarvisi attraverso il suo rovesciamento
speculare in una strategia della rivalsa.
Ecco, la canalizzazione simil politica
di questo risentimento diffuso costituisce
la terribile novità della fase attuale. Dietro
c’è indubbiamente un deficit di democrazia,
di partecipazione politica e di
protagonismo sociale, che alimenta queste
forme subalterne e illusorie di azione
pubblica. Il Web ne è stato il micidiale
vettore, ben oltre i confini della stessa
rete, formando un senso comune che è
diventato linguaggio corrente. Due esempi.
Qualche settimana fa, come segnalava
Michele Serra su Repubblica, “un lettore”
così commentava la notizia dell’incidente
occorso a Nicoletta Braschi, moglie
di Roberto Benigni: “Poteva anche prendersi
un’auto più sicura di una Golf, non
mi pare un’auto da signori”. Sono convinto
che non si tratti di un esercizio mal riuscito
di sarcasmo: nelle intenzioni di quel
“lettore” è, piuttosto, un atto di “guerra
civile” contro “la casta”. Appartiene alla
stessa categoria morale, un umore altrettanto
diffuso, emerso limpidamente durante
la benemerita trasmissione “Tutta
la città ne parla” (Radio3 in onda dal lunedì
al venerdì dalle dieci, condotta alternativamente
da Pietro Del Soldà e da
Giorgio Zanchini) si parlava della condanna
delle Pussy Riot e un certo numero
di ascoltatori denunciava il fatto che, a
muoverle, fosse “solo il desiderio di farsi
pubblicità”. Certo, tutto ciò può anche
essere attribuito al fatto che una percentuale
variabile di popolazione sia irrimediabilmente
pazzoide: ma resta la sgradevole
sensazione che si diffonda una sorta
di paranoia luddista e di antagonismo
neurologico. Ah, i bei tempi della lotta di
classe.

28 agosto 2012
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