Cari sindacati, la proposta non è banale
Luigi Manconi
Cara Renata Polverini e Cari Angeletti, Bonanni, Epifani, so bene che organizzare uno sciopero degli immigrati che lavorano nel nostro paese è un’impresa ardua, che richiede molto tempo. E che, oltretutto, solleva una questione di unità: è giusta una mobilitazione dei soli immigrati, molti dei quali già iscritti ai sindacati? E, tuttavia, non possiamo ignorare che in Francia il primo marzo 2010, vi sarà un’iniziativa esattamente di tale natura. Lo slogan è semplice: “24h sans nous” (un giorno senza di noi), ma tutt’altro che banale. Esso allude a una realtà a dir poco sottovalutata, ma in verità rimossa. Ovvero il ruolo che il lavoro straniero svolge nella produzione di merci, beni e servizi e, in sostanza, della ricchezza nazionale. Finalmente, i dati relativi a tale importantissimo contributo cominciano ad affiorare: di recente ne ha evidenziato alcuni, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. E, così, si prende coscienza del fatto che quote significative del Pil e della contribuzione previdenziale, la massima parte del lavoro di cura (attività domestiche, baby-sitter, badanti, infermiere), le mansioni essenziali in alcuni settori (agropastorizia, ristorazione, pesca, ma anche edilizia e siderurgia) dipendono dal lavoro straniero. E che “un giorno senza” quel lavoro infliggerebbe un danno rilevante alla nostra economia. Insomma, gli immigrati rappresentano una parte insostituibile della forza lavoro di questo paese e degli altri paesi europei e, dunque, la loro assimilazione a una minaccia sociale e la loro riduzione a un problema criminale, prima che un’infamia, è un’immensa sciocchezza. Autolesionistica, per giunta. È vero, poi, che ci sono molti stranieri che delinquono, molti irregolari e molti altri che lavorano “in nero”. Mentre per i primi, è sufficiente l’attuale codice penale, per il secondo e per il terzo gruppo sono fondamentali le politiche di integrazione, capaci di sottrarre quei lavoratori alla doppia condizione di irregolarità (del soggiorno e del lavoro). Qui il ruolo del sindacato è a dir poco essenziale. Cgil, Cisl, Uil e Ugl non sono stati con le mani in mano, ma moltissimo resta da fare. Anche per evitare che i lavoratori stranieri, compresi quelli regolari, si sentano più deboli degli italiani, sotto il profilo dei diritti sindacali; e perché tra gli stranieri e gli italiani non si sviluppino forme di concorrenza. E si tratta di un pericolo di cui già si vede qualche traccia: e di cui i movimenti operai di altri paesi hanno fatto dolorosa esperienza. Per affrontare tutto ciò, non è necessario proclamare uno sciopero destinato a risultati assai esili: ma l’occasione della mobilitazione in Francia deve essere comunque colta. Per quel giorno, 1 marzo, i vostri sindacati potrebbero promuovere iniziative in tutta Italia, in particolare in quelle aree dove la convivenza tra stranieri e italiani è in atto da anni e risulta più faticosa. Assemblee, diffusione di materiale informativo, incontri aperti ai cittadini, campagne di tesseramento tra i lavoratori stranieri, “feste del lavoro”. Può apparire un piccolo passo, ma un buon inizio è già molto.
Luigi Manconi
Cara Renata Polverini e Cari Angeletti, Bonanni, Epifani, so bene che organizzare uno sciopero degli immigrati che lavorano nel nostro paese è un’impresa ardua, che richiede molto tempo. E che, oltretutto, solleva una questione di unità: è giusta una mobilitazione dei soli immigrati, molti dei quali già iscritti ai sindacati? E, tuttavia, non possiamo ignorare che in Francia il primo marzo 2010, vi sarà un’iniziativa esattamente di tale natura. Lo slogan è semplice: “24h sans nous” (un giorno senza di noi), ma tutt’altro che banale. Esso allude a una realtà a dir poco sottovalutata, ma in verità rimossa. Ovvero il ruolo che il lavoro straniero svolge nella produzione di merci, beni e servizi e, in sostanza, della ricchezza nazionale. Finalmente, i dati relativi a tale importantissimo contributo cominciano ad affiorare: di recente ne ha evidenziato alcuni, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. E, così, si prende coscienza del fatto che quote significative del Pil e della contribuzione previdenziale, la massima parte del lavoro di cura (attività domestiche, baby-sitter, badanti, infermiere), le mansioni essenziali in alcuni settori (agropastorizia, ristorazione, pesca, ma anche edilizia e siderurgia) dipendono dal lavoro straniero. E che “un giorno senza” quel lavoro infliggerebbe un danno rilevante alla nostra economia. Insomma, gli immigrati rappresentano una parte insostituibile della forza lavoro di questo paese e degli altri paesi europei e, dunque, la loro assimilazione a una minaccia sociale e la loro riduzione a un problema criminale, prima che un’infamia, è un’immensa sciocchezza. Autolesionistica, per giunta. È vero, poi, che ci sono molti stranieri che delinquono, molti irregolari e molti altri che lavorano “in nero”. Mentre per i primi, è sufficiente l’attuale codice penale, per il secondo e per il terzo gruppo sono fondamentali le politiche di integrazione, capaci di sottrarre quei lavoratori alla doppia condizione di irregolarità (del soggiorno e del lavoro). Qui il ruolo del sindacato è a dir poco essenziale. Cgil, Cisl, Uil e Ugl non sono stati con le mani in mano, ma moltissimo resta da fare. Anche per evitare che i lavoratori stranieri, compresi quelli regolari, si sentano più deboli degli italiani, sotto il profilo dei diritti sindacali; e perché tra gli stranieri e gli italiani non si sviluppino forme di concorrenza. E si tratta di un pericolo di cui già si vede qualche traccia: e di cui i movimenti operai di altri paesi hanno fatto dolorosa esperienza. Per affrontare tutto ciò, non è necessario proclamare uno sciopero destinato a risultati assai esili: ma l’occasione della mobilitazione in Francia deve essere comunque colta. Per quel giorno, 1 marzo, i vostri sindacati potrebbero promuovere iniziative in tutta Italia, in particolare in quelle aree dove la convivenza tra stranieri e italiani è in atto da anni e risulta più faticosa. Assemblee, diffusione di materiale informativo, incontri aperti ai cittadini, campagne di tesseramento tra i lavoratori stranieri, “feste del lavoro”. Può apparire un piccolo passo, ma un buon inizio è già molto.
L'Unità del 7 gennaio 2009