Il gesto di Lampedusa
Luigi Manconi Angela Condello

 

Il gesto di papa Francesco è di una semplicità irraggiungibile e di una eloquenza senza pari. Davvero difficile immaginare un messaggio pubblico che più nitidamente potesse segnalare il suo pensiero su quell'atto profondamente umano che è il migrare e che più limpidamente dicesse al mondo quali siano, a proposito di quell'atto umano, la dottrina sociale e la pastorale della Chiesa.

E quel gesto è tanto più intensamente espressivo e ricco di senso quanto più cade nel silenzio pressoché assoluto tutti gli altri soggetti: le istituzioni dello Stato democratico, le tradizionali organizzazioni collettive, le grandi agenzie di formazione dell'opinione pubblica. E così, tra qualche tempo, ci si chiederà ancora una volta perché mai, in Italia e non solo in Italia, la sola voce che suoni alta a proposito delle grandi tragedie dell'epoca e l'unica autorità morale in grado di orientare le menti e i cuori di milioni di persone sembrano essere quelle della Chiesa cattolica. Che ci piaccia o no. Si può ragionevolmente supporre che ciò accada perché il solo a volersi chinare sulle acque del Mediterraneo per lanciare una corona di fiori laddove si consuma una strage quotidiana, è il massimo rappresentante di quella istituzione religiosa. Proprio questo è il punto. Certo, siamo nel campo dei simboli e dei gesti, ma guai a sottovalutare quanto - in un mondo messo a tacere dall'ipertrofia e dall'invasività dei messaggi, dei linguaggi e delle forme della comunicazione - ci sia bisogno di segni immediatamente decifrabili. Non sono sufficienti certo, quei segni, a trasformare la realtà o anche solo a renderla meno crudele, ma quando riescono a interrompere l'afasia prodotta dalla confusione delle lingue e dallo smarrimento delle identità, essi acquistano imprevedibile vitalità e rinnovato vigore. Ora, dal 1988 a oggi, nel mare Mediterraneo - secondo A Buon Diritto Onlus e sulla base di fonti internazionali e dati pur parziali- sono finiti dispersi o sono morti almeno 19mila migranti. Più di due ogni giorno che dio manda in terra. Nel corso del 2011, le vittime sono state oltre duemila. Nel 2012  circa 500 . Nella prima metà del 2013 poco meno di 200. E i mesi estivi annunciano altre tragedie. Ma se su quel cimitero marino e su quelle tombe liquide nessuno si china, nessuno piange e commemora, nessuno benedice e assolve, è come se quei morti non fossero mai stati vivi. E l'Italia può continuare a ignorarli, come se la cosa non ci riguardasse: e infatti, né un Presidente del Consiglio né un leader di partito hanno mai ritenuto opportuno compiere il gesto che Papa Francesco compirà lunedì prossimo. E, così, quella strage rischia di perpetuarsi all'infinito. Molte le cause. In primo luogo, la difficoltà di reperire i documenti per un viaggio sicuro: in mancanza di questi, la traversata si svolge con i miserabili mezzi disponibili e in condizioni estremamente rischiose. Si ricorre in genere a natanti di fortuna, per di più gravati da un numero sempre eccessivo di persone imbarcate. A ciò si aggiungano le circostanze sempre precarie della navigazione, priva di qualunque tutela e di qualunque mezzo di salvataggio, e affidata a organizzatori e, quando ci sono, a equipaggi del tutto inadeguati. Ma, ciò che più conta, è che quei viaggi avvengono in uno scenario che vede l'Europa pressoché priva di qualunque politica dell'immigrazione regolare, e anche di qualunque strategia per la protezione internazionale di profughi, fuggiaschi, sfollati. Il risultato, tra espulsioni e respingimenti, è quella teoria di morti.
Infine, c'è un'ultima considerazione. Jorge Mario Bergoglio è un argentino nato da una famiglia di origini italiane, proveniente da un paese dove si intrecciano etnie e culture diverse; e dove il ricordo delle immigrazioni è tutt'ora particolarmente vivo. Cosa che non accade in Italia, dove tra le principali responsabilità della classe politica e del ceto intellettuale c'è quella di non aver saputo fare, di quei trentacinque milioni di italiani emigrati dal 1861 a oggi, i protagonisti di una epopea costitutiva della nostra identità nazionale. E, cioè, di non aver saputo tradurre la sofferenza di tanti italiani - costretti a cambiare il proprio paesaggio naturale e mentale per cercare altrove un'opportunità di vita - in una memoria comune, capace di creare un tessuto culturale condiviso. Chi si ricorda, ed è solo un esempio, del "Tragico naufragio della nave Sirio"? Era il 1906 e un bastimento, partito da Genova e diretto in Argentina, si inabissò nei pressi di Capo Palos causando la morte di molte centinaia di emigranti italiani. Uno straordinario canto popolare racconta: "Padri e madri / Bracciava i suoi figli /Che si sparivano / Tra le onde del mar / E fra loro / Un vescovo c'era / Dando a tutti / La sua benedizion". Viene in mente qualcosa?
l'Unita, 03 de luglio 2013

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