Politicamente Correttissimo
I revisionisti
Luigi Manconi
La bella biografia politica di Giorgio Napolitano, che Sergio Soave sta ricostruendo sulle colonne del Foglio, offre l’opportunità di alcune glosse che, forse, possono integrare il quadro. Come quelle suggerite da un volumetto di Tobia Zevi appena pubblicato, Il discorso di Giorgio. Le parole e i pensieri del presidente Napolitano, (Donzelli 2013). Si tratta di un’analisi linguistica e politica dei principali discorsi del settennato, fondata sul senso di alcune parole-chiave: Europa, Costituzione, patria, giustizia, futuro, solidarietà, responsabilità. Un lessico presidenziale che viene indagato in profondità di cui sono evidenziate, con scrittura agile, venature inusuali. Proprio l’analisi del linguaggio, della struttura grammaticale e sintattica, e la considerazione del vocabolario napolitaniano, sono decisive per tracciare l’identità culturale del presidente. Il che rende questo libro uno strumento assai utile anche per leggere la più recente attualità politica, come quello scontro, non dichiarato ma teso, tra Napolitano e Silvio Berlusconi a proposito del giudizio sul regime fascista. Il 29 gennaio scorso Napolitano ha scandito queste parole: "Si deve vigilare e reagire contro persistenti e nuove insidie di negazionismo e revisionismo, magari canalizzate attraverso la Rete”. Il Foglio del 31 gennaio commenta, e interpreta, come segue: «Giorgio Napolitano, nel corso della sua lunga vita politica, ha misurato la dimensione delle tragedie che sono state originate non dal revisionismo, ma dalla sua denuncia interessata». Si può concordare. Detta in estrema sintesi: il revisionismo non è un errore in sé dal momento che la ricerca storica è inevitabilmente “revisionista”. Ma il Foglio va oltre: il Presidente della Repubblica non si sarebbe riferito alle parole di Berlusconi, ma solo alla deriva negazionista. Ovvero la menzogna che neofascisti e storici irresponsabili e felloni diffondono, in particolare nella rete, contro la «verità dei vincitori». Vediamo se le cose stanno davvero così.
Il 27 gennaio, all’inaugurazione del Memoriale della Shoah alla stazione di Milano, Berlusconi aveva dichiarato: «Il fatto delle leggi razziali è la peggior colpa di Mussolini che per tanti altri versi aveva fatto bene». E ancora: «L’Italia preferì essere alleata della Germania di Hitler piuttosto che contrapporvisi (...) e dentro questa alleanza ci fu l’imposizione della lotta e dello sterminio contro gli ebrei». Davvero si può pensare che la citazione di Benedetto Croce, fatta da Napolitano due giorni dopo («fra gli atroci delitti che il fascismo stava perpetrando, la fredda persecuzione e spoliazione degli ebrei nostri concittadini») non avesse nulla a che fare con le parole di Berlusconi? Su via. Le leggi razziali vengono considerate da Napolitano, sulla scia di Croce, non come una sorta di incidente o di deviazione da un percorso “per tanti altri versi (..) fatto bene”, bensì uno degli “atroci delitti” del regime. Al netto del clima elettorale, i discorsi di Berlusconi e Napolitano evidenziano nitidamente la contrapposizione tra due figure che incarnano interpretazioni antitetiche della storia nazionale, ma anche due antitetiche identità culturali. Da una parte, Berlusconi, espressione della visceralità del pensiero, che vive come liberatoria la possibilità di esprimere la meno nobile delle idee che ciascuno può concepire e coltivare. Dall’altra, Napolitano che, in un’epoca di grossolanità intellettuale, sceglie di essere rivoluzionariamente ragionevole. Un atteggiamento che si nutre del più elementare dei principi del buon senso (insomma, non è bello parlar bene di Mussolini nel Giorno della Memoria: se non altro perché non fa piacere alle vittime di quella tragedia). Forse la combinazione tra buon senso e Benedetto Croce è la chiave di lettura più idonea per un giudizio storico sul fascismo, capace finalmente di creare mentalità condivisa.
Questo sembra sfuggire al Foglio. Certamente «la comprensione della storia è essenziale, e naturalmente a essa si arriva attraverso approssimazioni e correzioni successive, cioè attraverso critiche e revisioni costanti, che non hanno niente a che vedere con il dogmatismo della storia ufficiale». Come dubitarne? Ma Berlusconi che c’entra? Che cosa, nelle sue parole (e non solo quelle del 27 gennaio), richiama lo sforzo di chi legge, si corregge, di chi si rende conto dei propri limiti conoscitivi mentre indaga il passato? Al contrario, è proprio Berlusconi – ma anche i suoi esegeti, compresi i più raffinati - a impedire di capire se quelle parole sbocconcellate («il fatto delle leggi razziali…») siano il sintomo di una sciatteria interessata e opportunista o, piuttosto, il tentativo di una rivalutazione storica consapevole.
In ogni caso, non è un bel vedere.
il Foglio 12 febbraio 2013
Politicamente Correttissimo
I revisionisti
Luigi Manconi
La bella biografia politica di Giorgio Napolitano, che Sergio Soave sta ricostruendo sulle colonne del Foglio, offre l’opportunità di alcune glosse che, forse, possono integrare il quadro. Come quelle suggerite da un volumetto di Tobia Zevi appena pubblicato, Il discorso di Giorgio. Le parole e i pensieri del presidente Napolitano, (Donzelli 2013).
Si tratta di un’analisi linguistica e politica dei principali discorsi del settennato, fondata sul senso di alcune parole-chiave: Europa, Costituzione, patria, giustizia, futuro, solidarietà, responsabilità. Un lessico presidenziale che viene indagato in profondità di cui sono evidenziate, con scrittura agile, venature inusuali. Proprio l’analisi del linguaggio, della struttura grammaticale e sintattica, e la considerazione del vocabolario napolitaniano, sono decisive per tracciare l’identità culturale del presidente. Il che rende questo libro uno strumento assai utile anche per leggere la più recente attualità politica, come quello scontro, non dichiarato ma teso, tra Napolitano e Silvio Berlusconi a proposito del giudizio sul regime fascista. Il 29 gennaio scorso Napolitano ha scandito queste parole: "Si deve vigilare e reagire contro persistenti e nuove insidie di negazionismo e revisionismo, magari canalizzate attraverso la Rete”. Il Foglio del 31 gennaio commenta, e interpreta, come segue: «Giorgio Napolitano, nel corso della sua lunga vita politica, ha misurato la dimensione delle tragedie che sono state originate non dal revisionismo, ma dalla sua denuncia interessata». Si può concordare. Detta in estrema sintesi: il revisionismo non è un errore in sé dal momento che la ricerca storica è inevitabilmente “revisionista”. Ma il Foglio va oltre: il Presidente della Repubblica non si sarebbe riferito alle parole di Berlusconi, ma solo alla deriva negazionista. Ovvero la menzogna che neofascisti e storici irresponsabili e felloni diffondono, in particolare nella rete, contro la «verità dei vincitori». Vediamo se le cose stanno davvero così.

Il 27 gennaio, all’inaugurazione del Memoriale della Shoah alla stazione di Milano, Berlusconi aveva dichiarato: «Il fatto delle leggi razziali è la peggior colpa di Mussolini che per tanti altri versi aveva fatto bene». E ancora: «L’Italia preferì essere alleata della Germania di Hitler piuttosto che contrapporvisi (...) e dentro questa alleanza ci fu l’imposizione della lotta e dello sterminio contro gli ebrei». Davvero si può pensare che la citazione di Benedetto Croce, fatta da Napolitano due giorni dopo («fra gli atroci delitti che il fascismo stava perpetrando, la fredda persecuzione e spoliazione degli ebrei nostri concittadini») non avesse nulla a che fare con le parole di Berlusconi? Su via. Le leggi razziali vengono considerate da Napolitano, sulla scia di Croce, non come una sorta di incidente o di deviazione da un percorso “per tanti altri versi (..) fatto bene”, bensì uno degli “atroci delitti” del regime. Al netto del clima elettorale, i discorsi di Berlusconi e Napolitano evidenziano nitidamente la contrapposizione tra due figure che incarnano interpretazioni antitetiche della storia nazionale, ma anche due antitetiche identità culturali. Da una parte, Berlusconi, espressione della visceralità del pensiero, che vive come liberatoria la possibilità di esprimere la meno nobile delle idee che ciascuno può concepire e coltivare. Dall’altra, Napolitano che, in un’epoca di grossolanità intellettuale, sceglie di essere rivoluzionariamente ragionevole. Un atteggiamento che si nutre del più elementare dei principi del buon senso (insomma, non è bello parlar bene di Mussolini nel Giorno della Memoria: se non altro perché non fa piacere alle vittime di quella tragedia). Forse la combinazione tra buon senso e Benedetto Croce è la chiave di lettura più idonea per un giudizio storico sul fascismo, capace finalmente di creare mentalità condivisa.

Questo sembra sfuggire al Foglio. Certamente «la comprensione della storia è essenziale, e naturalmente a essa si arriva attraverso approssimazioni e correzioni successive, cioè attraverso critiche e revisioni costanti, che non hanno niente a che vedere con il dogmatismo della storia ufficiale». Come dubitarne? Ma Berlusconi che c’entra? Che cosa, nelle sue parole (e non solo quelle del 27 gennaio), richiama lo sforzo di chi legge, si corregge, di chi si rende conto dei propri limiti conoscitivi mentre indaga il passato? Al contrario, è proprio Berlusconi – ma anche i suoi esegeti, compresi i più raffinati - a impedire di capire se quelle parole sbocconcellate («il fatto delle leggi razziali…») siano il sintomo di una sciatteria interessata e opportunista o, piuttosto, il tentativo di una rivalutazione storica consapevole.
In ogni caso, non è un bel vedere.

il Foglio 12 febbraio 2013
Share/Save/Bookmark
Commenti (0)
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.