Politicamente correttissimo
Da che pulpito
Osservazioni intorno a un luogo comune e al presunto legame tra l’aborto e John Holmes
A vederlo così Massimo Corsaro, vice capogruppo del Pdl alla Camera, sembra uno di quegli esponenti politici dal sicuro avvenire. Certamente ha fatto qualche buona lettura, è competente in qualche materia, mostra qualche virtù (sembra rispettare gli avversari, per esempio). Ma poi, interpellato sulle più recenti vicende della vita privata di Silvio Berlusconi (L’infedele del 19 settembre), precipita rovinosamente: “abbiamo avuto al Parlamento l’onorevole Vladimiro Guadagno, in arte Luxuria che fa la pipì come me ma che aveva il simpatico vezzo di volerla andare a fare nel bagno delle signore”. Corsaro ne fa derivare il seguente  ragionamento: come può menare scandalo per le “cene eleganti del premier” una sinistra che manda in parlamento una transessuale? Siamo, cioè, alla goffa rimasticatura di quanto scritto contro il “puritanesimo di sinistra” da una certa destra e, in particolare, da Giuliano Ferrara. Il quale Ferrara una settimana dopo (Radio Londra del 26 settembre) ribadisce gli stessi concetti, li enfatizza e li celebra in un ragionamento così sintetizzabile: Da che pulpito viene la predica (ovvero: chi critica Berlusconi c’ha la rogna). Va detto che quel “da che pulpito” costituisce una delle formule più diffuse e, insieme, più vacue del linguaggio corrente. Da quale pulpito venga la predica, rappresenta appena un dettaglio: e si tratta di un dettaglio pressoché irrilevante. Tutto, ma proprio tutto, il pensiero liberale, dalle sue prime intuizioni, fino alle più complesse sistemazioni, si fonda su un concetto di verità –parziale e provvisoria: liberale, appunto- che prescinde completamente dall’identità, dallo status, dalla fedina penale (dal pulpito insomma) di chi, quella verità, proclama. In altre parole, se la verità pretendesse che chi l’annuncia o se ne fa tramite fosse lui stesso la verità, ne rappresentasse l’incarnazione, ne garantisse l’autenticità, ecco che quella verità si trasformerebbe in un meccanismo integralista e in un dispositivo totalitario . So bene quanto accettare questa idea liberale e antiautoritaria della “predica” sia difficile, dal momento che risulta così agevole attendersi, se non una coincidenza perfetta, tra predica e predicatore, almeno una apprezzabile rassomiglianza. Insomma qualcosa di prossimo a ciò che comunemente chiamiamo coerenza. Rinunciare a quest’ultima è, innanzitutto sotto il profilo intellettuale, molto complicato perché la richiesta di una certa coincidenza tra ciò che si dice e ciò che si fa non risulta  sempre pretestuosa, e il senso comune ragionevolmente la pretende. In altre parole, la coerenza, una delle virtù più trascurate, è anche una di quelle alle quali più si rende onore retoricamente. Pertanto, è augurabile che una giusta misura, quale esito di molte circostanze e molte considerazioni, orienti quel difficile rapporto tra ciò che si dice e ciò che si fa. Ma ciò che si fa non dovrà mai squalificare o nullificare ciò che si dice. Insomma, “da quale pulpito” è formula schiettamente reazionaria. Poi, nel caso specifico delle affermazioni di Corsaro e Ferrara, è ancor prima questione malamente posta. Lo schema adottato è sempre il medesimo: non possono criticare la vita privata di Berlusconi quanti sono favorevoli a normative come quelle sull’aborto, la fecondazione assistita, le unioni civili. Nella foga, Corsaro ha dissertato sullo stile orinatorio di Vladimir Luxuria e Ferrara sulla scelta di “abortire in un clima di sordità morale” e di “produrre” figli, “magari, anche un po’ in provetta con certe caratteristiche: maschio femmina, sano più sano”. Ora, siamo d’accordo che, la politica come il calcio –nelle parole di Ferruccio Valcareggi- “non è uno sport per signorine”, ma insomma c’è modo e modo di deformare le posizioni dell’avversario, per meglio combatterle. Qui il modo appare, come dire, un po’ smodato. Ma, soprattutto, ciò che si avverte in quelle argomentazioni è innanzitutto un equivoco intellettuale. La legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza, la fecondazione terapeuticamente assistita, il riconoscimento giuridico di un legame tra persone dello stesso sesso corrispondono ad altrettante domande collettive, ispirate dalla necessità di affrontare situazioni dolorose e di tutelare diritti, di ridurre  gli effetti di acute contraddizioni sociali e di regolamentare nuove forme di relazione. E si tratta di domande collettive che alludono tutte a una idea di morale, a una nuova concezione dei rapporti tra gli individui e tra gli individui e lo Stato, a un codice etico indubbiamente parziale e tutt’ora incerto, ma che può contare su una base antropologica. Cosa c’entra tutto ciò con quella che –nella versione più benevola- è la incontinente e loffia e smandrappata licenziosità del premier? Nel migliore dei casi, ciò che si può rivendicare è la libertà di libertinaggio. Di per sé nulla di disdicevole, ci mancherebbe, e molto –così sembrerebbe- di piacevole e gratificante.  Ciò che qui conta, tuttavia, è rilevare come il giudizio sull’aborto, quale drammatica contraddizione sociale, e quello su John Holmes quale patologia dell’orgasmo seriale, non appartengono  alla stessa categoria di giudizio e nemmeno al medesimo canone della teologia morale.
Il Foglio 4 ottobre 2011
Politicamente correttissimo
Da che pulpito
Osservazioni intorno a un luogo comune e al presunto legame tra l’aborto e John Holmes
Luigi Manconi
A vederlo così Massimo Corsaro, vice capogruppo del Pdl alla Camera, sembra uno di quegli esponenti politici dal sicuro avvenire. Certamente ha fatto qualche buona lettura, è competente in qualche materia, mostra qualche virtù (sembra rispettare gli avversari, per esempio).
Ma poi, interpellato sulle più recenti vicende della vita privata di Silvio Berlusconi (L’infedele del 19 settembre), precipita rovinosamente: “abbiamo avuto al Parlamento l’onorevole Vladimiro Guadagno, in arte Luxuria che fa la pipì come me ma che aveva il simpatico vezzo di volerla andare a fare nel bagno delle signore”. Corsaro ne fa derivare il seguente  ragionamento: come può menare scandalo per le “cene eleganti del premier” una sinistra che manda in parlamento una transessuale? Siamo, cioè, alla goffa rimasticatura di quanto scritto contro il “puritanesimo di sinistra” da una certa destra e, in particolare, da Giuliano Ferrara. Il quale Ferrara una settimana dopo (Radio Londra del 26 settembre) ribadisce gli stessi concetti, li enfatizza e li celebra in un ragionamento così sintetizzabile: Da che pulpito viene la predica (ovvero: chi critica Berlusconi c’ha la rogna). Va detto che quel “da che pulpito” costituisce una delle formule più diffuse e, insieme, più vacue del linguaggio corrente. Da quale pulpito venga la predica, rappresenta appena un dettaglio: e si tratta di un dettaglio pressoché irrilevante. Tutto, ma proprio tutto, il pensiero liberale, dalle sue prime intuizioni, fino alle più complesse sistemazioni, si fonda su un concetto di verità –parziale e provvisoria: liberale, appunto- che prescinde completamente dall’identità, dallo status, dalla fedina penale (dal pulpito insomma) di chi, quella verità, proclama. In altre parole, se la verità pretendesse che chi l’annuncia o se ne fa tramite fosse lui stesso la verità, ne rappresentasse l’incarnazione, ne garantisse l’autenticità, ecco che quella verità si trasformerebbe in un meccanismo integralista e in un dispositivo totalitario . So bene quanto accettare questa idea liberale e antiautoritaria della “predica” sia difficile, dal momento che risulta così agevole attendersi, se non una coincidenza perfetta, tra predica e predicatore, almeno una apprezzabile rassomiglianza. Insomma qualcosa di prossimo a ciò che comunemente chiamiamo coerenza. Rinunciare a quest’ultima è, innanzitutto sotto il profilo intellettuale, molto complicato perché la richiesta di una certa coincidenza tra ciò che si dice e ciò che si fa non risulta  sempre pretestuosa, e il senso comune ragionevolmente la pretende. In altre parole, la coerenza, una delle virtù più trascurate, è anche una di quelle alle quali più si rende onore retoricamente. Pertanto, è augurabile che una giusta misura, quale esito di molte circostanze e molte considerazioni, orienti quel difficile rapporto tra ciò che si dice e ciò che si fa. Ma ciò che si fa non dovrà mai squalificare o nullificare ciò che si dice. Insomma, “da quale pulpito” è formula schiettamente reazionaria. Poi, nel caso specifico delle affermazioni di Corsaro e Ferrara, è ancor prima questione malamente posta. Lo schema adottato è sempre il medesimo: non possono criticare la vita privata di Berlusconi quanti sono favorevoli a normative come quelle sull’aborto, la fecondazione assistita, le unioni civili. Nella foga, Corsaro ha dissertato sullo stile orinatorio di Vladimir Luxuria e Ferrara sulla scelta di “abortire in un clima di sordità morale” e di “produrre” figli, “magari, anche un po’ in provetta con certe caratteristiche: maschio femmina, sano più sano”. Ora, siamo d’accordo che, la politica come il calcio –nelle parole di Ferruccio Valcareggi- “non è uno sport per signorine”, ma insomma c’è modo e modo di deformare le posizioni dell’avversario, per meglio combatterle. Qui il modo appare, come dire, un po’ smodato. Ma, soprattutto, ciò che si avverte in quelle argomentazioni è innanzitutto un equivoco intellettuale. La legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza, la fecondazione terapeuticamente assistita, il riconoscimento giuridico di un legame tra persone dello stesso sesso corrispondono ad altrettante domande collettive, ispirate dalla necessità di affrontare situazioni dolorose e di tutelare diritti, di ridurre  gli effetti di acute contraddizioni sociali e di regolamentare nuove forme di relazione. E si tratta di domande collettive che alludono tutte a una idea di morale, a una nuova concezione dei rapporti tra gli individui e tra gli individui e lo Stato, a un codice etico indubbiamente parziale e tutt’ora incerto, ma che può contare su una base antropologica. Cosa c’entra tutto ciò con quella che –nella versione più benevola- è la incontinente e loffia e smandrappata licenziosità del premier? Nel migliore dei casi, ciò che si può rivendicare è la libertà di libertinaggio. Di per sé nulla di disdicevole, ci mancherebbe, e molto –così sembrerebbe- di piacevole e gratificante.  Ciò che qui conta, tuttavia, è rilevare come il giudizio sull’aborto, quale drammatica contraddizione sociale, e quello su John Holmes quale patologia dell’orgasmo seriale, non appartengono  alla stessa categoria di giudizio e nemmeno al medesimo canone della teologia morale.
Il Foglio 4 ottobre 2011

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