La solitudine di Pomigliano e il divorzio tra sinistra e popolo
Corriere della Sera 24 giugno 2010
Sarà un caso: ma le riflessioni più interessanti e impietose della sinistra sui perché dell’afasia che l’ha colpita di fronte a Pomigliano le ha ospitate il Foglio. E le hanno proposte due signori, Rino Formica e Luigi Manconi, che, per motivi molto diversi, dalla politica attiva sono fuori: deve essere un caso anche questo.
Intendiamoci. Né Formica né Manconi, che hanno scritto prima di conoscere l’esito di un referendum che, a dispetto delle previsioni diffuse, non è stato davvero un plebiscito, entrano nel merito della contesa. Discutono, piuttosto, del rapporto, controverso, tra diritti individuali e diritti collettivi, libertà civili e tutele sociali. Chiacchiere colte quanto oziose sul mondo di ieri? Non direi. La questione, spinosa, investe l’identità stessa della sinistra: e forse proprio per questo si preferisce, in generale, eluderla. Scrive Formica che ormai sembra chiamato in revoca addirittura lo storico, inscindibile patto tra «diritti civili e diritti sociali», tra «conquiste di libertà e avanzamento sociale», che della sinistra migliore, quella animata da passione riformatrice e democratica, ha costituito il fondamento. Aggiunge, Formica, che questa scissione curiosamente si manifesta proprio quando delle «immotivate spinte agitatorie e rivoluzionarie» di un tempo non c’è traccia, «in un clima di diffuso perbenismo», e in un «dilagare di "ragionevolezza" e di facile adattamento alla sovranità del mercato». E, tra le cause della rottura, individua anche (non solo) la demolizione del principio di garanzia. «Indebolire il sistema democratico con il giustizialismo e rinunciare al garantismo è un piano inclinato: tra la cultura (e la pratica) delle "manette a gogò" e "la sospensione del diritto di sciopero il sabato sera" non c’è poi tutta questa differenza».
Manconi, che da vecchio militante di Lotta Continua affettuosamente fiuta nelle posizioni di Formica l’odore di un’antica militanza trotzkista, non è tanto d’accordo. La sinistra, dice, garantista non è mai stata, per un secolo e mezzo ha coltivato piuttosto «un’idea compattamente organicistica del diritto individuale, quasi che quest’ultimo dovesse discendere… dall’affermazione piena e matura del sistema dei diritti di cittadinanza sociale»: semmai qualche accenno di correzione di rotta c’è stato solo di recente. Per quel che vale, sarei più d’accordo con Formica, non fosse altro perché, di sinistre, ce ne sono state molte, molto diverse, e quasi sempre l’un contro l’altra armate, lungo un ventaglio che va dallo stalinismo più feroce al libertarismo più radicale. Ma il punto non è questo. A sinistra (cito ancora Manconi) è «stridente lo scarto di enfasi tra le reazioni alla "legge bavaglio" sulle intercettazioni telefoniche e quelle al "contratto capestro" per i dipendenti della Fiat di Pomigliano». Si può anche ritenere, naturalmente, che la legge sulle intercettazioni sia meno «bavaglio», e l’accordo di Pomigliano meno «capestro», di quanto dicano gli oppositori. Ma la sostanza del problema non muta. Perché la sinistra, o per meglio dire il più grande partito del centrosinistra, nel primo caso spara ad alzo zero, e nel secondo sembra in preda a un invincibile imbarazzo?
L’infezione giustizialista, antica o recente che sia, spiega molte cose, ma non spiega tutto. Rottura, scissione, divorzio tra diritti di libertà e diritti sociali? Sicuramente sì. Ma forse il vero, storico divorzio di cui converrebbe occuparsi è quello intervenuto un po’ in tutta Europa, e in forme particolarmente vistose in Italia, tra sinistra e popolo. Un divorzio in ragione del quale una sinistra un tempo sin troppo orgogliosa di avere «insegnato ai braccianti a non togliersi il cappello di fronte al padrone», di aver fatto la sua parte per elevare al rango di cittadini i disperati, e al rango di popolo le plebi, e di aver tenuto insieme le battaglie di emancipazione e le battaglie di libertà, non dispone più nemmeno di una rappresentazione approssimativa di chi siano (sono solo degli esempi) gli operai di Pomigliano, o le donne e gli uomini della sterminata periferia romana che Daniele Lucchetti ci ha raccontato, mettendoci in difficoltà con noi stessi, in La nostra vita. Se in tutto questo c’è un briciolo di verità, magari si possono capire un po’ meglio non solo lo «scarto di enfasi» e l’imbarazzo di cui sopra, ma anche la solitudine degli operai di Pomigliano. Di quelli (la maggioranza) che hanno votato sì, di quelli (una forte minoranza che non si può ignorare) che hanno votato no, e di quelli (pochi) che non hanno votato per nulla.
La solitudine di Pomigliano e il divorzio tra sinistra e popolo
Corriere della Sera 24 giugno 2010
Sarà un caso: ma le riflessioni più interessanti e impietose della sinistra sui perché dell’afasia che l’ha colpita di fronte a Pomigliano le ha ospitate il Foglio. E le hanno proposte due signori, Rino Formica e Luigi Manconi, che, per motivi molto diversi, dalla politica attiva sono fuori: deve essere un caso anche questo.

Intendiamoci. Né Formica né Manconi, che hanno scritto prima di conoscere l’esito di un referendum che, a dispetto delle previsioni diffuse, non è stato davvero un plebiscito, entrano nel merito della contesa. Discutono, piuttosto, del rapporto, controverso, tra diritti individuali e diritti collettivi, libertà civili e tutele sociali. Chiacchiere colte quanto oziose sul mondo di ieri? Non direi. La questione, spinosa, investe l’identità stessa della sinistra: e forse proprio per questo si preferisce, in generale, eluderla. Scrive Formica che ormai sembra chiamato in revoca addirittura lo storico, inscindibile patto tra «diritti civili e diritti sociali», tra «conquiste di libertà e avanzamento sociale», che della sinistra migliore, quella animata da passione riformatrice e democratica, ha costituito il fondamento. Aggiunge, Formica, che questa scissione curiosamente si manifesta proprio quando delle «immotivate spinte agitatorie e rivoluzionarie» di un tempo non c’è traccia, «in un clima di diffuso perbenismo», e in un «dilagare di "ragionevolezza" e di facile adattamento alla sovranità del mercato». E, tra le cause della rottura, individua anche (non solo) la demolizione del principio di garanzia. «Indebolire il sistema democratico con il giustizialismo e rinunciare al garantismo è un piano inclinato: tra la cultura (e la pratica) delle "manette a gogò" e "la sospensione del diritto di sciopero il sabato sera" non c’è poi tutta questa differenza».
Manconi, che da vecchio militante di Lotta Continua affettuosamente fiuta nelle posizioni di Formica l’odore di un’antica militanza trotzkista, non è tanto d’accordo. La sinistra, dice, garantista non è mai stata, per un secolo e mezzo ha coltivato piuttosto «un’idea compattamente organicistica del diritto individuale, quasi che quest’ultimo dovesse discendere… dall’affermazione piena e matura del sistema dei diritti di cittadinanza sociale»: semmai qualche accenno di correzione di rotta c’è stato solo di recente. Per quel che vale, sarei più d’accordo con Formica, non fosse altro perché, di sinistre, ce ne sono state molte, molto diverse, e quasi sempre l’un contro l’altra armate, lungo un ventaglio che va dallo stalinismo più feroce al libertarismo più radicale. Ma il punto non è questo. A sinistra (cito ancora Manconi) è «stridente lo scarto di enfasi tra le reazioni alla "legge bavaglio" sulle intercettazioni telefoniche e quelle al "contratto capestro" per i dipendenti della Fiat di Pomigliano». Si può anche ritenere, naturalmente, che la legge sulle intercettazioni sia meno «bavaglio», e l’accordo di Pomigliano meno «capestro», di quanto dicano gli oppositori. Ma la sostanza del problema non muta. Perché la sinistra, o per meglio dire il più grande partito del centrosinistra, nel primo caso spara ad alzo zero, e nel secondo sembra in preda a un invincibile imbarazzo?
L’infezione giustizialista, antica o recente che sia, spiega molte cose, ma non spiega tutto. Rottura, scissione, divorzio tra diritti di libertà e diritti sociali? Sicuramente sì. Ma forse il vero, storico divorzio di cui converrebbe occuparsi è quello intervenuto un po’ in tutta Europa, e in forme particolarmente vistose in Italia, tra sinistra e popolo. Un divorzio in ragione del quale una sinistra un tempo sin troppo orgogliosa di avere «insegnato ai braccianti a non togliersi il cappello di fronte al padrone», di aver fatto la sua parte per elevare al rango di cittadini i disperati, e al rango di popolo le plebi, e di aver tenuto insieme le battaglie di emancipazione e le battaglie di libertà, non dispone più nemmeno di una rappresentazione approssimativa di chi siano (sono solo degli esempi) gli operai di Pomigliano, o le donne e gli uomini della sterminata periferia romana che Daniele Lucchetti ci ha raccontato, mettendoci in difficoltà con noi stessi, in La nostra vita. Se in tutto questo c’è un briciolo di verità, magari si possono capire un po’ meglio non solo lo «scarto di enfasi» e l’imbarazzo di cui sopra, ma anche la solitudine degli operai di Pomigliano. Di quelli (la maggioranza) che hanno votato sì, di quelli (una forte minoranza che non si può ignorare) che hanno votato no, e di quelli (pochi) che non hanno votato per nulla.
Share/Save/Bookmark
Commenti (0)
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.