La legge è uguale per tutti - Intervento alla manifestazione del Popolo Viola a Roma il 27 febbraio 2010
Ernesto Maria Ruffini
C’è una ragione precisa per cui siamo qui, oggi. Siamo qui per ricordare la nostra storia e la nostra Costituzione a tutti quelli che pensano di poterla cancellare e di farlo senza che nessuno di noi se ne accorga, senza che nessuno di noi alzi un dito. Noi non ci gireremo dall’altra parte, noi non faremo finta di non vedere o di non sapere. Non lo faremo.

Poco più di sessanta anni fa, a poche centinaia di metri da dove ci troviamo ora, dentro Palazzo Montecitorio, più di cinquecento tra uomini e donne, di culture e di idee diverse fra loro, laici e cattolici, di destra e di sinistra, meridionali e settentrionali hanno lavorato per diciotto lunghi mesi per consegnare alla nuova Italia Repubblicana la sua prima Costituzione; per consegnare alle future generazioni, a noi che ci troviamo qui, oggi, quelle che avrebbero dovuto essere le fondamenta e le ragioni del nostro vivere insieme, le nostre regole del gioco.
La loro missione è stata quella di restituire libertà e dignità all’Italia, traducendo in chiare lettere il loro sogno di una società più giusta, di una società più umana e solidale e mettendo nero su bianco il patto solenne stretto tra tutti i cittadini per il rispetto della legalità democratica, al di sopra della quale non può mettersi nessuno.
I nostri padri e le nostre madri Costituenti ci hanno indicato la strada che tocca a noi compiere ancora oggi, giorno dopo giorno, assumendoci le nostre responsabilità. Una strada che potremo portare a compimento solo riscoprendo la nostra unità di popolo, di nazione e le nostre comuni speranze di un futuro migliore per noi, per i nostri figli e per le generazioni che verranno.
Proviamo a riscoprirlo quel sogno, quel progetto e teniamoci ben stretta la nostra Costituzione.
I primi articoli della nostra Carta rappresentano il nostro comune biglietto da visita, rappresentano il modo in cui ci presentiamo di fronte al mondo e l’art. 3 della Costituzione, quello che riconosce che le persone sono tutte uguali davanti alla legge, è certamente la più bella presentazione per un moderno Stato democratico.
Uguali senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E’ un principio che è stato scritto per i più deboli, per le minoranze, per tutelare i pochi e non i molti e per permettere a chi oggi è minoranza di poter un giorno diventare maggioranza nel Paese.
Essere uguali di fronte alla legge vuol dire che non c’è nessuno più uguale degli altri.
Vuol dire che deve essere riconosciuto anche il ruolo della minoranza e non solo quello della maggioranza.
Vuol dire che le leggi vanno rispettate e che ancor di più va rispetta la Costituzione che è alla base della nostra democrazia.
Vuol dire che la legge è uguale per tutti, ma anche che tutti obbediscano alla legge. Vuol dire che la legge è uguale per il ricco e per il povero, per il potente e per l’ultimo tra gli ultimi dei cittadini.
Vuol dire che il voto di ciascuno di noi è uguale a quello di un potente, mentre viviamo in un Paese in cui una legge elettorale sbagliata permette che le scelte di una ristretta cerchia di potenti, di oligarchi, limiti la nostra possibilità di scegliere con un voto. Adesso il nostro voto non è uguale al loro.
Vuol dire che le donne sono uguali agli uomini, mentre viviamo ancora in un Paese in cui le donne in Parlamento sono una piccola minoranza.
Vuol dire che tutte le imprese dovrebbero avere pari opportunità in un mercato regolato dalla legge, mentre noi viviamo in un Paese in cui in troppi settori il mercato è viziato dai monopoli, dove c’è sempre un’impresa più uguale delle altre.
Vuol dire che tutti abbiamo lo stesso diritto all’istruzione e di farci strada secondo il merito e non secondo il censo, mentre viviamo in un Paese in cui qualcuno vorrebbe farci credere che la libertà di insegnamento voglia dire abbandonare la scuola pubblica a se stessa, con sempre meno risorse.
Vuol dire che l’accesso alle libere professioni e al lavoro deve essere garantito a tutti secondo il proprio merito e non secondo un diritto ereditario.
Vuol dire che tutti, nell’era di internet, dovremmo avere accesso alla rete e quindi alle informazione, mentre viviamo in un Paese dove la creazione di moderne infrastrutture delle telecomunicazioni continua a risentire di un assetto monopolistico, garantendo ancora a troppe poche persone l’accesso alla rete.
Vuol dire che il nord dovrebbe essere uguale al sud, mentre viviamo in un Paese in cui il divario tra le aree povere e quelle sviluppate aumenta invece di diminuire.
Vuol dire che abbiamo tutti lo stesso diritto alla salute, mentre c’è chi vorrebbe farci credere che la salute sia diversa a seconda che tu sia ricca o povero, settentrionale o meridionale.
Vuol dire che gli stranieri hanno i nostri stessi diritti fondamentali, mentre viviamo in un Paese in cui è stato introdotto il reato di immigrazione clandestina. Un Paese dove certi pifferai magici vorrebbero farci credere che i principi di uno stato occidentale si difendono regredendo pericolosamente verso forme primordiali di razzismo.
Vuol dire che le tasse le dovremmo pagare tutti secondo il principio di equità, mentre invece le paghiamo in pochi, rassegnati a doverci caricare sulle spalle il costo iniquo di chi non le paga.
Vuol dire che tutti devono sottostare alla legge nello stesso modo, mentre viviamo in un Paese in cui qualcuno usa il consenso che gli è stato dato per governare secondo la legge per violare il principio di uguaglianza, considerandosi al di sopra della legge.
C’è un mondo intero dentro l’art. 3 della nostra Costituzione, che vuol dire tutto questo e molto altro ancora.
Di fronte a tutto questo noi abbiamo un preciso dovere, quello di riappropriarci del nostro futuro e dei nostri sogni, quello di vivere in un Paese in cui l’uguaglianza sia la base di una società fondata sul merito e non sulla furbizia e sulla prepotenza.
«Quello che accade», come diceva Gramsci, «accade non tanto perché una minoranza vuole che accada, quanto piuttosto perché la gran parte dei cittadini ha rinunciato alle sue responsabilità e ha lasciato che le cose accadessero». Non facciamolo noi!
Per costruire il nostro futuro, riappropriamoci della parte migliore del nostro passato, delle nostre radici comuni. Radici che sono nella lotta e nei sogni di chi ha combattuto per uscire dalla dittatura, costruendo le basi comuni di un destino condiviso e rispettando, al di là delle proprie diversità, il ruolo di maggioranza e di opposizione.
Quando andrete via da qui, passeggiando per le strade di Roma, fermatevi in una libreria e regalatevi una copia della Costituzione, della nostra “buona novella laica” e, una volta tornati a casa, ricominciate a leggerla, a conoscerla, perché nessuno, dopo oggi, possa ancora dire: «ma io non sapevo!».
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