Profughi eritrei, un incontro al Senato
"La vita di quelle persone è in pericolo"
Promossa dall'Associazione "A buon diritto" diretta da Luigi Manconi, ha avuto luogo una conferenza stampa per ricordare come e quanto c'entra il nostro governo in questa brutta storia. Molti i parlamentari presenti di diversi schieramenti. L'impegno di tutti per un messaggio a più firme al ministro Frattini
di CARLO CIAVONI
ROMA - Le ultime notizie dal deserto del Sinai dicono che i profughi sequestrati da oltre un mese da trafficanti beduini si trovano sempre nelle stesse terribili condizioni di estrema costrizione, incatenati, in un ambiente igienicamente impossibile, sotto la minaccia continua di percosse brutali o di essere ammazzati da un momento all'altro.  A raccogliere le informazioni è sempre padre Moses Zerai, direttore dell'agenzia eritrea Habeshia, il primo a denunciare questa ennesima emergenza umanitaria, che tutti ormai considerano la diretta conseguenza della politica dei respingimenti del governo italiano. Al Senato c'è stato un incontro con la stampa per ricordare le responsabilità di Palazzo Chigi rispetto al dramma in atto nel Sinai, cui hanno partecipato molti parlamentari. Entro domani dovrebbe essere scritto un messaggio con le firme, possibilmente anche di deputati e senatori della maggioranza, che solleciti un cambio di politica, affinhcè almeno i richiedenti di asilo politico siano messi realmente in condizioni di chiederlo.
Gli affari dei trafficanti. "Invece di costruire un filtro, hanno scelto di fare un muro - ha detto Moses Zerai - e questo impedisce di poter selezionare nella massa di immigrati, chi arriva solo per cercare lavoro, da chi fugge da guerre o regimi liberticidi. Una situazione in netto contrasto con la Costituzione italiana". Il vanto, ostentato in tv, di molti ministri della Repubblica è quello di aver drasticamente ridotto gli sbarchi in Italia. Il fatto - si è detto durante l'incontro al Senato - è che è drammaticamente diminuito il numero dei rifugiati politici e non certo perché siano cambiate le condizioni di vita di milioni di persone. Anzi. La realtà è un'altra: è che ormai la scelta dissennata di alzare questo "muro" ai confini con l'Europa, ha finito per arricchire trafficanti di esseri umani, senza volto e senza controllo, e di aver di fatto dirottato il flusso migratorio dall'Africa sub sahariana, lungo molteplici rotte che gli stessi trafficanti si prodigano a suggerire ad un numero crescente di persone, in fuga da orrori che non hanno neanche il tempo di raccontare, prima di chiedere asilo politico.
L'incontro al Senato. Organizzata dall'Associazione "A buon diritto 1", presieduta da Luigi Manconi, c'è stata una conferenza stampa in Senato, cui hanno partecipato Laura Boldrini, portavoce dell'UNHCR 2 (l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), Christopher Hein, direttore del CIR 3(Consiglio Italiano per i Rifugiati) oltre a molti parlamentari di diversi schieramenti. Lo scopo dell'incontro, che s'è svolto sotto il titolo "Profughi sotto ricatto, cosa c'entra l'Italia?",  è stato appunto quello di ricordare i drammatici nessi  fra le responsabilità del governo italiano e il dramma umanitario in atto nel Sinai.
Le pressioni sul governo. Il risultato dell'iniziativa di Manconi è stato quello di mettere attorno ad un tavolo i parlamentari intervenuti all'incontro per scrivere un documento ufficiale che impegni il ministro Frattini affinchè attivi tutte le iniziative diplomatiche sul governo egiziano, indicato come uno dei maggiori responsabili di questa situazione. Tutti i parlamentari, da Savino Pezzotta, a Paola Binetti, da Livia Turco a Matteo Mecacci, da Rita Bernardini a Benedetto Dalla Vedova, a Jean Leonard Touadi, hanno ribadito l'intenzione di esercitare le pressioni necessarie per indurre il governo a farsi promotore di iniziative che, almeno, liberi e salvi la vita alle 80 persone sequestrate nel deserto.
Le colpe dell'Egitto. Chi di sicuro non può sottrarsi da responsabilità di fronte al dramma dei profughi - è stato detto da più parti - è appunto il governo di Mubarak, che finora appena interpellato si è semplicemente trincerato dietro un laconico "Ci stiamo occupando del problema", non lasciando spazio a repliche, nonostante l'ufficio del Cairo dell'UNHCR abbia non una, ma diverse volte, insistito perché fosse almeno individuato il luogo dove i predoni tengono segregati i profughi.
Non è difficile individuarli. Un luogo che - è stato anche sottolineato - non dovrebnbe essere difficile da individuare, essendo il confine tra Egitto e Israele lungo circa 220 chilometri e sapendo, dal racconto di uno degli eritrei incatenati, che dal luogo della loro detenzione si ascolta distintamente il richiamo di un muezzin e le voci di bambini, probabilmente vicini ad una scuola. "Non solo - ha insistito padre Moses Zerai - ma avendo fatto conoscere attraverso l'UNHCR il numero delle scheda telefonica di uno dei profughi, non è possibile che ancora non si sappia dove occorre andare con urgenza per salvare quelle vite umane".
Il muro di Israele. Lo sconcerto di tutti, dunque, per l'indifferenza generale e in particolare dell'Unione Europea (che comunque l'iniziativa dei parlamentari italiani tenterà di chiamare in causa) ma anche per l'assenza imbarazzante di azioni e pronunciamenti da parte dell'unica grande democrazia di quell'area, rappresentata dallo stato di Israele, che sta dando seguito all'annuncio della costruzione di un altro muro sul confine con l'Egitto, lungo 110 chilometri.
La voce dell'UNHCR. Da Ginevra, intanto, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati "esprime forte preoccupazione per il gruppo di 250 persone, inclusi circa 80 eritrei, in ostaggio nel Sinai. L'UNHCR ha subito preso contatto con il governo egiziano, in particolare - si legge nel comunicato - dal Ministero dell'Interno egiziano sono state date rassicurazioni sugli sforzi messi in atto per localizzare gli ostaggi e organizzare il loro rilascio".
07 dicembre 2010 repubblica.it
Profughi eritrei, un incontro al Senato
"La vita di quelle persone è in pericolo"
Promossa dall'Associazione "A buon diritto" diretta da Luigi Manconi, ha avuto luogo una conferenza stampa per ricordare come e quanto c'entra il nostro governo in questa brutta storia. Molti i parlamentari presenti di diversi schieramenti. L'impegno di tutti per un messaggio a più firme al ministro Frattini
di CARLO CIAVONI
ROMA - Le ultime notizie dal deserto del Sinai dicono che i profughi sequestrati da oltre un mese da trafficanti beduini si trovano sempre nelle stesse terribili condizioni di estrema costrizione, incatenati, in un ambiente igienicamente impossibile, sotto la minaccia continua di percosse brutali o di essere ammazzati da un momento all'altro.  A raccogliere le informazioni è sempre padre Moses Zerai, direttore dell'agenzia eritrea Habeshia, il primo a denunciare questa ennesima emergenza umanitaria, che tutti ormai considerano la diretta conseguenza della politica dei respingimenti del governo italiano. Al Senato c'è stato un incontro con la stampa per ricordare le responsabilità di Palazzo Chigi rispetto al dramma in atto nel Sinai, cui hanno partecipato molti parlamentari. Entro domani dovrebbe essere scritto un messaggio con le firme, possibilmente anche di deputati e senatori della maggioranza, che solleciti un cambio di politica, affinhcè almeno i richiedenti di asilo politico siano messi realmente in condizioni di chiederlo.

Gli affari dei trafficanti. "Invece di costruire un filtro, hanno scelto di fare un muro - ha detto Moses Zerai - e questo impedisce di poter selezionare nella massa di immigrati, chi arriva solo per cercare lavoro, da chi fugge da guerre o regimi liberticidi. Una situazione in netto contrasto con la Costituzione italiana". Il vanto, ostentato in tv, di molti ministri della Repubblica è quello di aver drasticamente ridotto gli sbarchi in Italia. Il fatto - si è detto durante l'incontro al Senato - è che è drammaticamente diminuito il numero dei rifugiati politici e non certo perché siano cambiate le condizioni di vita di milioni di persone. Anzi. La realtà è un'altra: è che ormai la scelta dissennata di alzare questo "muro" ai confini con l'Europa, ha finito per arricchire trafficanti di esseri umani, senza volto e senza controllo, e di aver di fatto dirottato il flusso migratorio dall'Africa sub sahariana, lungo molteplici rotte che gli stessi trafficanti si prodigano a suggerire ad un numero crescente di persone, in fuga da orrori che non hanno neanche il tempo di raccontare, prima di chiedere asilo politico.

L'incontro al Senato. Organizzata dall'Associazione "A buon diritto 1", presieduta da Luigi Manconi, c'è stata una conferenza stampa in Senato, cui hanno partecipato Laura Boldrini, portavoce dell'UNHCR 2 (l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), Christopher Hein, direttore del CIR 3(Consiglio Italiano per i Rifugiati) oltre a molti parlamentari di diversi schieramenti. Lo scopo dell'incontro, che s'è svolto sotto il titolo "Profughi sotto ricatto, cosa c'entra l'Italia?",  è stato appunto quello di ricordare i drammatici nessi  fra le responsabilità del governo italiano e il dramma umanitario in atto nel Sinai.

Le pressioni sul governo. Il risultato dell'iniziativa di Manconi è stato quello di mettere attorno ad un tavolo i parlamentari intervenuti all'incontro per scrivere un documento ufficiale che impegni il ministro Frattini affinchè attivi tutte le iniziative diplomatiche sul governo egiziano, indicato come uno dei maggiori responsabili di questa situazione. Tutti i parlamentari, da Savino Pezzotta, a Paola Binetti, da Livia Turco a Matteo Mecacci, da Rita Bernardini a Benedetto Dalla Vedova, a Jean Leonard Touadi, hanno ribadito l'intenzione di esercitare le pressioni necessarie per indurre il governo a farsi promotore di iniziative che, almeno, liberi e salvi la vita alle 80 persone sequestrate nel deserto.

Le colpe dell'Egitto. Chi di sicuro non può sottrarsi da responsabilità di fronte al dramma dei profughi - è stato detto da più parti - è appunto il governo di Mubarak, che finora appena interpellato si è semplicemente trincerato dietro un laconico "Ci stiamo occupando del problema", non lasciando spazio a repliche, nonostante l'ufficio del Cairo dell'UNHCR abbia non una, ma diverse volte, insistito perché fosse almeno individuato il luogo dove i predoni tengono segregati i profughi.

Non è difficile individuarli. Un luogo che - è stato anche sottolineato - non dovrebnbe essere difficile da individuare, essendo il confine tra Egitto e Israele lungo circa 220 chilometri e sapendo, dal racconto di uno degli eritrei incatenati, che dal luogo della loro detenzione si ascolta distintamente il richiamo di un muezzin e le voci di bambini, probabilmente vicini ad una scuola. "Non solo - ha insistito padre Moses Zerai - ma avendo fatto conoscere attraverso l'UNHCR il numero delle scheda telefonica di uno dei profughi, non è possibile che ancora non si sappia dove occorre andare con urgenza per salvare quelle vite umane".

Il muro di Israele. Lo sconcerto di tutti, dunque, per l'indifferenza generale e in particolare dell'Unione Europea (che comunque l'iniziativa dei parlamentari italiani tenterà di chiamare in causa) ma anche per l'assenza imbarazzante di azioni e pronunciamenti da parte dell'unica grande democrazia di quell'area, rappresentata dallo stato di Israele, che sta dando seguito all'annuncio della costruzione di un altro muro sul confine con l'Egitto, lungo 110 chilometri.

La voce dell'UNHCR. Da Ginevra, intanto, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati "esprime forte preoccupazione per il gruppo di 250 persone, inclusi circa 80 eritrei, in ostaggio nel Sinai. L'UNHCR ha subito preso contatto con il governo egiziano, in particolare - si legge nel comunicato - dal Ministero dell'Interno egiziano sono state date rassicurazioni sugli sforzi messi in atto per localizzare gli ostaggi e organizzare il loro rilascio".

07 dicembre 2010 repubblica.it



Radio Vaticana 5/12/2010
Localizzato a circa 50 chilometri dal confine con Israele il gruppo di profughi eritrei sequestrati da trafficanti
Il Papa all'Angelus ha dunque lanciato un accorato appello per gli oltre 80 profughi eritrei sequestrati nel deserto del Sinai. I profughi sono stati localizzati. Sono tenuti prigionieri in territorio egiziano a circa 50 chilometri dal confine con Israele. I trafficanti che li hanno sequestrati, pretendono il pagamento di 8 mila dollari per il rilascio di ognuno di loro. La situazione dei profughi eritrei è resa ancora più grave anche dalle politiche sempre più stringenti sull’immigrazione adottate dall’Unione Europea. Misure che vengono aggirate tramite le nuove rotte dell’immigrazione, come conferma Christopher Hein, direttore del Centro Italiano per i Rifugiati (Cir), intervistato da Marco Guerra:

R. – E’ parte di un dramma certamente ben più vasto di gente che disperatamente cerca vie per arrivare nel territorio dell’Unione Europea. Le misure che sono state prese, rendono questo tentativo sempre più difficile a cominciare da qualche anno fa, quando molti africani arrivavano in Europa passando per lo Stretto di Gibilterra. Poi la Spagna ha chiuso questa via con la forza militare. Questo movimento si è successivamente spostato nell’enclave spagnola in territorio marocchino, ma comunque sempre parte dell’Unione Europea. Quindi è stato elevato il muro intorno a questa enclave spagnola e la rotta si è spostata verso le Isole Canarie. A quel punto, la Spagna è intervenuta nei Paesi di transito – Mauritania e Senegal – e ha chiuso anche questi passaggi. L’Italia ha poi raggiunto l’accordo con la Libia e ha assicurato anche tutto il supporto logistico e tecnico. Però non c’è stata una soluzione per chi, come gli eritrei, non può tornare nella propria terra. Sono infatti rifugiati e temono per la loro incolumità e per la loro vita. Questa è una situazione in cui più si mettono in atto misure di contrasto e di vigilanza delle frontiere europee, più si aumenta il mercato delle organizzazioni criminali che ne approfittano. La risposta, secondo noi, è quella di aprire finalmente canali per un arrivo protetto, un arrivo legale di queste persone, senza che debbano mettere a rischio la propria vita.

D. – Cosa potrebbe avvenire al gruppo di questi profughi dopo un eventuale rilascio?

R. – In Egitto rischiano di essere confinati in un centro di detenzione delle autorità egiziane. Ma in tal caso ci sarebbe, comunque, un modo per contattare l’ufficio dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati e cercare di far riconoscere loro lo status di rifugiati. L’Egitto ha aderito e ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, pur non avendo dato grande attuazione a questo impegno internazionale. La possibilità di ottenere protezione in Egitto esiste ma la via da percorrere non è facile.
D. – Per i rifugiati ci sono convenzioni che prevedono particolari tutele. E’ così difficile applicarle?

R. – Fino a 20 anni fa, la stragrande maggioranza di rifugiati è arrivata in Europa in modo regolare, perché non c’era ancora questo rigido sistema di visti d’ingresso. Era quindi molto più facile anche per i cittadini provenienti da Paesi terzi entrare nel territorio della comunità europea. Da quando, poi, in Europa sono state introdotte tutte queste misure per una maggiore sorveglianza delle frontiere con le operazioni coordinate dall’agenzia Fronte che gestisce gli sforzi delle polizie di frontiera - con il regime dei visti d’ingresso che praticamente ormai si applicano a tutti gli Stati africani e alla stragrande maggioranza degli Stati asiatici - le conseguenze sono che oggi non ci sono più ponti per entrare nella “Fortezza Europa”. (gf)

ecco il link per sentire l’intervista: http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=444543


ANSA.it
Papa: appello a rispettare i diritti dei profughi eritrei
Prima profughi poi rapiti dai predoni, incatenati, alcuni uccisi
05 dicembre, 17:09
di Giovanna Chirri
CITTA' DEL VATICANO - Prima profughi in fuga da lavori forzati e stupri, poi finiti nella mani di una banda di predoni, attualmente incatenati nel deserto del Sinai, in attesa che qualcuno paghi un riscatto per loro. Sei sono stati uccisi e ad almeno 4 sembra che stiano per prelevare un rene, come forma di pagamento. Almeno 250 esseri umani vivono questa condizione spaventosa, ma l'attenzione dei media, dei governi e delle cancellerie nei loro confronti e' tanto scarsa da rasentare l'indifferenza. Il Papa ha approfittato dell'Angelus per richiamare l'attenzione su di loro.
''In questo tempo di Avvento, ...- ha detto - vi invito a pregare per tutte le situazioni di violenza, di intolleranza, di sofferenza che ci sono nel mondo,...''. Ha ricordato le ''tante situazioni difficili, come i continui attentati che si verificano in Iraq contro cristiani e musulmani, agli scontri in Egitto in cui vi sono stati morti e feriti, le vittime di trafficanti e di criminali, come il dramma degli ostaggi eritrei e di altre nazionalità, nel deserto del Sinai''. ''Il rispetto dei diritti di tutti è il presupposto per la civile convivenza'', ha rimarcato papa Ratzinger prima di augurarsi ''preghiera e solidarieta''' da parte dei cristiani verso i profughi eritrei. Questi sono in mano ai predoni dal 20 novembre, - anche se per molti di loro l'odissea e' iniziata a maggio con la fuga dal proprio paese, la cattura da parte libica, la chiusura in un campo di concentramento, un tentativo di fuga attraverso il Sahara, - e in questi ultimi giorni la diplomazia internazionale ha cercato di muoversi in loro favore.
Anche la Farnesina, il primo dicembre, ha fatto pressione sul governo egiziano perche' intervenga al piu' presto. Al governo egiziano si sono rivolti anche le organizzazioni dell'Onu che lavorano per i diritti umani, diverse Ong e le associazioni ecclesiali. Ma finora non si sono visti risultati tangibili. ''L'assenza di immagini dei profughi che muoiono nel deserto o nel Mediterraneo non puo' essere motivo di indifferenza o di assenza di responsabilita''', ha denunciato venerdi' scorso in una nota la Comunita' di Sant'Egidio, chiedendo ''un sussulto di umanita' per ricercare soluzioni equilibrate nei confronti dei rifugiati'' e l'avvio di ''un sistema europeo di reinsediamento dei profughi''. Avvenire da' oggi la parola a don Mose' Zerai, un prete italiano che ha stabilito un contatto telefonico con alcuni prigionieri. E' lui che racconta delle persone incatenate, alla disperata ricerca di danaro da parte di familiari emigrati in Europa, e dei loro aguzzini, ''armati fino ai denti e probabilmente con qualcuno che li copre, all'interno di una zona controllata''.
Il Messaggero 5/12/2010

Profughi eritrei prigionieri in Egitto,appello di papa Ratzinger all'Angelus

ROMA (5 dicembre) - Prima profughi in fuga da lavori forzati e stupri, poi finiti nella mani di una banda di predoni, attualmente incatenati nel deserto del Sinai, in attesa che qualcuno paghi un riscatto per loro. Sei sono stati uccisi e ad almeno 4 sembra che stiano per prelevare un rene, come forma di pagamento. Almeno 250 esseri umani vivono questa condizione spaventosa, ma l'attenzione dei media, dei governi e delle cancellerie nei loro confronti è tanto scarsa da rasentare l'indifferenza. Il Papa ha approfittato dell'Angelus per richiamare l'attenzione su di loro. «In questo tempo di Avvento.- ha detto - vi invito a pregare per tutte le situazioni di violenza, di intolleranza, di sofferenza che ci sono nel mondo...».

Ha ricordato le «tante situazioni difficili, come i continui attentati che si verificano in Iraq contro cristiani e musulmani, agli scontri in Egitto in cui vi sono stati morti e feriti, le vittime di trafficanti e di criminali, come il dramma degli ostaggi eritrei e di altre nazionalità, nel deserto del Sinai». «Il rispetto dei diritti di tutti è il presupposto per la civile convivenza», ha rimarcato papa Ratzinger prima di augurarsi «preghiera e solidarietà» da parte dei cristiani verso i profughi eritrei. Questi sono in mano ai predoni dal 20 novembre, - anche se per molti di loro l'odissea è iniziata a maggio con la fuga dal proprio paese, la cattura da parte libica, la chiusura in un campo di concentramento, un tentativo di fuga attraverso il Sahara, - e in questi ultimi giorni la diplomazia internazionale ha cercato di muoversi in loro favore. Anche la Farnesina, il primo dicembre, ha fatto pressione sul governo egiziano perchè intervenga al più presto. Al governo egiziano si sono rivolti anche le organizzazioni dell'Onu che lavorano per i diritti umani, diverse Ong e le associazioni ecclesiali. Ma finora non si sono visti risultati tangibili. «L'assenza di immagini dei profughi che muoiono nel deserto o nel Mediterraneo non può essere motivo di indifferenza o di assenza di responsabilità», ha denunciato venerdì scorso in una nota la Comunità di Sant'Egidio, chiedendo «un sussulto di umanità per ricercare soluzioni equilibrate nei confronti dei rifugiati» e l'avvio di «un sistema europeo di reinsediamento dei profughi».

Avvenire dà oggi la parola a don Mosè Zerai, un prete italiano che ha stabilito un contatto telefonico con alcuni prigionieri. È lui che racconta delle persone incatenate, alla disperata ricerca di danaro da parte di familiari emigrati in Europa, e dei loro aguzzini, «armati fino ai denti e probabilmente con qualcuno che li copre, all'interno di una zona controllata».

Agenzia Habeshia comunicato stampa del 4/12/2010
Da più di un mese sono sotto sequestro un gruppo di profughi eritrei, circa 250, una ottantina di questi partiti dalla Libia dopo che sono stati scarcerati dalle terribili carceri libici nel mese di luglio, hanno deciso di cambiare rotta verso Israele, pagando 2000 dollari ciascuno, sono arrivati in Egitto nel Sinai dove hanno trovato i predoni che ora gli tengono incatenati, pretendendo il pagamento di 8000 dollari ciascuno per ottenere la loro libertà. Le testimonianze drammatiche di violenza subita, da donne incinte, donne con bambini, privati di tutto cibo, acqua. Continuamente picchiati costretti a contattare i famigliari che vivono in Europa per chiedere soldi è pagare il riscatto per la loro libertà. Oggi raccontava una delle donne sequestrate di come sono trattati peggio di bestie, tenuti con le catene ai piedi, ci danno da mangiare una pagnotta e una scatoletta di sardine ogni tre giorni, non abbiamo acqua potabile ma siamo costretti a bere acqua salta che sta causando molti disturbi intestinali. Abbiamo 9 persone ferite gravemente dalle percosse selvagge, bisognosi di cure urgenti, perché hanno testa fracassata, gli arti rotti. L'altro ieri sera hanno prelevato 4 di noi che non hanno nessun parente all'estero che può pagare il riscatto, gli hanno portati a prelevare un rene per venderlo e ricavare i soldi del riscatto. Ci sono stati anche delle persone marchiate con il fuoco per costringerle a chiamare i famigliari e chiedere di pagare il riscatto.
Ci hanno dato un ultimo ultimatum per domenica dopo di che hanno detto che ci fanno sparire.
Facciamo appello a tutta la comunità internazionale perché intervengano per salvarci dalle mani di questi Trafficanti, non ce un minuto di tempo da perdere, stiamo male aiutateci.
Don Mussie
Per seguire I loro appelli: http://habeshia.blogspot.com/


ACSA 3-12-10
RIFUGIATI: S.EGIDIO, INTERVENTO URGENTE PER LIBERARE PROFUGHI ERITREI
(ASCA) - Roma, 3 dic - ''Occorre, con urgenza, un sussulto di umanita' europeo e italiano per scongiurare nuove morti che non possono vedere indifferente un paese come l'Italia, per vicinanza, rapporti privilegiati con Egitto e Israele, per la presenza tra le vittime di profughi eritrei che hanno subito respingimenti europei e dalla Libia''. E' l'appello lanciato oggi dalla Comunita' di Sant'Egidio in favore dei 74 rifugiati rapiti nei giorni scorsi nel Sinai, alcuni dei quali sono stati gia' uccisi dai trafficanti che li hanno sequestrati.

La Comunita' di Sant'Egidio chiede, quindi, ai media il massimo di attenzione e al Governo Italiano ''una iniziativa urgente presso le autorita' israeliane ed egiziane per favorire una rapida e sicura uscita da questa emergenza umanitaria''.

''Si tratta, purtroppo, di una situazione estrema, ma che segnala il dramma, costante, di uomini e donne che fuggono da condizioni di vita a rischio ed estremamente difficili, e che sempre piu' fanno fatica a vedere il loro staus di rifugiato e profugo preso in considerazione e accolto. Occorre una nuova mobilitazione delle coscienze e delle istituzioni, - si sottolinea ancora - al di la' delle contrapposizioni ideologiche, e un sussulto di umanita': l'assenza di immagini dei profughi che muoiono nel deserto o nel Mediterraneo non puo' essere un motivo di indifferenza o di assenza di responsabilita'. Occorre un sussulto di umanita' per ricercare soluzioni equilibrate nei confronti dei rifugiati, e avviare un sistema europeo di re insediamento dei profughi''.

''Il dramma di uomini e donne che scappano da situazioni estremamente difficili richiede da parte dei governi europei - si conclude - una mobilitazione e un sussulto di umanita'.

E' necessario ricercare soluzioni equilibrate nei confronti dei rifugiati tra le quali e' possibile immaginare la costruzione, concertata, di un sistema europeo di reinsediamento dei profughi''.


Silenzio sul dramma degli Eritrei prigionieri nel deserto del Sinai
Sono in 250. Tra loro donne in stato di gravidanza E bambini. Nove uomini hanno riportato gravi ferite per le violenze subite. Ad altri è stata imposta, pare, l’asportazione di un rene, unica loro proprietà per pagare il riscatto. Alcuni sono stati uccisi. Quelli sopravvissuti sono ostaggi: tenuti in catene nel deserto del Sinai, ricattati da trafficanti che pretendono 8.000 dollari in cambio della loro vita, picchiati, marchiati a fuoco, minacciati, senza acqua potabile e con un pezzo di pane e una scatola di sardine ogni tre giorni. La maggior parte è di nazionalità eritrea, ma ci sono anche etiopi, somali, sudanesi. Hanno pagato 2.000 dollari per riuscire ad arrivare in Israele affidandosi a schiavisti che ora chiedono il quadruplo per liberarli. In 80 hanno iniziato il viaggio da Tripoli e tra loro ci sono quegli uomini e donne che, fino al luglio scorso, erano prigionieri nel carcere libico di Al Braq. Alcuni erano stati respinti prima dell’arrivo sulle nostre coste per via dell’accordo d’amicizia siglato con la Libia e il nostro governo si era impegnato a fornire risposte e a trovare soluzioni per garantire la protezione che il loro status di rifugiati esige. Ora ci risiamo: il governo italiano non ha fatto niente allora e non sembra intenzionato a fare qualcosa adesso, quando sarebbe, invece, il momento di assumere una posizione netta. Con il governo libico, innanzitutto, per porre fine alla pratica dei respingimenti e con il governo egiziano sul cui territorio si trovano i prigionieri. Oggi alle ore 11, presso la sala stampa del Senato, A Buon Diritto organizza un incontro a cui parteciperà Don Mussie Zerai, sacerdote eritreo che è in contatto telefonico con alcuni ostaggi e con i loro familiari.
6 dicembre 2010


Everyone –ONG Dicembre 5, 2010
Marchiati a fuoco e incatenati senz’acqua. Nuovo ultimatum per gli eritrei nel Sinai


Roma, 4 dicembre 2010. L’ultimatum è per domani. Se i trafficanti non riceveranno il riscatto richiesto, i 250 eritrei rapiti sul Sinai – ottanta dei quali provenienti dall’inferno delle carceri libiche – saranno fatti «sparire».

Dopo aver pagato duemila euro per arrivare in Israele, una volta giunti in Egitto i profughi erano stati rapiti da un gruppo di trafficanti che pretende da ciascuno il pagamento di ottomila euro a testa in cambio della vita.

«Non ci danno acqua potabile – ha raccontato oggi al telefono una donna contattata da don Mussie Zerai, della ong Habeshia – dobbiamo bere l’acqua salata del mare e molti di noi già hanno problemi intestinali. Ci danno da mangiareuna pagnotta e una scatola di sardine ogni tre giorni, siamo costretti a vivere incatenati come bestie». E la testimonianza è di quelle che non possono essere ignorate dai governi: «Abbiamo nove persone ferite in modo grave a causa delle percosse – prosegue la donna – bisognose di cure urgenti perché hanno testa fracassata e gli arti rotti. L’altro ieri sera, quattro di noi che non hanno alcun parente all’estero che possa pagare per loro un riscatto, sono stati portati via per prelevargli un rene da vendere.

Altri, invece, sono stati marchiati con il fuoco per costringerli a chiamare i familiari e chiedere di pagare il riscatto. L’ultimatum è per domenica – conclude – dopo di che hanno detto che ci fanno sparire».
L’organizzazione per i diritti umani EveryOne – intanto – poco fa ha fatto sapere di aver individuato e comunicato all’Onu la località in cui sono detenuti gli ostaggi eritrei. E lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite per il traffico di esseri umani ha confermato a EveryOne che il caso, dopo le rivelazioni, riveste ufficialmente la massima priorità. Secondo quanto scrive l’Ansa, infine, sarebbe stato allertato anche ilMossad per evitare che i trafficanti possano fuggire attraverso i tunnel che collegano Israele alla Palestina. La speranza è che “la massima priorità” giunga prima dell’ultimatum.


Avvenire Roma 02 Dicembre 2010
Mantica: « Dobbiamo agire sui governi di Egitto e Libia»
Giovanni Grasso
Chiederò al ministro «Frattini e al ministro Maroni di intervenire sul governo libico e su quello egiziano, per vedere se è possibile trovare una conclusione positiva a questa drammatica vicenda». Il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica, «da amico del popolo eritreo», assicura in questa intervista il suo impegno a favore degli ostaggi eritrei finiti in mano dei predoni. E afferma: «Credo che sia venuto il momento che il governo italiano chieda al Colonnello Gheddafi di riservare un trattamento diverso a quei profughi che vengono dall'Eritrea e che hanno diritto all'asilo politico».
Sottosegretario Mantica, non le pare che ci sia a livello di governo ma anche di stampa italiana una sottovalutazione di quello che sta accadendo ai profughi eritrei?
Sicuramente queste vicende non sono conosciute a sufficienza. Credo che occorra un'opera di sensibilizzazione, sia a livello di Parlamento che di opinione pubblica.
La politica italiana dei respingimenti non è, in qualche modo, corresponsabile di queste tragedie?
I respingimenti hanno sicuramente la loro dolorosa durezza, ma per gli eritrei hanno una importanza relativa. Il discorso è lungo e parte da lontano. Nella zona di Kassala, al nord del Sudan, ci sono campi profughi di eritrei, costituiti da 200-300mila persone che fuggono dal regime dittatoriale di Isaias Afewerld. E che si ritrovano nel deserto con scarsissime probabilità di sopravvivenza. Si tratta, in sostanza, di un decimo della popolazione eritrea. che fugge da condizioni di miseria e da una leva obbligatoria che li costringe alle armi e a servizi umilissimi fino a quarant'anni d'età. Da questi campi profughi, alcuni giovani cercano di arrivare in Europa (e specialmente in Italia) attraverso il deserto libico o l'Egitto, risalendo il Nilo. Tenendo presente che chi fugge dalla leva è considerato disertore e sarebbe sanzionato in modo pesantissimo se provasse a tornare in patria.
E, dunque, cosa si può fare a livello internazionale?
Credo che bisogna innanzitutto agire sul Colonnello Gheddafi, per due ragioni. La prima è che continua a sostenere il regime di Isaias Aferweki, cedendogli ad esempio petrolio a prezzo politico. E si badi bene che Isaias è stato duramente criticato anche a livello africano, per le condizioni in cui versa la popolazione eritrea e per il suo contributo all'instabilità del Corno d'Africa. La seconda è che i libici utilizzano molta mano d'opera eritrea per l'agricoltura, trattata in condizioni di semischiavitù. Credo, allora, che il governo italiano debba chiedere alla Libia di trattare i profughi eritrei in un modo particolare, tenuto conto della specificità della loro condizione.
Il governo italiano si muoverà, allora?
Quello che posso garantire, personalmente, è che lancerò un appello al ministro degli Esteri Frattini e a quello dell'Interno Maroni perché si muovano con il governo egiziano, con il quale c'è da sempre grande collaborazione, e con quello libico. Si tratta di compiere un urgente intervento umanitario, non di infrangere patti o trattati internazionali.
il sottosegretario «Dobbiamo chiedere alla Libia un trattamento diverso per chi fugge dal durissimo regime di Isaias Afewerki»
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