I partiti e Grillo
La cattiva politica e l’uomo qualunque
Luigi Manconi
Sono pronto a scommettere una cifra significativa (tutta rigorosamente e patriotticamente in Buoni del Tesoro Poliennali) sul fatto che Cinque Stelle il movimento di Beppe Grillo, non sarà “il terzo partito” alle prossime elezioni amministrative e a quelle politiche. Nonostante quanto avventurosamente preconizzato da più quotidiani e, addirittura, da qualche scienziato della politica.
E, infatti, quelle registrate nelle ultime settimane sono le “intenzioni” di voto: ovvero l’orientamento e - ancor meno – lo stato d’animo politico. Un sentimento, appunto, determinato da fattori volatili, da umori e malumori, da condizioni occasionali e da pulsioni temporanee. Ma in un’Italia sfiancata da una crisi economica che aggredisce strati sociali che si ritenevano protetti, e di fronte a una sequenza di scandali che oltraggiano il comune senso dell’onore, a chi mai dovrebbe rivolgersi l’elettore smarrito? A chi mai dovrebbe affidare la propria volontà di rivalsa? E’ fatale: a chi si propone, a ragione o a torto, come una novità radicale e senza precedenti. E’ sempre andata così. Le fasi di più acuto stress economico-sociale, accompagnate in genere da processi di disgregazione dell’identità collettiva e di incertezza morale, tendono costantemente a produrre nuovi movimenti anti-tutto. Attenzione: non si tratta di antipolitica, bensì di una forma di politica che si propone come estrema e assoluta. In primo luogo, perché azzera, o vorrebbe azzerare, tutte le manifestazioni e le organizzazioni precedenti della politica stessa, in quanto obsolete e inservibili. “Vecchie” appunto. Era esattamente questa la pretesa di quello che, ha costituito il prototipo, nell’Italia repubblicana, di tutte le formazioni che si volevano e si vogliono anti-sistema. Mi riferisco al Fronte dell’Uomo Qualunque, il movimento fondato da Guglielmo Giannini e attivo nell’immediato secondo dopoguerra. Il nome del partito, che diventò definizione di un vero e proprio fenomeno politico-sociale, era in effetti geniale e fu tra le principali ragioni del successo ottenuto. Non esagero: quell’espressione (“uomo qualunque”) sintetizzava magnificamente tutto il cumulo di frustrazione e rancore, tutta la velleità di rivincita, tutta l’aspirazione a fare “piazza pulita” del passato: compreso quello – l’antifascismo, la sua cultura e i suoi partiti – che aveva avuto un ruolo decisivo nella liberazione del paese. Ma proprio questo è uno dei connotati del qualunquismo: l’incapacità di distinguere, di discernere tra responsabilità anche molto diverse, di scegliere lucidamente il male minore o il bene possibile. Piuttosto, l’uomo qualunque pensa di acquistare una propria identità e di uscire dall’anonimato esaltando una perenne contrapposizione tra se e l’altro. E l’altro sono i partiti e le istituzioni, i sindacati e gli intellettuali, le organizzazioni sociali e le ideologie...Tutti rifiutati in nome dell’esaltazione della “gente” e dei suoi interessi “particulari”, i quali – se sommati – produrrebbero il bene comune. Un simile programma necessita fatalmente di un linguaggio adeguato. Che è sempre enfatico e tonitruante, accaldato e roco, tutto concentrato sulla figura del “nemico”, costituito via via dai successivi bersagli messi a fuoco. Dietro tutto ciò c’è l’idea di un rinnovamento palingenetico della politica, attraverso la sostituzione immediata degli attuali gruppi dirigenti da parte di nuovi attori. E’ significativo, tuttavia, che il movimento di Giannini si sia esaurito quando la sua leadership decise di rimpannucciarsi all’ombra prima del Partito liberale e poi della Democrazia cristiana (e dopo aver tentato di interloquire anche con il Movimento sociale, il Partito comunista e quello monarchico). Se si è dedicato tanto spazio a un movimento estintosi ormai sessanta anni fa, è perché il suo modello d’azione continua a riprodursi nel tempo. Fatte salve tutte le enormi differenze, e per limitarci agli ultimi due decenni, prima l’esperienza della Rete e, poi, quella dell’Italia dei valori rivelano numerosi punti di contatto col partito di Giannini. Innanzitutto, nel linguaggio che, in politica, è tutt’altro che un dettaglio ma rappresenta – al contrario – un essenziale fattore di identità. E quindi, come si è detto, in due elementi davvero importanti. Il primo: l’omologazione dell’intero paesaggio politico rispetto al solo parametro dirimente rappresentato dalla militanza anti-mafiosa (la Rete) o da quella anti-corruzione (Idv). Il secondo: l’ambizione a rigenerare la politica attraverso un’azione salvifica, che presuppone la lotta all’ultimo sangue tra il Bene e il Male. Non è un caso che una parte rilevante dell’esperienza e dei dirigenti della Rete sia confluito nel partito di Antonio Di Pietro. E non è nemmeno un caso che, oggi, quest’ultimo contenda a Grillo il medesimo spazio politico, gli stessi elettori reali e potenziali e, come volevasi dimostrare, il linguaggio pubblico. Ora, è quasi superfluo evidenziare quali siano le cause di tutto ciò: la crisi economico-sociale, che erode tutte le istituzioni (e quelle partitiche, in primo luogo) e la pessima prova di se data dal sistema politico. L’attuale “qualunquismo” costituisce il grido disperato di chi rivela, nonostante tutto, una residuale eppure tenacissima fiducia nella politica, così da fare propria la forma ultima di essa che gli viene offerta. E, infatti, non solo L’Idv ma anche lo stesso Cinque stelle fanno politica, eccome. Al punto da ripercorrere, già ora, il medesimo itinerario che ha consumato i partiti tradizionali; e al punto da riproporne puntualmente il modello, acuendone alcuni limiti. Questo vale, in particolare, per l’esasperazione parossistica del ruolo del leader carismatico, principio e fine del programma e dell’ideologia del partito, faccia e voce della sua comunicazione pubblica, oggetto erotico e risorsa emotiva. Attualmente, tutto ciò sembra risultare vincente (ma non si dimentichi la rapidità del declino di un altro partito carismatico come la Lega nord): anche se, ripeto, quelle finora registrate sono appena le “intenzioni” di voto. Ma è possibile che si traducano in concreta scelta elettorale se gli altri soggetti politici non correranno ai ripari. E’ tardi, ma non ancora troppo tardi.
Il Messaggero 3 maggio 2012
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