Morto in cella a 19 anni, riaperto il caso
Alfio Sciacca
11 gennaio 2011 Corriere.it

CATANIA – La morte in cella di Carmelo Castro non è un caso chiuso. La Procura di Catania ha deciso di riaprire le indagini come aveva più volte chiesto la madre, Grazia La Venia, che non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio. Con lei si sono schierate le associazioni “Antigone” e “A buon diritto” che recentemente hanno presentato un esposto alla Procura nel quale vengono passate in rassegna le troppe incongruenze della ricostruzione ufficiale. La più lampante è quella relativa all’altezza del letto a castello al quale si sarebbe impiccato Castro. «Nelle celle del carcere di Piazza Lanza – sostengono le due associazioni che si battono per i diritti dei detenuti- i letti a castello hanno un’altezza che varia fino ad un massimo di un metro e settanta mentre il giovane era alto 1,75». E poi non si capisce perché l’inchiesta sia stata chiusa in modo frettoloso. «Perché –si chiede nell’esposto- non venne sequestrata la cella e il lenzuolo al quale si sarebbe impiccato Castro, né interrogato il personale del carcere e i detenuti delle celle vicine».

NUOVA INTERROGAZIONE - In contemporanea il garante siciliano per il diritti dei detenuti, il senatore Salvo Fleres, ha annunciato una nuova interrogazione al ministro della giustizia sostenendo che «la magistratura ha il dovere di chiarire i troppi punti oscuri di questa vicenda». Tutti ciò ha indotto la Procura a riaprire le indagini. Al momento sul tavolo del procuratore aggiunto Giuseppe Toscano c’è un fascicolo atti relativi che nei prossimi giorni verrà affidato a due sostituti che dovranno rivalutare le carte della prima inchiesta e nuovi spunti investigativi. Sarà presa in considerazione anche l’esplicita richiesta dell’associazione Antigone di riesumare il cadavere per verificare, per quel che è possibile, se sono ancora riscontrabili segni di violenza. La madre e la sorella di Castro sostengono di averlo sentito gridare mentre era nella caserma dei carabinieri di Paternò, prima che venisse trasferito in carcere. Ma ai fini dell’accertamento della verità sulla causa della morte è molto più importante capire cosa sia avvenuto dopo.

I PESTAGGI, LA RAPINA, IL CARCERE - Carmelo Castro, 19 anni, incensurato, venne trovato cadavere alle 12,20 del 28 marzo 2009 nella cella numero 9 della sezione “Nicito” del carcere catanese di Piazza Lanza dove era entrato quattro giorni prima per aver fatto il palo in una rapina. A lungo interrogato dai carabinieri aveva raccontato di vessazioni e pestaggi ad opera di esponenti della stessa banda con la quale aveva fatto la rapina che non lo volevano far uscire dal giro. «Da tempo vivo in una condizione di assoluta paura – fece mettere a verbale - poiché a seguito dell’arresto di Vincenzo Pellegriti, detto "u chiovu", molti dei soggetti pericolosi che lo stesso serviva hanno iniziato a pensare a me come il suo naturale successore. Tale scelta da parte di questi individui forse è stata dettata dal fatto che i medesimi vedevano nel sottoscritto un ragazzo che era rientrato dalla Germania e che quindi non aveva particolari legami con alcuno e contestualmente non era particolarmente in vista alle forze dell’ordine». E soprattutto: «Il mio stato di soggezione ad altri soggetti del gruppo deriva dal fatto che gli stessi mi hanno spesso picchiato. Ricordo, in particolare, che meno di un mese fa gli stessi mi fratturarono il naso perché mi rifiutavo di aiutarli in alcune scorribande ed altri reati che gli stessi avevano progettato di compiere». Ecco perché il legale della famiglia chiede con insistenza di sapere chi c’era nelle celle vicine a quella di Castro (che era recluso in regime di massima sorveglianza) e se è stato qualche detenuto a distribuire il pasto che ha consumato poco prima di morire.

«STRANI ACCUMULI DI SANGUE» - «A parte la stranezza di una persona che prima di suicidarsi consuma un pasto abbondante come risulta dall’autopsia – osserva l’avvocato Vito Pirrone - non ci è stato ancora detto se fu un detenuto e chi a somministrare il vitto quel giorno». E ancora: «Sul cadavere sono state riscontrate strane ipostasi, cioè accumuli di sangue, sulla schiena e non agli arti inferiori come dovrebbe essere nel caso di morte per impiccagione». Per non dire delle troppe anomalie nei soccorsi e della decisione, nonostante il medico avesse avviato le manovre di rianimazione, di trasferirlo in ospedale a bordo di una comune auto di servizio e non in ambulanza. Tutti dubbi che dovrà fugare la nuova inchiesta per quanto possibile orma a quasi due anni dai fatti.
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