La traversata di Grillo è come un bagno di Giovanardi a Milano Marittima
Luigi Manconi
Non fateglielo sapere, a Beppe Grillo, ché sennò quello se ne adonta (e quando quello se ne adonta sono guai). Non fategli sapere che, con la sua epica impresa (la traversata a nuoto dello Stretto di Messina), è diventato uguale sputato al modello cui, palesemente, tende. Il modello rappresentato, cioè, dagli uomini politici della prima Repubblica. L’anno fatale fu il 1978, quando l’allora ministro della Pubblica Istruzione, il democristiano Mario Pedini, sotto lo sguardo compiaciutissimo di Maurizio Costanzo, si esibì al pianoforte nel corso di una puntata di Bontà Loro, eseguendo non so più se Il piccolo montanaro o uno Chopin minore. L’evento fu registrato nella categoria “eccentricità e bizzarrie” e tutto sembrò finire lì, ma il suo senso profondo era, in realtà, epifanico. Basti pensare che, a distanza di qualche anno, Pippo Baudo fece il passo ulteriore, provocando la slavina che avrebbe prodotto, infine, una irresistibile valanga. Nel corso di Domenica In, Baudo, mentre intervistava Oscar Mammì, parlamentare del Partito Repubblicano Italiano, gli chiese quali fossero i suoi gusti e i suoi hobby: e quando Mammì raccontò di amare molto il windsurf, con un gesto imperioso della mano il conduttore fece introdurre un windsurf, come dire, in carne e ossa. Dobbiamo presupporre, ovviamente, che tutto in televisione sia artificio e che, dunque, quella gag fosse stata non solo preparata ma anche attentamente provata; eppure a distanza di decenni, ho ancora nella mente lo sguardo attonito di Mammì. Baudo gli si rivolse: ci faccia vedere come impugna il boma. E lo sventurato rispose. È probabile che anche quell’episodio venne sottovalutato, ma ormai l’irreparabile era accaduto. Era iniziata, cioè, l’era della Umanizzazione della Politica, e ancora ne patiamo le conseguenze e ne paghiamo lo scotto. Cosa c’è dietro? C’è, e c’era già allora, la percezione di un fenomeno che non è nato, certo, uno o due decenni fa, ma che risale addirittura alla fine degli anni ’70. Stiamo parlando del famoso distacco tra Cittadini e Ceto Politico; e del fatto che, fin da allora, un certo numero di appartenenti a quello stesso ceto ritenne di poter correre ai ripari attraverso una strategia che opponeva, al Distacco, l’Avvicinamento. Ciò implicava un effetto perverso: se la distanza era l’esito del prevalere della dimensione politica (burocratica, lontana, separata), il rimedio doveva essere la scoperta e la valorizzazione dell’altra dimensione: quella Umana. Ecco, sta qui, la causa della tragedia. Il ceto politico sembra ignorare che la sua propria e peculiare funzione, quella più strettamente politica, è, alla resa dei conti, la sua espressione migliore. Per quanto possa risultare mediocre e opaca e scarsamente produttiva, quell’attività è comunque quanto di meglio le donne e gli uomini che hanno fatto dell’azione pubblica una professione, sono in grado di esprimere. Il resto è – com’è naturale e giusto – banalissima umanità, tanto degna e significativa e meritevole di attenzione, se ricondotta esclusivamente alla sfera privata. Ma tanto squallida se trasformata in messaggio pubblico. Per il cittadino, in altre parole, l’ambito familiare, il ruolo di genitore o di figlio, la vita di relazione, i gusti e le preferenze del ceto politico sono tutti presupposti come incontrovertibilmente normali: diventano interessanti solo se e solo quando contraddicono uno stereotipo o rivelano una sorpresa. Solo quando, cioè, il politico si rivela, a qualunque titolo, “un mostro”. In tutti gli altri casi, siamo alla fenomenologia dell’ordinario (o del Senza Pretese). Ed ecco che, in questi ultimi 35 anni, abbiamo dovuto assistere – attoniti – all’esibizione di uomini attempati in braghette bianche, inseguire un pallone, mai frequentato negli anni dell’adolescenza; indossare costumi da bagno ascellari e manovrare enormi racchettoni; costringere figli innocenti a percorrere, mano nella mano, passeggiate interminabili; cantare al karaoke “stasera mi butto/mi butto con te”; pedalare faticosamente su lucenti biciclette per raggiungere il ristorante a 50 metri da casa; indossare bomber Pop 84 e scarpe Camper, jeans délavé e chiodo, camicie fucsia e il nastrino rosso con scritto: Recuerdo de Bahia. Insomma, il normalissimo squallore che appartiene a tutti noi. Ma l’abbigliamento è stata solo una delle modalità espressive di questo avvilente processo di “umanizzazione”. Si sono visti parlamentari, fino a ieri convinti che Edson Arantes do Nascimento fosse il re della bossa nova o l’aiutante di Vanna Marchi, proclamare solennemente che “il modulo 3-5-2 in realtà non esiste”. E poi manifestare la passione più sfrenata per gli haiku giapponesi e i limerick anglosassoni. Insomma, in questi decenni, è stato tutto un precipitare, sulla testa degli incolpevoli cittadini, di una pioggia battente dei più differenti e comunque insignificanti e spesso imbarazzanti lati umani del ceto politico: dalla partecipazione alla maratona di Berlino alla produzione del barolo di mezza collina. Un capitolo particolare, e abnorme, è stato quello dell’ esposizione-ostensione del corpo. Quello stesso corpo che, fino a tutti gli anni ’70, era stato occultato o, in ogni caso, messo al riparo, è diventato, allo stesso tempo, ostia consacrata e tabernacolo della politica. Materia e simbolo della sfera pubblica che si incarna nella vita quotidiana. È stato un percorso lungo che ha avuto il suo massimo profeta e il suo fulgido testimonial in Silvio Berlusconi: nella sua fantastica potenza orgasmica (vera o presunta) così come nella sua drammatica convivenza con il cancro, nella sua strenua, davvero all’ultimo sangue, battaglia contro la caduta dei capelli e delle guance e nella sua aspirazione – seria, serissima - all’immortalità. Il corpo del sovrano, ma anche quello dei suo ciambellani, cortigiani e consiglieri, è diventato insieme medium e messaggio, risorsa e fine, strumento e programma politico (di salute, benessere e, chissà, felicità). Beppe Grillo, in cuffietta celeste e mutande scure non richiama, come qualcuno ha creduto, il Mao Tze Tung, che nel 1966 si immerse nello Yanzi, per complesse ragioni geopolitiche. Ricorda, piuttosto, il Carlo Giovanardi che alle 11.23 del 26 luglio 2007, si bagnò nelle acque di Milano Marittima.
il Foglio 12 ottobre 2012
La traversata di Grillo è come un bagno di Giovanardi a Milano Marittima
Luigi Manconi
Non fateglielo sapere, a Beppe Grillo, ché sennò quello se ne adonta (e quando quello se ne adonta sono guai). Non fategli sapere che, con la sua epica impresa (la traversata a nuoto dello Stretto di Messina), è diventato uguale sputato al modello cui, palesemente, tende.
Il modello rappresentato, cioè, dagli uomini politici della prima Repubblica. L’anno fatale fu il 1978, quando l’allora ministro della Pubblica Istruzione, il democristiano Mario Pedini, sotto lo sguardo compiaciutissimo di Maurizio Costanzo, si esibì al pianoforte nel corso di una puntata di Bontà Loro, eseguendo non so più se Il piccolo montanaro o uno Chopin minore. L’evento fu registrato nella categoria “eccentricità e bizzarrie” e tutto sembrò finire lì, ma il suo senso profondo era, in realtà, epifanico. Basti pensare che, a distanza di qualche anno, Pippo Baudo fece il passo ulteriore, provocando la slavina che avrebbe prodotto, infine, una irresistibile valanga. Nel corso di Domenica In, Baudo, mentre intervistava Oscar Mammì, parlamentare del Partito Repubblicano Italiano, gli chiese quali fossero i suoi gusti e i suoi hobby: e quando Mammì raccontò di amare molto il windsurf, con un gesto imperioso della mano il conduttore fece introdurre un windsurf, come dire, in carne e ossa. Dobbiamo presupporre, ovviamente, che tutto in televisione sia artificio e che, dunque, quella gag fosse stata non solo preparata ma anche attentamente provata; eppure a distanza di decenni, ho ancora nella mente lo sguardo attonito di Mammì. Baudo gli si rivolse: ci faccia vedere come impugna il boma. E lo sventurato rispose. È probabile che anche quell’episodio venne sottovalutato, ma ormai l’irreparabile era accaduto. Era iniziata, cioè, l’era della Umanizzazione della Politica, e ancora ne patiamo le conseguenze e ne paghiamo lo scotto. Cosa c’è dietro? C’è, e c’era già allora, la percezione di un fenomeno che non è nato, certo, uno o due decenni fa, ma che risale addirittura alla fine degli anni ’70. Stiamo parlando del famoso distacco tra Cittadini e Ceto Politico; e del fatto che, fin da allora, un certo numero di appartenenti a quello stesso ceto ritenne di poter correre ai ripari attraverso una strategia che opponeva, al Distacco, l’Avvicinamento. Ciò implicava un effetto perverso: se la distanza era l’esito del prevalere della dimensione politica (burocratica, lontana, separata), il rimedio doveva essere la scoperta e la valorizzazione dell’altra dimensione: quella Umana. Ecco, sta qui, la causa della tragedia. Il ceto politico sembra ignorare che la sua propria e peculiare funzione, quella più strettamente politica, è, alla resa dei conti, la sua espressione migliore. Per quanto possa risultare mediocre e opaca e scarsamente produttiva, quell’attività è comunque quanto di meglio le donne e gli uomini che hanno fatto dell’azione pubblica una professione, sono in grado di esprimere. Il resto è – com’è naturale e giusto – banalissima umanità, tanto degna e significativa e meritevole di attenzione, se ricondotta esclusivamente alla sfera privata. Ma tanto squallida se trasformata in messaggio pubblico. Per il cittadino, in altre parole, l’ambito familiare, il ruolo di genitore o di figlio, la vita di relazione, i gusti e le preferenze del ceto politico sono tutti presupposti come incontrovertibilmente normali: diventano interessanti solo se e solo quando contraddicono uno stereotipo o rivelano una sorpresa. Solo quando, cioè, il politico si rivela, a qualunque titolo, “un mostro”. In tutti gli altri casi, siamo alla fenomenologia dell’ordinario (o del Senza Pretese). Ed ecco che, in questi ultimi 35 anni, abbiamo dovuto assistere – attoniti – all’esibizione di uomini attempati in braghette bianche, inseguire un pallone, mai frequentato negli anni dell’adolescenza; indossare costumi da bagno ascellari e manovrare enormi racchettoni; costringere figli innocenti a percorrere, mano nella mano, passeggiate interminabili; cantare al karaoke “stasera mi butto/mi butto con te”; pedalare faticosamente su lucenti biciclette per raggiungere il ristorante a 50 metri da casa; indossare bomber Pop 84 e scarpe Camper, jeans délavé e chiodo, camicie fucsia e il nastrino rosso con scritto: Recuerdo de Bahia. Insomma, il normalissimo squallore che appartiene a tutti noi. Ma l’abbigliamento è stata solo una delle modalità espressive di questo avvilente processo di “umanizzazione”. Si sono visti parlamentari, fino a ieri convinti che Edson Arantes do Nascimento fosse il re della bossa nova o l’aiutante di Vanna Marchi, proclamare solennemente che “il modulo 3-5-2 in realtà non esiste”. E poi manifestare la passione più sfrenata per gli haiku giapponesi e i limerick anglosassoni. Insomma, in questi decenni, è stato tutto un precipitare, sulla testa degli incolpevoli cittadini, di una pioggia battente dei più differenti e comunque insignificanti e spesso imbarazzanti lati umani del ceto politico: dalla partecipazione alla maratona di Berlino alla produzione del barolo di mezza collina. Un capitolo particolare, e abnorme, è stato quello dell’ esposizione-ostensione del corpo. Quello stesso corpo che, fino a tutti gli anni ’70, era stato occultato o, in ogni caso, messo al riparo, è diventato, allo stesso tempo, ostia consacrata e tabernacolo della politica. Materia e simbolo della sfera pubblica che si incarna nella vita quotidiana. È stato un percorso lungo che ha avuto il suo massimo profeta e il suo fulgido testimonial in Silvio Berlusconi: nella sua fantastica potenza orgasmica (vera o presunta) così come nella sua drammatica convivenza con il cancro, nella sua strenua, davvero all’ultimo sangue, battaglia contro la caduta dei capelli e delle guance e nella sua aspirazione – seria, serissima - all’immortalità. Il corpo del sovrano, ma anche quello dei suo ciambellani, cortigiani e consiglieri, è diventato insieme medium e messaggio, risorsa e fine, strumento e programma politico (di salute, benessere e, chissà, felicità). Beppe Grillo, in cuffietta celeste e mutande scure non richiama, come qualcuno ha creduto, il Mao Tze Tung, che nel 1966 si immerse nello Yanzi, per complesse ragioni geopolitiche. Ricorda, piuttosto, il Carlo Giovanardi che alle 11.23 del 26 luglio 2007, si bagnò nelle acque di Milano Marittima.

il Foglio 12 ottobre 2012
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Commenti (2)
  • francesco dal pane  - il bagno nel Gange
    Non si adonti il buon Manconi e il fido Buraschi ma il suo articolo, a parte gli errori di grammatica e sintassi a cui l'llustre ci ha abituati, assomiglia più al bagno di una vacca nel Gange. Mànconi è uno degli sgherri dell'estrema sinistra, insieme a Ferrara e Sofri, implicati in pestaggi, omicidi e furti ai tempi d'oro. Poi è tornato vergine con Craxi, periodo in cui gli sono piovuti dal cielo parecchi milioni sul conto corrente, poi è passato ai radicali, dove con Pannella rubava i soldi dei militanti, poi ha abbracciato Berlusconi, è passato al pd-elle, al fido BURASCHI (una storia d'amore), poi finalmente al foglio, l'approdo naturale dei corrotti
    Non ha mai lavorato in vita sua, solo riscosso tangenti e i soldi dei contribuenti versati per a buon rovescio, un'organizzazione paramilitare di corrotti. Che abbia una fifa blu di Grillo è comprensibile: voti ai grillini vuol dire meno soldi a Manconi che dovrebbe cominciare a lavorare. Gli consigliamo , prima di riscrivere artic...
  • francesco dal pane  - scuse
    Chiedo scusa a Manconi e a buon diritto. Mi sono lasciato trasportare dalla rabbia. Un conto è dissentire, come mi capita sempre con Manconi, ma le offese sono ingiustificabili. Libertà di stampa sacra, offese no francesco
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