La sofferenza e la politica
Luigi Manconi
Nel corso dell’ultimo mese, nello spazio pubblico ha fatto irruzione – con modalità tanto intense da potersi definire violente – il corpo. Il corpo in carne e ossa, con tutta la sua vulnerabilità, dei cittadini di questo Stato.  Alcuni cittadini, si intende: un bambino conteso tra due genitori, un uomo sottoposto a Trattamento Sanitario Obbligatorio, i malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica e di altre patologie neuro-degenerative. Per una volta quei corpi – arti e volti, polsi e caviglie, muscoli e  occhi– sono stati visibili sulle prime pagine dei quotidiani e nelle immagini televisive: sfacciatamente esposti, comunque inermi, sempre offesi. Il bambino strattonato e trascinato dalle maniere rudi di agenti di polizia su mandato dell’autorità giudiziaria ; le membra di Franco Mastrogiovanni, sedato dagli psicofarmaci e imprigionato dalle cinghie, fino alla prostrazione e alla morte; i fisici non abili e non potenti dei malati di Sla. Si tratta di tre condizioni totalmente diverse e lontanissime l’una dall’altra, e tuttavia c’è qualcosa di assai solido che le collega. Sono storie, tutte, dove l’ingiustizia – l’ingiustizia sociale, oltre che quella della natura o della provvidenza – segna in profondità le persone e le marchia; e sono storie, tutte, dove sono in gioco diritti fondamentali di libertà. Quel bambino è, palesemente, la posta in gioco di una relazione coniugale dove l’amore, nella misura in cui c’è stato, ha lasciato il posto all’odio e il figlio è diventato merce di scambio e garanzia di risarcimento. Perché sia davvero così, quel bambino non deve disporre di alcuna autonomia di scelta e di alcuna libertà di movimento. Il suo essere minore corrisponde a una condizione di assoluta minorità. Ma non solo: le procedure di “mediazione familiare” (si fa per dire), affidate alla potestà di un giudice e all’esecuzione delle forze di polizia possono finire con l’assumere un connotato di violenza, dal momento che il primo come le seconde devono ricorrere, necessariamente,  a strumenti troppo rigidi e pesanti per una materia così delicata e sensibile. Emerge così, da quel fatto di cronaca, una domanda impellente di regolamentazione di questioni – l’affidamento dei figli e, più in generale, la tutela dei minori, ma anche la disciplina delle separazioni e dei divorzi – che esigono riforme legislative.
D’altra parte, la vicenda di Franco Mastrogiovanni impone che la misura del Trattamento sanitario obbligatorio -a quasi 35 anni dalla sua istituzione- venga sottoposta a rigorosa verifica, considerati gli abusi che ha consentito; e considerate le sofferenze spesso intollerabili e le conseguenze talvolta letali, che un’applicazione sottratta a controlli  rigorosi e a vincoli tassativi  ha determinato in più di una circostanza. Ma una simile analisi critica richiede una riflessione su alcune categorie essenziali: il rapporto tra terapia e ambiente sociale, la libertà di cura e l’autodeterminazione del paziente , il ruolo e i limiti della contenzione. Tutte questioni che rivelano, palesemente, un profondo spessore politico, come quelle tematizzate dalla recente mobilitazione dei malati di patologie neuro-degenerative.
Ebbene, tutti questi corpi finora celati, sono infine venuti alla luce, maltrattati o mortificati. Sono usciti dall’oscurità con tutta la violenza, dicevo, dei colpi subiti, delle lesioni patite, delle menomazioni che rivelano e delle sofferenze che recano con sé. Dunque, con tutta l’immensa forza politica che esprimono nel momento in cui finiscono sotto lo sguardo pubblico perché vittime di un iniquità o perché protagonisti della denuncia di essa. Ma quello sguardo pubblico, pur turbato e sollecito, tende a relegarli in una dimensione pre-politica: tutta e solo pietistica. Analogamente fa la classe politica nel trattare le tre storie prima raccontate.
Tutto – le parole utilizzate, la trascrizione pubblica di quelle istanze, l’interlocuzione con l’Esecutivo – rivela che quanto quei corpi esprimono viene, sempre e comunque, circoscritto a una sfera che è quella del paternalismo compassionevole o della filantropia o, nel migliore dei casi, della solidarietà umana. Non si coglie in alcun modo (di più: si nega) la politicità di quelle vicende e dei conflitti cui rimandano: la tendenza degli apparati statuali  a invadere lo spazio della vita quotidiana sia con l’esercizio improprio della forza sia con pratiche di medicalizzazione delle contraddizioni sociali, la relazione tra autodeterminazione e legame sociale, la tutela dei più deboli tra i deboli come misura della capacità del sistema della cittadinanza di farsi pienamente inclusivo. Come si vede, si tratta di test essenziali per definire la qualità di una democrazia: dunque, cruciali nodi politici. Ma, già lo si è detto, come tali non vengono considerati, ridotti piuttosto alla dimensione dei buoni sentimenti e all’ambito delle buone azioni. Per buttarla in politica, questo aiuta a spiegare anche la condizione di solitudine nella quale vengono a trovarsi frequentemente le lotte condotte dai radicali, e il loro attuale isolamento. Di quel rapporto col corpo, di quella capacità di fondare sulla “condizione umana” l’azione pubblica, i radicali sono stati, nel corso dei decenni, i più intelligenti interpreti. Si pensi a come la questione della soggettività e dell’autodeterminazione su di sé (i corpi che non si vogliono più, il corpo gravido della donna) abbia costituito la base di fondamentali mobilitazioni politiche – ridimensionate, chissà perché, a “civili”-  come quelle per il divorzio e per l’interruzione volontaria della gravidanza; e si pensi alle testimonianze pubbliche di Luca Coscioni e di  Piegiorgio Welby. Come è possibile rimuovere l’importantissima portata politica di quelle vite e di quelle morti? Come può la sinistra rinunciare al loro straordinario significato? E dove può, una politica che si voglia nuova, cercare il proprio più autentico fondamento se non là dove l’esperienza umana conosce la fatica del vivere e  la sofferenza?
P.s. Va sottolineato che, nel clangore dello sconto tra Barack Obama e Mitt Romney, gli americani sono stati chiamati a pronunciarsi anche su referendum che, tra l’altro, vertevano su questioni riferite al corpo: i matrimoni tra omosessuali, le adozioni da parte di coppie dello stesso sesso, la possibilità di consumare derivati della canapa indiana non solo a scopi terapeutici. E i risultati sono stati assai significativi.
l'Unità 9 novembre 2012
La sofferenza e la politica
Luigi Manconi
Nel corso dell’ultimo mese, nello spazio pubblico ha fatto irruzione – con modalità tanto intense da potersi definire violente – il corpo. Il corpo in carne e ossa, con tutta la sua vulnerabilità, dei cittadini di questo Stato.  Alcuni cittadini, si intende: un bambino conteso tra due genitori, un uomo sottoposto a Trattamento Sanitario Obbligatorio, i malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica e di altre patologie neuro-degenerative. Per una volta quei corpi – arti e volti, polsi e caviglie, muscoli e  occhi– sono stati visibili sulle prime pagine dei quotidiani e nelle immagini televisive: sfacciatamente esposti, comunque inermi, sempre offesi.
Il bambino strattonato e trascinato dalle maniere rudi di agenti di polizia su mandato dell’autorità giudiziaria ; le membra di Franco Mastrogiovanni, sedato dagli psicofarmaci e imprigionato dalle cinghie, fino alla prostrazione e alla morte; i fisici non abili e non potenti dei malati di Sla. Si tratta di tre condizioni totalmente diverse e lontanissime l’una dall’altra, e tuttavia c’è qualcosa di assai solido che le collega. Sono storie, tutte, dove l’ingiustizia – l’ingiustizia sociale, oltre che quella della natura o della provvidenza – segna in profondità le persone e le marchia; e sono storie, tutte, dove sono in gioco diritti fondamentali di libertà. Quel bambino è, palesemente, la posta in gioco di una relazione coniugale dove l’amore, nella misura in cui c’è stato, ha lasciato il posto all’odio e il figlio è diventato merce di scambio e garanzia di risarcimento. Perché sia davvero così, quel bambino non deve disporre di alcuna autonomia di scelta e di alcuna libertà di movimento. Il suo essere minore corrisponde a una condizione di assoluta minorità. Ma non solo: le procedure di “mediazione familiare” (si fa per dire), affidate alla potestà di un giudice e all’esecuzione delle forze di polizia possono finire con l’assumere un connotato di violenza, dal momento che il primo come le seconde devono ricorrere, necessariamente,  a strumenti troppo rigidi e pesanti per una materia così delicata e sensibile. Emerge così, da quel fatto di cronaca, una domanda impellente di regolamentazione di questioni – l’affidamento dei figli e, più in generale, la tutela dei minori, ma anche la disciplina delle separazioni e dei divorzi – che esigono riforme legislative.
D’altra parte, la vicenda di Franco Mastrogiovanni impone che la misura del Trattamento sanitario obbligatorio -a quasi 35 anni dalla sua istituzione- venga sottoposta a rigorosa verifica, considerati gli abusi che ha consentito; e considerate le sofferenze spesso intollerabili e le conseguenze talvolta letali, che un’applicazione sottratta a controlli  rigorosi e a vincoli tassativi  ha determinato in più di una circostanza. Ma una simile analisi critica richiede una riflessione su alcune categorie essenziali: il rapporto tra terapia e ambiente sociale, la libertà di cura e l’autodeterminazione del paziente , il ruolo e i limiti della contenzione. Tutte questioni che rivelano, palesemente, un profondo spessore politico, come quelle tematizzate dalla recente mobilitazione dei malati di patologie neuro-degenerative.

Ebbene, tutti questi corpi finora celati, sono infine venuti alla luce, maltrattati o mortificati. Sono usciti dall’oscurità con tutta la violenza, dicevo, dei colpi subiti, delle lesioni patite, delle menomazioni che rivelano e delle sofferenze che recano con sé. Dunque, con tutta l’immensa forza politica che esprimono nel momento in cui finiscono sotto lo sguardo pubblico perché vittime di un iniquità o perché protagonisti della denuncia di essa. Ma quello sguardo pubblico, pur turbato e sollecito, tende a relegarli in una dimensione pre-politica: tutta e solo pietistica. Analogamente fa la classe politica nel trattare le tre storie prima raccontate.
Tutto – le parole utilizzate, la trascrizione pubblica di quelle istanze, l’interlocuzione con l’Esecutivo – rivela che quanto quei corpi esprimono viene, sempre e comunque, circoscritto a una sfera che è quella del paternalismo compassionevole o della filantropia o, nel migliore dei casi, della solidarietà umana. Non si coglie in alcun modo (di più: si nega) la politicità di quelle vicende e dei conflitti cui rimandano: la tendenza degli apparati statuali  a invadere lo spazio della vita quotidiana sia con l’esercizio improprio della forza sia con pratiche di medicalizzazione delle contraddizioni sociali, la relazione tra autodeterminazione e legame sociale, la tutela dei più deboli tra i deboli come misura della capacità del sistema della cittadinanza di farsi pienamente inclusivo. Come si vede, si tratta di test essenziali per definire la qualità di una democrazia: dunque, cruciali nodi politici. Ma, già lo si è detto, come tali non vengono considerati, ridotti piuttosto alla dimensione dei buoni sentimenti e all’ambito delle buone azioni. Per buttarla in politica, questo aiuta a spiegare anche la condizione di solitudine nella quale vengono a trovarsi frequentemente le lotte condotte dai radicali, e il loro attuale isolamento. Di quel rapporto col corpo, di quella capacità di fondare sulla “condizione umana” l’azione pubblica, i radicali sono stati, nel corso dei decenni, i più intelligenti interpreti. Si pensi a come la questione della soggettività e dell’autodeterminazione su di sé (i corpi che non si vogliono più, il corpo gravido della donna) abbia costituito la base di fondamentali mobilitazioni politiche – ridimensionate, chissà perché, a “civili”-  come quelle per il divorzio e per l’interruzione volontaria della gravidanza; e si pensi alle testimonianze pubbliche di Luca Coscioni e di  Piegiorgio Welby. Come è possibile rimuovere l’importantissima portata politica di quelle vite e di quelle morti? Come può la sinistra rinunciare al loro straordinario significato? E dove può, una politica che si voglia nuova, cercare il proprio più autentico fondamento se non là dove l’esperienza umana conosce la fatica del vivere e  la sofferenza?
P.s. Va sottolineato che, nel clangore dello sconto tra Barack Obama e Mitt Romney, gli americani sono stati chiamati a pronunciarsi anche su referendum che, tra l’altro, vertevano su questioni riferite al corpo: i matrimoni tra omosessuali, le adozioni da parte di coppie dello stesso sesso, la possibilità di consumare derivati della canapa indiana non solo a scopi terapeutici. E i risultati sono stati assai significativi.


l'Unità 9 novembre 2012
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