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Lavoro ai Fianchi
I teorici della legge
Luigi Manconi

“La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente, anche all’avvicinarsi della morte e se si prevede che l’uso dei narcotici abbrevierà la vita? Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri religiosi e morali: Sì”
Pio XII
È sufficiente comparare questa citazione (di papa Pacelli! Del 1957!) con le attuali posizioni delle gerarchie ecclesiastiche, e di gran parte della classe politica, per percepire tangibilmente quanto profondo sia il processo involutivo conosciuto dalla riflessione pubblica sulle questioni dette “di Fine Vita”. In questi giorni si fa un gran parlare di una “agenda biopolitica” del Governo, destinata a trovare, sui temi scelleratamente definiti “eticamente sensibili”, un’intesa con l’UdC al fine di rafforzare un governo che più precario non si può. Si pensi che il disegno di legge sul Testamento biologico è stato approvato dal Senato nel marzo del 2009, e poi abbandonato lì. Il giudizio di merito è semplice: si tratta della più grave lesione dei principi del nostro ordinamento giuridico mai tentata nella storia repubblicana. È altrettanto chiaro il meccanismo politico che lo ispira. Nel momento in cui – a seguito della vicenda di Eluana Englaro – più diffusa è la sensibilità per il tema dell’autodeterminazione del paziente, la maggioranza la butta in caciara: ovvero traduce in una rissa triviale una controversia etico-giuridica  che rimanda alla sfera dei diritti fondamentali. Dal ricorso a un linguaggio truculento (“l’assassinio di Eluana”, “la donna ancora in grado di fare figli”) fino all’adozione di atti pubblici, sproporzionati (il previsto decreto governativo e la circolare del ministero del Welfare contro l’alimentazione e l’idratazione artificiali), l’intera azione del centro destra sembra finalizzata esclusivamente a un risultato sul piano dei rapporti di forza, per così dire, ideologici. Quegli strumenti così rozzamente utilizzati hanno il solo scopo di imporre autoritativamente messaggi che si vorrebbero morali: l’indisponibilità della vita umana, proposta come dogma, e l’interruzione di terapie rivelatesi inutili, presentata come eutanasia. Messaggi di intensa emotività, che rifiutano di considerare la complessità delle situazioni, la fatica delle scelte, la crudeltà delle contraddizioni, per ridurre tutto all’indecente mistificazione di un referendum pro o contro la vita. Al fine di imporre questo regressivo terreno di scontro, non si è badato a spese. Tutto è stato ridotto a una battaglia politicistica, vinta provvisoriamente dal centro destra. Ma quanto quel successo sia, in realtà, fragile è dimostrato dal fatto che solo ora, dopo ventuno mesi, si parla della possibilità di sottoporre il ddl sul Testamento biologico al voto della Camera. Nel frattempo, il governo ha agito solo per via centralistico-autoritaria: ovvero la circolare dei ministeri dell’Interno, del Welfare e della Salute dello scorso novembre che pretende di delegittimare i registri comunali dei Testamenti biologici, istituiti o comunque approvati in numerose città (tra le altre, Firenze, Torino, Genova e Cagliari). Non è il solo fatto, questo, che riveli il nervosismo del ceto politico di destra. Quando, nel corso di una puntata di “Vieni via con me”, le parole di Bepino Englaro e di Mina Welby raggiungono una platea di oltre 9 milioni di persone, si scatena un’ipocrita polemica. Eppure, Englaro e la Welby non hanno parlato, certo, “a favore della morte”, bensì struggentemente a favore della vita, considerata in tutta la sua complessità e anche drammaticità. D’altra parte, lamentare una presunta violazione della par condicio appare puerile: ridurre la pluralità delle idee e delle opzioni al solo ambito di un solo programma, di un solo canale è, infatti pretestuoso. Sarebbe come pretendere il diritto di replica per concezioni alternative in ogni puntata, che so?, di “A sua immagine”. Da tutto ciò risulta un continuo slittamento del concetto di dialettica democratica. Oggi, in Italia, le posizioni delle gerarchie ecclesiastiche sono ampiamente rappresentate sotto il profilo, culturale, sociale, politico e (ciò che più conta) giuridico. È bene che sia così. Ma sono le posizioni alternative che non vengono altrettanto garantite. E non è solo una questione di comunicazione. Bensì di diritto. Detta in altri termini: nessuno, né prima né dopo la relativa legge, ti imponeva di divorziare o di abortire, ma senza la relativa legge, chi avesse deciso in piena coscienza di farlo, sarebbe sanzionato. Così è oggi: nessuno ti impone di toglierti (o di togliere a tuo marito) il polmone artificiale, ma se tu – in piena coscienza e per sottrarti a dolori atroci – intendi farlo, incontri una legge arcigna, se non nemica.
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