Pasolini e la furbizia oratoria
Luigi Manconi
Persino l’Illustre Psicologa, intervistata dal giornale radio, imbarazzata per la richiesta di spiegare cosa diavolo mai stia succedendo in Val di Susa, se la cava richiamando la poesia di Pier Paolo Pasolini. Sui giornali di ieri, va detto, pochi, pochissimi, si sono astenuti dall’evocare i versi de Il Pci ai giovani. Per pigrizia intellettuale o per conformismo politico, fatto sta che, se un manifestante grossomodo “giovane” e un agente in assetto antisommossa si affrontano, ecco scattare un riflesso condizionato. Come un tic ossessivo, viene richiamata la poesia in cui Pasolini avrebbe preso le parti delle forze dell’ordine, in odio ai contestatori. E se si trattasse di uno stereotipo? Su Repubblica Adriano Sofri ipotizza che i molti che ne parlano «non l’hanno mai letta la famosa poesia»: e se la leggessero «si stupirebbero di quello che dice». Ma non basta. Su suggerimento di Davide Ferrario, bravo regista torinese, ho letto – oltre che «per intero» la poesia – quanto lo stesso Pasolini ha detto in proposito.
Sul Il Tempo del 17 maggio ’69 il poeta scrisse che «Nessuno (…) si è accorto» che i versi iniziali erano «solo una piccola furberia oratoria paradossale, per richiamare l’attenzione del lettore (…) su ciò che veniva dopo (…) dove i poliziotti erano visti come oggetti di un odio razziale a rovescio, in quanto il potere (…) ha la possibilità di fare di questi poveri degli strumenti: le caserme dei poliziotti vi erano dunque viste come ghetti particolari, in cui la qualità di vita è ingiusta, più gravemente ingiusta ancora che nelle università. Nessuno dei consumatori di quella poesia si è soffermato su questo e tutti si sono fermati al paradosso introduttivo». Dunque, secondo Pasolini, il senso di quella poesia sarebbe stato ribaltato da letture interessate. Il «paradosso introduttivo» («io simpatizzavo coi poliziotti») era in realtà – parole dell’autore – «una piccola furberia oratoria», destinata a «richiamare l’attenzione del lettore». Ma il tema vero e la sostanza poetica e politica consistevano nell’affermazione che «il potere ha la possibilità di fare di questi poveri degli strumenti». Si capisce che il senso profondo de Il Pci ai giovani era assai diverso da come è stato letto e interpretato. Se ne è ricavata una falsa rappresentazione, mai messa in discussione. Quella poesia è stata ridotta a bandiera di un conflitto insuperabile tra la piccola e media borghesia privilegiata e consumista, che si riconosceva nel movimento detto «del ’68», da una parte; e, dall’altra, il proletariato e il sottoproletariato identificati nell’immigrato meridionale, fattosi poliziotto per sopravvivere.
È accaduto, così, che l’interpretazione offerta dalla fonte più autorevole, ovvero l’autore, è stata ignorata per decenni, a favore di una lettura per così dire «paradossale». Resta un’ultima considerazione: quella interpretazione «antistudentesca» (e reazionaria, in senso letterale) conteneva un piccolo grumo di verità. In altri termini, il poeta Pasolini richiamava quella costante dimensione «fratricida» della lotta italiana per il potere, come già aveva fatto nel ’45 il poeta Umberto Saba: «gli italiani non sono parricidi: sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani. Gli italiani sono l’unico popolo (credo) che abbiano, alla base della loro storia (o della loro leggenda), un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione».
l'Unità 02 marzo 2012
Pasolini e la furbizia oratoria
Luigi Manconi
Persino l’Illustre Psicologa, intervistata dal giornale radio, imbarazzata per la richiesta di spiegare cosa diavolo mai stia succedendo in Val di Susa, se la cava richiamando la poesia di Pier Paolo Pasolini. Sui giornali di ieri, va detto, pochi, pochissimi, si sono astenuti dall’evocare i versi de Il Pci ai giovani.
Per pigrizia intellettuale o per conformismo politico, fatto sta che, se un manifestante grossomodo “giovane” e un agente in assetto antisommossa si affrontano, ecco scattare un riflesso condizionato. Come un tic ossessivo, viene richiamata la poesia in cui Pasolini avrebbe preso le parti delle forze dell’ordine, in odio ai contestatori. E se si trattasse di uno stereotipo? Su Repubblica Adriano Sofri ipotizza che i molti che ne parlano «non l’hanno mai letta la famosa poesia»: e se la leggessero «si stupirebbero di quello che dice». Ma non basta. Su suggerimento di Davide Ferrario, bravo regista torinese, ho letto – oltre che «per intero» la poesia – quanto lo stesso Pasolini ha detto in proposito.
Sul Il Tempo del 17 maggio ’69 il poeta scrisse che «Nessuno (…) si è accorto» che i versi iniziali erano «solo una piccola furberia oratoria paradossale, per richiamare l’attenzione del lettore (…) su ciò che veniva dopo (…) dove i poliziotti erano visti come oggetti di un odio razziale a rovescio, in quanto il potere (…) ha la possibilità di fare di questi poveri degli strumenti: le caserme dei poliziotti vi erano dunque viste come ghetti particolari, in cui la qualità di vita è ingiusta, più gravemente ingiusta ancora che nelle università. Nessuno dei consumatori di quella poesia si è soffermato su questo e tutti si sono fermati al paradosso introduttivo». Dunque, secondo Pasolini, il senso di quella poesia sarebbe stato ribaltato da letture interessate. Il «paradosso introduttivo» («io simpatizzavo coi poliziotti») era in realtà – parole dell’autore – «una piccola furberia oratoria», destinata a «richiamare l’attenzione del lettore». Ma il tema vero e la sostanza poetica e politica consistevano nell’affermazione che «il potere ha la possibilità di fare di questi poveri degli strumenti». Si capisce che il senso profondo de Il Pci ai giovani era assai diverso da come è stato letto e interpretato. Se ne è ricavata una falsa rappresentazione, mai messa in discussione. Quella poesia è stata ridotta a bandiera di un conflitto insuperabile tra la piccola e media borghesia privilegiata e consumista, che si riconosceva nel movimento detto «del ’68», da una parte; e, dall’altra, il proletariato e il sottoproletariato identificati nell’immigrato meridionale, fattosi poliziotto per sopravvivere.
È accaduto, così, che l’interpretazione offerta dalla fonte più autorevole, ovvero l’autore, è stata ignorata per decenni, a favore di una lettura per così dire «paradossale». Resta un’ultima considerazione: quella interpretazione «antistudentesca» (e reazionaria, in senso letterale) conteneva un piccolo grumo di verità. In altri termini, il poeta Pasolini richiamava quella costante dimensione «fratricida» della lotta italiana per il potere, come già aveva fatto nel ’45 il poeta Umberto Saba: «gli italiani non sono parricidi: sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani. Gli italiani sono l’unico popolo (credo) che abbiano, alla base della loro storia (o della loro leggenda), un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione».
l'Unità 02 marzo 2012
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