Sul Terrorismo islamista
Luigi Manconi

Il cattivismo al potere

“Sapete bene che è una lotta che può allargarsi all’infinito” (Osama Bin Laden)

Il terrorismo come l’abbiamo conosciuto, quello separatista/secessionista (basco, irlandese, bretone, corso…) e quello ideologico-rivoluzionario (Br, Raf, Action Directe…), anche nelle sue manifestazioni estreme e “irregolari” (dovute a gruppi minori e improvvisati), persegue una politica: e quella politica è sempre cosa diversa dalla guerra, anche quando ricorra a strumenti direttamente bellici. Proprio il logoro assioma di Karl von Clausewitz (“la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi”) segnala che, in ogni caso, un salto c’è. E che quella prosecuzione evidenzia una coerenza ma, insieme, sottolinea una discontinuità. E indica come tra politica e armi vi sia una fitta rete di relazioni, che le armi non spezzano, bensì sussumono, modificandone la forma, ma non limitandone la pregnanza. In altri termini, nel terrorismo come l’abbiamo conosciuto è individuabile comunque il modello d’azione, proprio della razionalità politica classica (o tracce di esso); una razionalità affine, in ultima istanza, alla nostra cultura e alla nostra storia politica. Una razionalità, cioè, fatta di valutazione del rapporto costi-benefici, verifica della capacità di acquisire consensi, controllo della coerenza tra obiettivo e strategia. In tale prospettiva, l’azione militare è (dev’essere) strettamente subordinata a criteri politici: deviare da questo principio significa cadere, appunto, nel militarismo. D’altra parte, individuare quale sia il discrimine tra “lotta armata” e “deviazione militarista” non è semplice: né per l’osservatore esterno né per i soggetti interessati (e non è un caso che le accuse di militarismo siano costantemente rimbalzate – indirizzate contro l’uno o l’altro – tra quanti hanno praticato la “lotta armata” nel corso degli ultimi trentacinque anni in Italia).
Un criterio possibile – ma anche esso sfuggente ed equivocabile – riguarda l’uso degli strumenti e la valutazione dei loro effetti. Per capirci: il repertorio di azioni di Eta e Ira si manifesta, in primo luogo, attraverso atti terroristici, ma non attraverso operazioni di guerra aperta. E a distinguere le due modalità e i due scenari - guerra e terrorismo - è precisamente (anche se non esclusivamente) il carattere indiscriminato o, all’opposto, selettivo dell’azione condotta, con riferimento agli obiettivi colpiti, ma anche alle armi utilizzate.

Devo riconoscere che l’insopportabile sarcasmo reazionario contro la retorica dei diritti e l’enfasi dell’umanitarismo finisce con l’avere, suo malgrado, un fondo di verità. Un fondo, forse, insospettabile e imprevedibile che si rivela in una singolare procedura, ormai assai diffusa. L’evoluzione dell’opinione pubblica e l’acquisizione da parte di essa di un certo senso comune solidaristico ha un suo peculiare effetto: misure particolarmente severe (o addirittura efferate) e provvedimenti suscettibili di creare reazioni indignate per la loro grossolanità e/o aggressività vengono presentati e argomentati, come adottati “per il loro bene”: ovvero per il bene dei destinatari-bersagli.
Si verifica qui, e nella maniera più eloquente, la validità di quella definizione che vuole l’ipocrisia come l’omaggio che il vizio rende alla virtù. Esattamente così. Per argomentare non solo la presunta efficacia, ma anche la bontà di misure come la rilevazione delle impronte digitali ai bambini rom e sinti o, ancora, l’ordinanza “contro il rovistaggio” nei cassonetti, minacciata dall’amministrazione comunale di Roma, viene addotta una motivazione puntualmente ispirata al perseguimento del bene dei minori rom e sinti e dei ‘rovistatori’ dei cassonetti. Le impronte digitali verrebbero rilevate ai bambini perché solo la loro schedatura può consentire l’adozione di misure destinate all’integrazione dei minori stessi: sarebbe dunque necessaria, la rilevazione delle impronte, per consentire, per esempio, l’avvio di quei bambini all’istruzione scolastica. Così come l’ordinanza ‘contro i rovistatori’, secondo il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sarebbe motivata dalla necessità di difendere dalle infezioni gli stessi ‘rovistatori’. Ma una tale impostazione dialettica sembra essere davvero quella prevalente a proposito di tutte le misure relative all’ordine pubblico e, segnatamente, a quelle indirizzate nei confronti di presunte minacce sociali correlate a particolari situazioni di marginalità e di degrado. Così l’espulsione degli immigrati irregolari viene eseguita “per il loro bene”, così come per il loro bene si vuole qualificare come reati l’ingresso e la permanenza irregolare nel nostro territorio nazionale; con analoga motivazione era stato progettato, nel corso della quattordicesima legislatura, l’abbassamento dell’età della imputabilità per i minori; e infine, nell’ottobre del 2008, la Camera dei deputati ha approvato una mozione con la quale si chiede l’istituzione nella scuola dell’obbligo di “classi di inserimento” riservate ai bambini stranieri: tutto ciò, ovviamente, al solo scopo di “prevenire il razzismo” e “realizzare una vera integrazione” (Roberto Cota, presidente del Gruppo della Lega Nord alla Camera).

Share/Save/Bookmark
Commenti (0)
Commenta
I tuoi dettagli:
Commento:
Security
Inserisci il codice anti-spam che vedi nell'immagine.