La proposta di legge di cui oggi parliamo, dedicata al consenso informato e alle direttive anticipate, sottolinea il riconoscimento del valore dell’autonomia delle scelte della persona malata, un valore che è andato sempre più informando la relazione terapeutica e che, negli ultimi anni, ha portato a una vera rivoluzione culturale nel campo sanitario. Proprio al valore dell’autonomia si è fondamentalmente ispirata la battaglia culturale della CdB sin dalla sua fondazione, nel 1989. Sin da allora la CdB, associazione che si è data il compito di favorire lo sviluppo di un dibattito laico e pluralistico nel campo della bioetica, sin da allora, in numerosi documenti e in diversi convegni, a Milano, a Torino, a Roma, ha sostenuto il diritto della persona malata alla libertà delle scelte che riguardano la salute e il corpo, in particolare col rifiuto dell’accanimento terapeutico. Un aspetto importante di questa battaglia è stato l’impegno verso il riconoscimento della validità delle direttive anticipate, con le quali questo diritto alla libertà delle scelte può realizzarsi anche per le persone che versino in uno stato di sopravvenuta incapacità di formulare o comunicare le scelte medesime. Sin dal 1992 la CdB ha anche proposto un modello di direttive anticipate (chiamato Biocard) che ha subito in seguito rielaborazioni e perfezionamenti. Migliaia di cittadini, ormai, hanno richiesto e compilato la nostra Biocard, pur consapevoli del valore piuttosto etico che giuridico di tale documento. La nostra associazione sta predisponendo per il prossimo autunno una vasta campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui problemi di cui oggi discutiamo e, in particolare, per la diffusione della Biocard. Potrete quindi comprendere il senso di soddisfazione che mi coglie in questo momento, nel costatare che illustri rappresentanti del mondo politico raccolgono, con grande sensibilità, questo messaggio che proviene dalla società civile e propongono strumenti legislativi per l’attuazione del diritto di libertà che si esprime col consenso informato e con le direttive anticipate, come già del resto era avvenuto nella passata legislatura con un’analoga proposta di legge, presentata come prima firmataria dall’on. Grignaffini alla Camera e come primo firmatario dal senatore Manconi al Senato.

Questa proposta di legge è importante, perché deve essere segnalato lo scarto che corre in questo campo tra i valori condivisi sul piano culturale e i princìpi del diritto, da un lato, e la prassi e la regolazione attuativa, dall’altro lato. Il diritto all’autonomia del malato nelle scelte terapeutiche e il rifiuto dell’accanimento terapeutico fanno ormai indiscutibilmente parte della nostra cultura nel campo sanitario, ma di fatto troppo spesso il malato non viene informato in modo adeguato, sicché il suo consenso non può essere considerato una consapevole espressione di autonomia, e troppo spesso le opzioni sanitarie adottate in conreto potrebbero configurarsi come accanimento terapeutico. E il rischio che ciò accada è particolarmente elevato quando il malato versa in stato d’incapacità d’intendere e di volere e non può dunque esprimere la sua volontà in merito all’accettazione o al rifiuto delle cure: le direttive anticipate possono rappresentare uno strumento per garantire il diritto all’autonomia delle scelte anche per queste persone.

Se guardiamo la situazione normativa del nostro Paese, vien quasi da meravigliarsi che ancora non vi siano leggi per garantire in modo adeguato nella pratica il diritto al consenso informato e per dare piena validità giuridica alle direttive anticipate. Basterebbe ricordare che il principio dell’autonomia rispetto alle scelte sanitarie è già solennemente sancito in via generale dall’art. 13 della Costituzione e in via specifica dall’art. 32 secondo comma. Ancora, la Convenzione europea sui diritti umani e la biomedicina del 1997 (cosiddetta “convenzione di Oviedo”) - che il nostro Paese ha ratificato nel marzo 2001, ma non è ancora in vigore non essendosi compiuti tutti i passaggi procedurali - riconosce esplicitamente tanto il diritto al consenso informato quanto la validità delle direttive anticipate. Si tratta, del resto, di princìpi accolti, sotto il profilo deontologico, sia dal Codice deontologico medico del 1998 sia da quello infermieristico del 1999.
La legge proposta non rappresenta, quindi, un’innovazione tale da costituire uno strappo rispetto al nostro ordinamento, ma rappresenta piuttosto un completamento che viene a colmare una lacuna e a dare un’articolata attuazione ai princìpi costituzionali e alla Convenzione europea. E dà loro un’articolata attuazione per quanto riguarda il consenso informato, che rappresenta un progresso importante perché s’instauri una relazione tra malato e operatore sanitario che, rovesciando la concezione tradizionale improntata al “paternalismo medico”, ponga il malato e le sue autonome scelte al centro di quella relazione. In breve tempo il “consenso informato” è diventato purtroppo un foglietto di carta a scopi difensivistici e liberatori per l’operatore sanitario, che il malato deve compilare per accedere alle prestazioni sanitarie, senza adeguata informazione e spesso anzi senza alcuna informazione. Al contrario, più ancora che al consenso stesso, occorre dare speciale rilievo al diritto all’informazione, che costituisce il presupposto necessario per un consenso libero e consapevole. E dà un’articolata attuazione ai princìpi che ho ricordato per quanto riguarda la considerazione delle volontà del soggetto successivamente caduto in stato d’incapacità, dando efficacia e garanzie alle volontà anticipatamente dichiarate.
Del resto, il riconoscimento della validità delle direttive anticipate non farebbe che uniformarci alle scelte normative di molti paesi dell’occidente, dagli Stati Uniti al Canada, dal Regno Unito alla Germania. L’elenco sarebbe lungo.

Quanti condividono il valore dell’autonomia dell’individuo e riconoscono all’individuo il diritto a scegliere liberamente per ciò che riguarda la sua salute e il suo corpo non possono che schierarsi a favore di uno strumento come quello rappresentato dalle direttive anticipate, che consente di estendere tale diritto anche alle persone in stato d’incapacità. Non desta meraviglia che tale riconoscimento incontri l’opposizione di coloro che non condividono il valore dell’autonomia e a questo preferiscono il valore della beneficenza (anche se essi dovrebbero tener presente che il primo ed essenziale contenuto della beneficenza è proprio quello di rispettare la personalità e l’individualità), ma vi sono taluni che, pur dichiarando di non negare in linea di principio tale valore, non sono favorevoli al riconoscimento delle direttive anticipate e sollevano obiezioni. Dedicherò qualche minuto a discutere tali obiezioni, che mi sembrano francamente inconsistenti. E, anzi, ritengo che tali obiezioni rivelino in chi le sostiene, al di là delle parole e delle dichiarazioni di principio, una inconfessata opposizione al principio dell’autodeterminazione dell’individuo malato.
Due le obiezioni principali.

La prima obiezione si fonda sullo scarto che potrebbe intercorrere tra la volontà espressa nelle d.a. (volontà anticipata, appunto, e magari adottata da un individuo sano, quando la patologia non si è ancora rivelata, da un individuo sano) e la volontà attuale del malato, si fonda cioè sul dubbio che le scelte espresse nelle d.a. non corrispondano a quelle che il malato adotterebbe nella situazione concreta in cui tali scelte diventano operative. L’obiezione è speciosa. E’ vero che nessuno può prevedere il futuro e che le scelte adottate in certe circostanze possono mutarsi per un mutamento della situazione e in particolare per l’insorgenza della malattia, ma non per caso le d.a. sono sempre revocabili ed è ovvio che, finché perdura la capacità d’intendere e di volere, le scelte che contano sono quelle espresse direttamente dal malato. Le d.a. sono, però, condizionate al venir meno della capacità e prendono vigore dopo che il malato la capacità ha perduto, sicché esse rappresentano l’espressione della sua ultima volontà razionale e consapevole, magari proprio quando la malattia è insorta e si è prospettata come infausta. Dunque una volontà pienamente attuale, che non può essere disattesa solo per la sopravvenienza dell’incapacità. Diversamente ragionando dovremmo negare valore al testamento (quello tradizionale, regolato dal codice civile) formulato in stato di capacità da una persona poi morta in stato d’incapacità. Del resto, la presenza del fiduciario, che non è soltanto il garante delle scelte, ma l’esecutore e l’interprete delle volontà espresse nelle d.a., assicura la piena attualità delle scelte relative ai trattamenti, valutandone l’adeguatezza in relazione alle volontà espresse in precedenza dal malato. Del resto, si tratta di scelte che riguardano prevalentemente e anzi esclusivamente l’individuo interessato e perché mai, dunque, una scelta ponderata e razionale dell’individuo, adottata consapevolmente proprio in previsione di una situazione che, per quanto ipotetica è ben rappresentabile alla coscienza dell’interessato, o adottata in una situazione di patologia insorgente e quindi ormai nota e della quale l’individuo è consapevole, dovrebbe cedere il passo alle scelte operate da altri soggetti? non va dimenticato, infatti – ed è argomento decisivo – che se si rifiuta valore alle d.a. non per questo non si adottano scelte in merito ai trattamenti, scelte che saranno adottate dall’operatore sanitario o magari dai familiari, soggetti certamente meno titolati ad adottarle che non il malato stesso in via anticipata o il fiduciario che quelle scelte esegue in via attuale. Si mantiene in tal modo, anche per il malato divenuto incapace, la possibilità d’instaurare una relazione tra il paziente e il medico, il quale in tal modo non viene abbandonato ad adottare in solitudine scelte sempre difficili e talora drammatiche. Negando valore alle d.a., si finirebbe di fatto col ristabilire, proprio nei confronti del malato più debole, quello in stato d’incapacità, la supremazia dell’operatore sanitario, una scelta che contrasterebbe con l’evoluzione culturale degli ultimi decenni.

La seconda obiezione è quella per cui si paventa il rischio che dare valore alle direttive anticipate sia un modo per introdurre surrettiziamente l’eutanasia nel nostro ordinamento. L’obiezione non ha pregio. Esattamente come il malato capace, anche il malato incapace può chiedere all’operatore sanitario solamente i trattamenti che quest’ultimo può lecitamente somministrargli, sicché, sino a che l’eutanasia sarà vietata - e personalmente auspico che presto sia offerta alla persona anche questa estrema possibilità - se mai le d.a. contenessero una richiesta eutanasica, l’operatore sanitario sarebbe tenuto a non soddisfare la richiesta, esattamente come sarebbe tenuto a non soddisfare un’analoga richiesta avanzata dal malato capace. Ma come il malato capace ha il diritto di rifiutare i trattamenti, quali che siano le conseguenze di tale rifiuto, privilegiando la qualità della vita e la dignità della persona, e il medico ha il dovere di rispettare il rifiuto e di astenersi dall’accanimento terapeutico, così anche al malato incapace deve essere consentito di rifiutare trattamenti futili o sproporzionati, volti al mantenimento in vita del corpo in una situazione caratterizzata dalla inutilità della sofferenza e dalla mancanza di dignità, e l’operatore sanitario ha il dovere di conformarsi. Ci troveremmo, altrimenti, ad avallare una discriminazione tra malati capaci e malati incapaci, particolarmente odiosa perché perpetrata nei confronti di soggetti specialmente deboli e indifesi.

Occorre essere, invece, consapevoli, così come ne sono consapevoli tutti coloro che a favore delle direttive anticipate si schierano, delle difficoltà tecniche che uno strumento come le direttive anticipate può presentare, dalle difficoltà interpretative dell’effettiva volontà del malato alla difficoltà di prevedere in modo sufficientemente dettagliato la casistica delle patologie e del loro manifestarsi e, ancora, il problema di un’adeguata informazione per dettare anticipatamente scelte consapevoli. Non per nulla nei Paesi che ormai da molti anni hanno riconosciuto le direttive anticipate vi è stato e ancora è in corso un ampio dibattito su questi problemi e si è proceduto a un’opera di rielaborazione di perfezionamento di questo strumento. Queste difficoltà non negano però la validità del principio. Mi auguro che presto anche questo Paese possa contribuire al dibattito sulla base di esperienze concrete e all’elaborazione di strumenti sempre più adeguati a dare attuazione ai diritti delle persone malate.

A Buon Diritto - Valerio Pocar (Università di Milano Bicocca) - Libertà Terapeutica

 

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