Il dolore e la politica
«L'albero della scienza non sarà mai quello della felicità».

La Gazzetta del Mezzogiorno - di Federica Resta

cop«È stata rispettata la volontà del malato». Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza del Gup di Roma, che ha prosciolto Mario Riccio dall'accusa di omicidio del consenziente, per avere interrotto la terapia che teneva in vita Welby . Sentenza giusta ma certo non scontata, se si considera che il nostro codice penale non prevede espressamente, ancora, e a differenza di molte legislazioni europee, una specifica esimente per chi ponga fine alla terapia salva-vita in esecuzione della volontà del malato. L'assenza di una espressa norma in tal senso, tuttavia, non significa che si possa semplicemente (e semplicisticamente) ridurre a una forma (sia pur attenuata) di omicidio un atto che, come l'interruzione della terapia salva-vita rifiutata dal malato, non faccia altro che eseguirne la volontà, nel rispetto della sua dignità. E l'art. 32 della Costituzione, che vieta i trattamenti sanitari obbligatori, a impedire questa semplicistica riduzione, Ma è anche e soprattutto il rispetto del diritto inviolabile alla dignità (art. 2) a rendere lecito e giusto l'atto, sofferto ma di profonda umanità, che porta il medico a realizzare la volontà di chi non tollera il peso e il dolore di una mera prosecuzione artificiale dell'esistenza, cui non riconosce più il valore di vita.

Lo ribadiscono, tra gli altri, Luigi Manconi e Andrea Boraschi, nel loro recente libro Il dolore e la politica (Bruno Mondadori ed.), Già dal titolo, questo saggio sottolinea l'irrompere, nella politica di oggi, del tema del dolore. Quel dolore che, come scrivono gli autori citando Thomas Mann, rende «l'uomo molto più corporeo», fino a fare di lui, nelle esperienze estreme, un semplice «corpo dolente». Il dolore di chi è costretto a vivere una vita che non percepisce più come tale. E quando la vita, da diritto inviolabile, diviene obbligo cogente, è la politica a dovere ancora una volta intervenire, per ribadire l'incoercibilità del vivere; perché la vita è e deve essere libertà, mai dovere imposto. La vicenda di Welby, su cui torna a farci riflettere questo libro, dimostra ancora una volta che «l'albero della scienza non sarà mai l'albero della felicità». La disillusione amara del Manfred di Byron sembra descrivere profeticamente una realtà che tocca la vita, le scelte, le regole con cui ognuno di noi è oggi chiamato a confrontarsi. Una realtà segnata dall'irruzione della tecnica nella vita e nel mondo delle sue regole, che destruttura certezze, ridisegna antropologie, toccando il mistero e l'ambivalenza di quelle «cose nascoste sin dalla fondazione del mondo», iscritte in un orizzonte di senso che non tollera l'universalità, l'uniformità, l'omogeneità che la norma vorrebbe assegnargli.

Le scelte di fine vita mettono in gioco questi ed altri conflitti, evidenziando i limiti del diritto, della politica e della tecnica, nella loro pretesa di normare la nuda vita. Perché di fronte a casi come quelli di Welby è inevitabile chiedersi, come fanno Manconi e Boraschi, se abbia senso ridurre la libertà suprema del vivere a dovere imposto, con leggi che ignorano la differenza tra mera vitalità biologica, artificialmente prolungata, e vita come progetto esistenziale in cui si esprime la libertà e la dignità della persona. Ciò che la legge deve proteggere come valore assoluto ed incondizionato è la mera sopravvivenza biologica, anche quando privi l'uomo della sua dignità, umiliandone il corpo e mortificandone la volontà, o il diritto della persona a vivere, sino a che l'esistenza non diventi un sacrificio intollerabile? Ed ancor prima, deve il diritto proteggere l'esistenza come concetto astratto ed universalmente valido o la vita come forma di realizzazione della persona, nelle sue legittime aspirazioni e nelle sue inevitabili necessità? La stessa vita, di cui le norme giuridiche proclamano l'intangibilità, è violata ed umiliata quando diviene oggetto di un'imposizione esterna, dovere cui nessuno, neppure tra laceranti sofferenze, può sottrarsi.