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Il Dolore
e la Politica
La recensione di Left Avvenimenti
Hanno
staccato la spina alla legge.
Sembrava fatta e, invece, dei dieci ddl sul testamento biologico
depositati potrebbe non sopravviverne nessuno. Il governo è
tenuto in scacco dai teodem. E a farne le spese sono i diritti dei
malati. Due libri riaccendono il dibattito. Sembrava l`obiettivo
facile da raggiungere in questa legislatura, quello più condiviso
dalle forze politiche che, illo tempore, firmarono il patto dell`Unione.
E, invece, dopo il naufragio dei Pacs e dei Dico anche la legge
sul testamento biologico è a rischio archiviazione. I teodem,
si sa, si sono messi di traverso bloccando il testo preparato da
Ignazio Marino. «Perché di una legge non c`è
nessun bisogno», come ha sentenziato Paola Bineti nel silenzio
totale di Fassino e compagni. E nonostante sul tema del testamento
biologico siano stati depositati ben 10 disegni di legge, (di cui
uno messo a punto dalla Fondazione Veronesi), il governo sembra
volere l`eutanasia del dibattito pubblico. Ma il tema è cogente,
tocca in modo diretto la vita delle persone. Prova ne è anche
la quantità di libri usciti su questo tema negli ultimi mesi.
Fra i quali ci preme segnalarne due, particolarmente importanti:
in primis il documentatissimo e, per molti versi, sconvolgente,
libro di Andrea Boraschi e Luigi Mangioni, Il dolore e la politica
(Mondadori, 200 pagine, 13 euro), che offre fondamentali elementi
di conoscenza della situazione italiana, facendo emergere non tanto
e non solo i dati sulla diffusione dell`eutanasia clandestina nel
nostro Paese, ma anche smascherando la micidiale confusione di termini
e di contenuti che si continua a fare, a tutto discapito dei diritti
dei malati. Il caso Welby in questo senso è stato, purtroppo,
emblematico. Ma un dato deprimente è anche che il 42 per
cento dei medici italiani, intervistati su eutanasia e testamento
biologico ammetta di avere «una scarsa conoscenza dell`argomento».
È costruito come un viaggio attraverso l`Italia, invece,
il nuovo libro di Adriana Pannitteri, Vite sospese (Aliberti Editore,
276 pagine, 17 euro). Come se fosse al fianco il cameraman che la
segue nei suoi servizi, l`inviata del Tgl ci fa entrare in rapporto
vivo, pagina dopo pagina, con il dramma quotidiano di persone affette
di sclerosi laterale amiotrofica, come lo era Luca Coscioni, di
distrofia muscolare come Piergiorgio Welby, ma anche quelle persone
come Peppino Englaro, padre di Eluana da quindici anni in stato
vegetativo. All`opposto di Welby che aveva una mente lucidissima
in un corpo che aveva perso quasi ogni sua autonoma funzione, Eluana
ha un corpo ancora giovane ma la sua testa è azzerata. Dopo
un incidente è entrata in stato vegetativo permanente. Anni
prima Eluana aveva visto un amico in quello stato e la sua reazione
era stata: se toccasse a me non vorrei essere tenuta in vita artificialmente.
Ma la battaglia di Peppino Englaro perché venga rispettata
la sua volontà è ancora incagliata nelle aule di tribunale.
Da cronista Pannitteri ci racconta le motivazioni concrete e profonde
che spingono le persone a chiedere una legge sul testamento biologico
come atto, minimo, di civiltà. Fra queste anche il dottor
Mario Riccio, il medico anestesista di Cremona, che ha aiutato Piergiorgio
Welby a morire somministrandogli quella certa dose di sedazione
che gli permettesse di non andare incontro a un`agonia atroce, una
volta staccato il respiratore. «Sono stato accusato di tutto,
anche di essere freddo, di non mostrare emozioni - racconta il medico
alla giornalista -. Ma io ho fatto quello che la mia coscienza mi
chiedeva e ho dato seguito alle mie convinzioni che non nascono
da un giorno all`altro ma sono frutto di una riflessione profonda».Riflessioni
che riguardano la buona pratica medica, ma anche la bioetica e,
soprattutto, il rapporto con il paziente. «Io non mi sento
e non sono un assassino», ribadisce Riccio, nel libro. «Si
è trattato di dare ascolto ad un paziente le cui condizioni
erano ormai disperate». E poi ricordando Welby: «Non
è vero che per me era uno sconosciuto. Abbiamo creato un
rapporto profondo. Welby mi ha affidato la sua vita e le sue ultime
parole sono state grazie... mi sono comportato secondo coscienza
e anche tutti quelli che si sono permessi di giudicare la sofferenza
di Welby sono in malafede». Nelle parole di quel medico schivo
che dal libro scopriamo aveva pensato di fare lo psichiatra, al
centro la questione dell`alleanza terapeutica, del rapporto medico
paziente, quello fra il dottor Riccio e il paziente Welby, che proprio
in questi giorni, torna ad essere messo sotto accusa. Anche dopo
che l`Ordine dei medici ha dichiarato che non c`è stata violazione
di legge, perché non si è trattato di eutanasia. L`attacco
è partito anche dall`ex presidente della Repubblica Cossiga
che non ha trovato niente di meglio da fare che denunciare il dottor
Riccio. A questo, il 10 giugno si è aggiunto un fatto ancor
più grave: il gip del Tribunale di Roma, Renato Laviola,
ha respinto la richiesta di archiviazione del caso Riccio firmando
un`ordinanza in cui si dice che il diritto alla vita è «sacro
inviolabile e indisponibile». E che costituisce «un
limite invalicabile da tutti gli altri diritti». Compreso
quello costituzionale dell`autodeterminazione, fissato nell`articolo
32 della Carta, secondo cui nessuno può essere obbligato
al trattamento sanitario. Parole che ci aspetteremmo dal papa e
che invece sono state scritte da una istituzione laica. Ma Laviola
insiste che sulla morte del leader radicale avrebbero influito media
e politica. E se questo suona come un tentativo di negare il coraggio
e l`importanza della battaglia politica di Welby che ha usato la
propria malattia per aprire un dibattito su diritti civili che riguardano
tutti, pare ancor più inaccettabile che un giudice parli
ideologicamente di «limite insuperabile del diritto alla vita».
Di fronte a questo si staglia illuminante l`intervento della psichiatra
Annelore Homberg raccolto da Pannitteri nel suo libro (accanto a
quelli di Zagrebelsky, di Mori e di Marino) e che invita a riflettere
sul significato di parole come "qualità della vita"
e dignità della persona". Su questi grandi temi, nota
la psicoterapeuta e docente dell'Università di Foggia, si
sente la massiccia ingerenza delle Chiese. "Lo stiamo vedendo
-dice- nel dibattito sull'eutanasia. Ma staimo anche vedendo come
le posizioni delle Chiese vogliono tradursi in legislazione e prassi
medica che penalizzano le donne, il rapporto fra uomo e donna, la
sessualità". Di fronte a questo "assalto"
è come se la medicina avesse ancora «un`identità
piena», come se non sapesse esprimere un rifiuto della mentalità
cristiana che impone la sofferenza come espiazione. «Oggi
la medicina spiega Homberg - non su tutto si muove con certezza.
Oggi i medici riderebbero in faccia a chi sostiene che il fegato
stia sotto la mano sinistra. Ma non reagiscono ancora allo stesso
modo quando qualcuno sostiene che un ammasso di cellule indifferenziate
sia già vita umana e persona». Forse, suggerisce la
psichiatra, per completare la medicina occorre una psichiatria che
propone idee fondate su come è fatta la realtà mentale
sana quando inizia e quando finisce.
Data: 22 Giugno, 2007
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