La politica davanti al dolore

La recensione di Miriam Mafai da La Repubblica del 29 maggio 2007, pag. 46

Una volta, non molti anni fa do­potutto, una gravi­danza poteva aver luogo soltanto do­po un normale rap­porto sessuale, tra un uomo e una donna (che fossero sposati o meno non aveva, da que­sto punto di vista nessuna impor­tanza). Una volta, non molti anni fa dopotutto, la morte veniva accertata, anche da un profano, quan­do il cuore di un paziente non batteva più. Una volta. I progressi della scienza e le nuove tecno­logie hanno introdotto un forte elemento di artificialità nei due momenti più delicati della no­stra esistenza, quello della nascita e quello della morte. Non è più necessario un rapporto ses­suale per avviare una gravidanza, e la morte non viene più certificata dal venir meno del battito del cuore. Questo «disordine» ha reso inevitabi­le il ricorso alla politica, a una serie di interventi legislativi cioè che hanno come oggetto il nostro corpo.

Il dolore e la politica è il bel titolo di questo li­bro che affronta il problema del cosiddetto Testamento biologico con il contributo di esperti e di una ricerca (la prima, a mia conoscenza) sugli orientamenti in materia dei medici, oncologi e anestesisti. (Andrea Boraschi, Luigi Manconi Il dolore e la poli­tica — Accanimento terapeutico, testa­mento biologico, libertà di cura — Con testi di Enzo Campelli, Ignazio R. Ma­rino, Stefano Rodotà, Enza Lucia Vac­caio — ed. Bruno Mondatori, pagg. 200, euro 13). Risale al 2001 il primo appello, promosso, in Italia, da perso­nalità del mondo scientifico, politico, culturale che chiedevano fosse varata, anche da noi, una norma a favore del­la istituzione del cosiddetto «Testa­mento biologico» che riconosce a ognuno di noi il diritto di definire anticipatamente le cure alle quali non intende essere sottoposto a fine vita. La libertà terapeutica, di cui il Testamento bio­logico è soltanto un aspetto, è uno di quei temi correntemente definiti «eticamente sensibili» e sui quali si sono già confrontati e sono destinati ancora a confrontarsi il pensiero laico e il pen­siero cattolico.

Qui ce ne viene offerto un panorama assai ric­co, con una particolare attenzione alle posizio­ni della Chiesa Cattolica, che sulla questione sembra avere una posizione meno rigida di quella che conosciamo sullo statuto dell'em­brione. «L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o spropor­zionate rispetto ai risultati attesi può essere le­gittima» detta il Catechismo. E aggiunge «In tal caso si ha rinuncia all'accanimento terapeutico.

Non si vuole così procurare la mor­te: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devo­no essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità».

Ma non era esat­tamente questa la condizione in cui si trovava Piergiorgio Welby, che «avendone la competenza e la capacita chiedeva l’in­terruzione delle procedure mediche spropor­zionate rispetto ai risultati possibili»? Eppure a Piergiorgio Welby, cattolico, è stato rifiutato, senza giustificazione il funerale in Chiesa. Quel caso ha scosso profondamente la nostra pubblica opinione chiamandola ad esprimersi sul di­ritto del malato, di rifiutare le cure anche quan­do queste fossero indispensabili per la sua so­pravvivenza. E la pubblica opinione ha risposto in modo non equivoco: i dati Eurispes nel Rap­porto Italia del 2007 dicono infatti che l'84% de­gli italiani sono favorevoli ad una legge sul testa­mento biologico (ci sta lavorando con pazienza e intelligenza la Commissione Sanità del Senato presieduta dal cattolico Ignazio Marino).

Qualche sorpresa viene tuttavia dalla indagi­ne condotta lo scorso anno a Roma tra medici ospedalieri pubblicata in appendice. Un'ampia percentuale degli intervistati, infatti, pari al 42% confessa di avere un basso grado di conoscenza dell'argomento e, nota il ricercatore, «la cosa sorprende in considerazione del fatto che gli intervistati sono stati selezionati tra oncologi e anestesisti, specializzazioni usualmente in con­tatto con la malattia terminale». Ma dietro questa dichiarata scarsa conoscenza o scarso interesse per il tema potrebbe esserci altro, una radicata resistenza e preoccupazione anche, ma non solo, di tipo etico o religioso. Lo am­mette una parte non irrilevante degli intervi­stati (per la precisione il 32%) quando spiega che l'eventuale adozione del Testamento bio­logico rischierebbe di interferire con l'autono­mia e il potere del medico, con il rischio di farlo incorrere in una serie di problemi legali. Il 20% degli intervistati teme che l'adozione del Testa­mento possa esautorare il medico dalle sue fun­zioni e responsabilità. Il 38% degli intervistati infine pensa che la adozione del Testamento entrerebbe in contrasto con le proprie convinzioni religiose e morali e potrebbe aprire la stra­da allo scivolamento verso l'eutanasia. Più di­sponibili nei confronti dell'accettazione del Testamento sono i medici più giovani, meno preoccupati della perdita di autonomia e pote­re decisionale che in qualche modo ne derive­rebbe per la categoria.