A Buon Diritto - Associazione per le libertàLogo dell'Associazione
Libertà Terapeutica Libertà Religiosa Libertà Personale
libertà terapeutica come espressione della sovranità dell'individuo sul proprio corpo... il diritto di professare liberamente la propria confessione religiosa... la tutela della libertà personale all'interno degli istituti di pena...
Altri Articoli
Links correlati

Il profugo è sempre più politico

Quasi un immigrato su due – tra quelli sbarcati sulle nostre coste dal gennaio del 2002 al 20 ottobre del 2003 – è un profugo politico. In altri termini, oltre il 45% proviene da paesi dove si registrano guerre civili, conflitti bellici, gravi violazioni dei diritti umani, persecuzioni di minoranze politiche, etniche o religiose. Dunque, secondo le convenzioni internazionali, la Costituzione italiana e il nostro ordinamento, hanno tutti i titoli per chiedere e ottenere il diritto d’asilo.

articolo - - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra

[27/10/03] Quasi un immigrato su due – tra quelli sbarcati sulle nostre coste dal gennaio del 2002 al 20 ottobre del 2003 – è un profugo politico. In altri termini, oltre il 45% proviene da paesi dove si registrano guerre civili, conflitti bellici, gravi violazioni dei diritti umani, persecuzioni di minoranze politiche, etniche o religiose. Dunque, secondo le convenzioni internazionali, la Costituzione italiana e il nostro ordinamento, hanno tutti i titoli per chiedere e ottenere il diritto d’asilo. E, tuttavia, delle oltre 17mila richieste presentate nel corso del 2002, ne sono state accolte finora poco più di 1300. E gli anni precedenti non era andata meglio. Ecco altri dati significativi, raccolti da Andrea Boraschi per “A Buon Diritto-Associazione per le libertà”. Dati che raccontano una realtà assai diversa da quella comunemente accreditata: il numero degli sbarchi è, da qualche tempo (1998), sostanzialmente invariato: e si registra, piuttosto, una certa tendenza alla riduzione. Risulta ingiustificato, dunque, qualsiasi clima di allarme sociale e appaiono francamente irresponsabili i messaggi, lanciati da esponenti del centrodestra come del centrosinistra (Dio li perdoni), che annunciano: “un milione di clandestini alle porte”. Ma, se diminuiscono gli arrivi, aumentano – e significativamente - le vittime dei viaggi via mare. La percentuale dell’anno in corso è quasi raddoppiata rispetto all’anno precedente: nel 2002 si è avuto un morto o un disperso ogni 91 migranti, mentre nel 2003 il rapporto, a tutt’oggi, arriva a 1 ogni 47. E, come si è detto, aumenta esponenzialmente il numero dei migranti che, per provenienza e motivo della fuga, andrebbero considerati rifugiati politici. Il gruppo più significativo di stranieri sbarcati negli ultimi due anni è costituito, infatti, da somali (il 12,3% del totale degli identificati); l’11,5% da palestinesi; l’8,3% da iracheni; il 7,3% da curdi. I nord africani sono, complessivamente, il 20,6% del totale degli identificati; gli eritrei il 5,3%. In altri termini, la tradizionale distinzione tra “profughi economici” e “profughi politici” regge sempre meno. La fame, la miseria, il disagio materiale non sono le sole (e forse nemmeno le principali) motivazioni che trasformano uomini, donne, bambini in esuli. Ragioni politiche (guerre e conflitti, ma anche regimi totalitari e persecuzioni) si stanno affiancando (meglio: intrecciando) alle tradizionali ragioni economiche nella spinta ad abbandonare i paesi d’origine. Non possiamo ancora definirla come una tendenza stabile e generalizzata, ma gli elementi in tal senso, ci sono tutti. Come ci sono nella storia di G. C: una vicenda, a suo modo esemplare, che fa giustizia di luoghi comuni e stereotipi. G.C è curdo ed è nato nel 1966, in Turchia. Figlio di un professore universitario, intellettuale e giornalista, di religione evangelica, ultimo di tre fratelli, oggi è vedovo e padre di una bambina di 9 anni. Il padre fu assassinato in una piazza della città natale, nel 1974, di fronte agli occhi dei familiari e di una folla spaventata; nel ’94 il fratello maggiore, la cognata e la moglie furono arrestati in seguito ad una dimostrazione pacifica a sostegno dei familiari dei “desaparecidos” curdi: torturati per giorni, furono infine uccisi. G.C. si ritrovò vedovo, con una figlia di appena 45 giorni. Già nel 1991 era stato incriminato per un libro in cui raccontava la condizione dei bambini curdi e, in quello stesso anno, fece il suo primo ingresso nelle carceri turche, dove venne torturato per giorni e giorni. Uscì dal carcere dopo alcuni mesi, mentre il processo a suo carico proseguiva, fino a concludersi con una condanna a 110 anni. Scelse la latitanza (o meglio: fu scelto dalla latitanza, considerate quelle premesse) e cominciò una vita assai dura, fatta di attività pubblicistica per i giornali della resistenza curda, di gravi malesseri (conseguenza delle tortura subite), di visite clandestine alla famiglia. Nel 1999, G.C. decide di abbandonare la Turchia e parte su una delle tante “carrette” che attraversano il mediterraneo per sbarcare, dopo quattro giorni, sulle nostre coste, con la figlia di cinque anni. La vicenda italiana di G.C. è controversa. Incriminato per “traffico di clandestini” (reato del quale si dichiara innocente), fuggito in Germania, da dove è stato poi estradato (ma dove è rimasta la figlia), si trova attualmente presso una casa di accoglienza per rifugiati. Condannato in primo grado a tre anni (dopo un processo in cui le sue possibilità di difesa sono state ridotte al minimo da avvocati d’ufficio e dall’ignoranza della legge e della lingua), ha scontato in carcere 20 mesi di detenzione, inflittigli in appello. Ora è fuori. Ha espiato la condanna e ha presentato domanda di asilo politico. Da questo dipende il suo futuro: perché è il solo mezzo che può consentirgli di ricongiungersi a sua figlia; e perché, qualora non venisse accolta la richiesta d’asilo, diventerebbe inevitabile l’espulsione. Un ritorno in Turchia, per quest’uomo di soli 37 anni, fuggiasco da 11, equivarrebbe all’ergastolo certo. E, allora, dobbiamo chiederci: G.C. è un “clandestino” da espellere o un profugo politico a cui garantire asilo? E la condanna (per altro non pesante: e vorrà pure dire qualcosa) che ha subito e scontato, fa di lui un “trafficante di essere umani” o, più probabilmente, segnala una zona grigia dove il bisogno estremo rende molti, insieme, vittime e colpevoli? Tanto più che una recentissima sentenza della Cassazione afferma che “la sola condotta meritevole di punizione è quella del mercante, magari professionale”. È una vicenda, questa come molte altre, che solleva interrogativi non eludibili e misura e sottopone a verifica i nostri standard di civiltà. Queste domande, insieme a quelle che ci vengono dalle migliaia di altre storie di perseguitati che sbarcano sulle nostre coste, potrebbero portarci a leggere l’immigrazione irregolare con altri occhi.


Sito gestito da
iworks
Scrivi al webmaster
© 2002 A Buon Diritto
Associazione per le libertà
Via dei Laghi, 12 - 00198, Roma
abuondiritto@abuondiritto.it
Tel. 06.85356796 Fax 06.8414268